Nell’Ebraismo i concetti di “legge” e “etica” sono interdipendenti: noi dobbiamo imitare i tratti della Divinità. Come la Divinità si colloca al massimo della perfezione etica, così noi dobbiamo seguire il Suo esempio. Nello stesso capitolo 19 di Wayqrà la Torah ci invita ad amare “il prossimo tuo come te stesso” (v. 18), a “non stare inerte dinanzi al sangue del tuo prossimo” (v. 16) preoccupandoci della sua sicurezza e a non trascurare la giustizia: “Non aver riguardo per il misero e non trattare con sussiego il potente. Con equità giudica il tuo prossimo” (v. 15). Tanto il concetto legale che quello etico di giustizia derivano in ultima analisi dalla stessa fonte: “Come Egli è misericordioso, anche tu devi essere misericordioso.
Come Egli persegue la giustizia, anche tu devi perseguire la giustizia” (Sotah 14a). Vi sono eventi dinanzi ai quali chi detiene una responsabilità politica, morale o religiosa sente di dover intervenire. Nella fattispecie il sottoscritto è stato anche parziale testimone: “Se non parla, ne porterà la trasgressione” (Wayqrà 5,1). Mi riferisco a quanto accaduto in una piazza centrale di Torino la sera del 3 giugno scorso. Era in corso la diretta di un importante evento calcistico: il panico suscitato da un falso allarme ha prodotto un morto e oltre millecinquecento feriti fra la numerosa folla. I fuggitivi, lasciando le scarpe sul terreno, si sono tagliati con i cocci delle bottiglie di birra precedentemente distribuite a dispetto dell’ordinanza di divieto. Per la cronaca: fra questi ultimi anche tre giovani israeliane. Quanti erano in tutto gli spettatori davanti al maxischermo? Trentamila e rotti. Nel vero senso della parola.
Lo ammetto: sono tra coloro che ritengono che per ospitare eventi del genere ci sono gli stadi. Polemizzo apertamente con chi ribatte che le piazze sono a disposizione dei cittadini. Non a qualsiasi costo. Poche sere prima la lettura pubblica di brani dalle opere di Umberto Eco in una piazza attigua non aveva destato alcun problema. Superfluo rilevarlo. Non tutte le manifestazioni sono uguali. Rispettare i cittadini significa tener conto anche di quella signora ultrasessantenne che pur non avendo alcun interesse agonistico si trovava a transitare per i fatti suoi nel posto e nel momento sbagliato: essa è stata coinvolta suo malgrado, riportando serie ferite. Lo stadio è degli sportivi; la piazza è e deve essere di tutti. I Maestri del Talmud sentenziano che chamira sakkanta me-issura: “II pericolo richiede maggior rigore persino di una proibizione della Torah” (Chullin 10a). Due aspetti ulteriori hanno destato la mia perplessità, come cittadino a mia volta e persino come ebreo, avvezzo ormai a certi problemi. Anzitutto ho constatato l’assenza di qualsiasi dispositivo di sicurezza che filtrasse l’afflusso sulla piazza prima dell’inizio dello spettacolo. Mi si obietterà che introdurre anche dei semplici metal detector sarebbe stato impossibile, proprio perché la piazza è di tutti. Ragionando così non ci si avvede della contraddizione: chi si fa garante dell’accesso indiscriminato deve anche preoccuparsi della incolumità di ciascuno. Ma soprattutto si prende la responsabilità di esporre la folla al capriccio dei folli, come proprio la cronaca più recente in giro per il mondo testimonia. Ho il diritto di pretendere che la pubblica autorità si faccia carico della protezione di ogni singolo individuo. Se non ho questa garanzia, che fiducia posso ancora nutrire nelle istituzioni? Anche sotto questo aspetto gli stadi sono già strutturati per un accesso controllato e dispongono di vie d’uscita adeguate.
Passeggiando nella zona poco prima che la partita avesse inizio ho ancora notato le vagonate di birra che arrivavano sotto gli occhi assenti delle forze dell’ordine, nonostante un’ordinanza ne avesse proibito la distribuzione. Le bevande alcoliche, si sa, infiammano gli animi. Ma qualche volta il contenitore può rivelarsi non meno pericoloso del contenuto. E così è stato. Senza i vetri delle bottiglie il bilancio dei feriti sarebbe stato assai più ridotto e il lavoro di recupero molto meno gravoso. Mi è sovvenuto il raffronto con quanto avviene negli aeroporti: non mi si venga più a raccontare che una mamma che sale sull’aereo con il biberon per il proprio bambino mette a repentaglio la sicurezza del volo!
C’è peraltro un’affermazione singolare che ho sentito ripetere. “Occorre educare la folla a contenere le proprie reazioni”, asserisce qualcuno. Non occorre aver letto i Promessi Sposi per rendersi conto che le emozioni del profanum volgus ben difficilmente si prestano a essere governate a priori. La paura fa parte del vivere umano. Nel nostro caso la folla ha reagito con piena consapevolezza del rischio che correva e quindi, per paradossale che sia, con maturità. Aggiungo che la cultura piemontese, tradizionalmente educata alla compostezza e alla solidarietà, ha evitato danni addirittura peggiori. Avrei trovato molto più preoccupante un atteggiamento statico e passivo: se il pubblico non si fosse mosso avrebbe dimostrato di non capire niente. Un ulteriore spunto di riflessione per i nostri amministratori.
Non ho nulla contro il gioco del pallone. Nelle fonti rabbini che se ne parla già dal Medioevo (Tos. Betzah 12a; Resp. R. Moshe Provenzalo, Mantova, sec. XVI, Orach Chayim, Il. 53). Ben venga, nella misura in cui si tratta di una manifestazione di coesione e di civiltà. Ma non pensiamo che il “dio calcio” ci protegga da tutti i mali. Purtroppo abbiamo constatato che questo non è vero.
Pagine Ebraiche – agosto 2017