Antonio Tirri – Quale futuro per la Comunità?
Se per il Rabbino Capo essere rimosso dalla Cattedra Rabbinica rappresenta il completo fallimento della propria azione di Maestro, se per il Consiglio che ha preso una così drastica decisione è stato sicuramente un lungo e sofferto travaglio interiore, cosa significa per la Comunità questo allontanamento forzato? Significa ritrovarsi senza quella che avrebbe dovuto essere la guida spirituale, senza quello che avrebbe dovuto essere il Maestro cui fare riferimento.
Non posso negare l’evidenza: il Rabbino è stato rimosso dall’incarico, ciò vuol dire che a suo carico sono state rilevate responsabilità oggettive talmente gravi che nessun Consiglio avrebbe potuto tollerare. E ora, quale futuro avrà la Comunità? Avrà il futuro che noi saremo in grado di costruirci.
Per intraprendere questo faticoso cammino di rinascita bisogna guardare in faccia la realtà, quella realtà che ha portato il Consiglio a destituire il Rabbino Capo. Ma per fare ciò, ritengo che il Consiglio debba indire con urgenza un’assemblea straordinaria per motivare questa coraggiosa e severa soluzione. Solo allora potremo ragionare sul nostro futuro, un futuro che mi auguro più sereno per noi e per i nostri figli e nipoti, un futuro che ci vede protagonisti nella ricerca di un Maestro che sappia portare lo shalom tra noi, che sappia venire incontro ai problemi delle persone con il sorriso sulle labbra, che sappia essere accogliente e generoso, che sappia avvicinare i genitori e i figli nati da matrimonio misto aiutandoli nel difficile cammino verso il Bar/Bath Mitzwà, che sappia parlare alle giovani generazioni con voce e cuore nuovi, dimostrando di essere un vero Maestro ed educatore nel trasmettere quei principi etici, morali e sociali cui i giovani sono molto sensibili, nell’insegnare che l’ebraismo si realizza quando si pratica la giustizia, l’onestà e l’umanità.
La Comunità ha bisogno di un Maestro che non sappia solo predicare ma che metta in pratica con coerenza gli alti valori della Torà.
La Comunità ha bisogno di un Maestro che non sia solo erudito ma che sappia soprattutto affrontare ogni questione, ogni problema con umiltà, con spirito di servizio perché egli è al servizio della Comunità non solo per insegnare Torà e Halachà, ma per essere modello di Torà.
La Comunità ha bisogno di un Rabbino che non cerchi il potere o il lauto guadagno, ma che sappia integrarsi in essa, ed essere la guida sicura nell’affrontare le difficili sfide del nostro tempo.
E proprio in questo nostro tempo, in cui si sono dissolti quei valori morali e sociali che erano i punti di riferimento delle antiche generazioni, proprio adesso c’è urgente bisogno di un Rabbino che sappia andare incontro ai fratelli lontani per ricondurli nel calore della loro famiglia: la Comunità e il Bet ha-Keneset.
Caro Presidente – Renzo Saguès
Caro Alessandro, non è con stupore che io, assieme a tanti correligionari che vivono la Comunità di Trieste, ho appreso da Te, ed oggi dal giornale “Il Piccolo”, l’allontanamento del Rabbino Magalith. Questa è stata la normale conseguenza di molte situazioni anomale create dallo stesso e che sono state vissute da coloro che hanno amore per la Comnunità come quasi insopportabili.
Essere Rabbino vuole dire essere un Moré, un maestro non solo nell’insegnamento pratico della Torah, letta, giorno dopo giorno in Tempio, ma anche un maestro di vita, un maestro che insegni a tutti la morale ebraica, che insegni come ci si debba comportare tra di noi e tra la gente. Essere maestro vuol dire partecipare alla vita della propria Comunità, fare tesoro degli insegnamenti di coloro che, in altri, e ben più difficili tempi, si sono succeduti alla guida della variegata Comunità di Trieste, e non snaturare duecentocinquantun anni di tradizioni ebraiche. Essere Rabbino vuole dire apparire modesto nella forma, ma non esserlo nella sostanza. Essere Rabbino vuole dire avere la capacità di saper apprendere ogni giorno, anche dal più misero degli uomini, e non considerarsi al di sopra di tutto e di tutti,. Essere Rabbino vuol dire, ai tempi nostri, avere la capacità di parlare con le autorità civili e con quelle religiose di altre fedi, in forma decisa, quando occorra, ma evitando che i suoi comportamenti diano spunto ad antipatiche considerazioni (molto spesso fuori luogo).
Non entro poi nel merito delle situazioni economiche, che non conosco, ma che sono lasciate in sospeso dall’articolo del Piccolo di quest’oggi.
Una volta, mi si diceva che essere Rabbino è una missione. Quanti Rabbini, ovvero persone con il titolo di Rabbino, lavorano in attività diverse da quelle che sono richieste in una Comunità ? Essere Rabbino in una Comunità della Diaspora vuol dire fare un lavoro come un altro ? Io ho l’ impressione che questa attività sia divenuta un semplice lavoro, come fare il commercialista (non è offensivo e non me ne voglia quello della Comunità), il direttore di banca (anche questo non è offensivo) ,l’amministratore di stabili o altro, e ci sia poco sentimento e poco amore per l’ebraismo quello che si è fatto negli ultimi anni a Trieste.
Conseguenza, però non è certamernte l’unica, è il continuo e costante allontanamento dalle nostre Istutituzioni di molti, troppi, correligionari che non trovano più quella corrispondenza, forse poco ortodossa, con il Rabbinato di Trieste.
Detto ciò, non posso che dare atto a tutti Voi del coraggio dimostrato nel prendere una decisione sicuramente non semplice, ma certamente finalizzata ad un miglioramento della situazione in essere ed al rasserenamento dei rapporti comunitari. Mi auguro, alla fine, che la nomina del nuovo Rabbino sia fatta con più discernimento di quella fatta dal precedente Consiglio e che si possa nominare un Rarbbino che sappia ascoltare e non solo parlare.
Caro Alessandro, per poco che io possa dare, sono vicino a Te e a Tutto il Consiglio.