…proveniente da una qualsiasi Comunità della Golah dovesse ritrovarsi in Eretz Israel fra il 7 Marcheshvan e il 4 dicembre, come si regolerebbe per la Tefillah? E’ noto infatti che 1) in autunno è tempo di aggiungere nello Shemoneh ‘Esreh la richiesta della pioggia (sheelat gheshamim), ovvero l’espressione Tal u-Matar nella 9^ Berakhah Barèkh ‘Alenu (nel nostro rito); 2) che essendo il problema pioggia molto sentito tale aggiunta è vincolante (me’akkevet) al punto che chi la dimenticasse deve tornare indietro e 3) che i Chakhamim hanno stabilito una data d’inizio differente per Eretz Israel e la Babilonia (cui si adegua tutta la Golah).
La Babilonia è la “terra in mezzo ai fiumi” che la irrigano e pertanto può tardare l’inizio della richiesta della pioggia a 60 giorni dopo l’equinozio d’autunno secondo il calcolo dei nostri Maestri (Shemuel; ciò spiega perché nella Golah viene fissato in una data civile, il 4 dicembre ovvero il 5 se l’anno solare successivo è bisestile). L’urgenza che invece si ha della pioggia in Eretz Israel fa sì che vi si anticipi la data il più possibile: è stata accolta l’opinione di Rabban Gamliel per la sera del 7 Marcheshvan, due settimane dopo la fine delle feste allorché anche il più distante dei pellegrini sarà potuto rincasare nel frattempo da Yerushalaim (Mishnah Ta’anit 1,3; il Ran spiega che la norma non è stata modificata dopo la Distruzione perché ancora oggi le feste sono occasione di viaggio in Eretz Israel sebbene la Mitzwah del pellegrinaggio sia sospesa)..
Vi è pertanto un lasso di alcune settimane ogni autunno in cui si produce una discrepanza fra Eretz Israel e la Golah. Il problema si pone appunto per chi si trasferisce da un posto all’altro in questo periodo. Torniamo al nostro viaggiatore che dalla Golah si reca in Eretz Israel e al quesito iniziale: nella sua Tefillah dovrà regolarsi secondo le proprie abitudini di provenienza o secondo quelle del luogo in cui giunge? Vi sono risposte diverse a questo interrogativo. I protagonisti di questa controversia sono illustri Posseqim sefarditi italiani che già abbiamo incontrato a discutere fra loro. Il Perì Chadash di Livorno scrive che deve regolarsi anche qui come nell’osservanza del Yom Tov Shenì shel Galuyyot, a seconda che abbia intenzione di tornare indietro oppure no: se sì prega come fuori da Israele, se invece intende stabilirvisi si adegua all’uso del posto. Di diverso avviso il Devàr Shemuel (Abohab di Venezia). Nel suo breve Responso n. 323 egli dice che questo problema non può essere paragonato a quello dell’osservanza del Yom Tov Shenì shel Galuyyot dove almeno se questo signore ha intenzione di tornare indietro deve attenersi ai rigori del luogo di provenienza. Qui non si tratta di osservare un giorno di festa in più o in meno. Qui si tratta di pregare per un’esigenza collettiva. Nel momento in cui prego, argomenta il Devàr Shemuel, penso ai bisogni del luogo in cui mi trovo in quel momento, perché sono quelli che mi coinvolgono personalmente. Se durante il viaggio in Israele fossi colpito da siccità, ciò desterebbe la mia preoccupazione al pari degli abitanti del luogo benché io sia consapevole che invece nel mio paese d’origine sta piovendo a dirotto! In base al Devàr Shemuel si stabilisce dunque che chi si reca in Eretz Israel dal 7 Marcheshvan in poi aggiunge Tal u-Matar nella propria Tefillah secondo l’uso del luogo a prescindere dai suoi programmi per il futuro. Con il Devar Shemuel concorda il Chidà di Livorno (Birkè Yossef a O.Ch. 117, n. 5) e il Kaf ha-Chayim di Baghdad (n. 11).
Tutto bene per chi non ha intenzione di tornare nella Golah prima del 4/5 dicembre: se infatti torna indietro a partire dal momento in cui anche nel suo paese d’origine si sarà cominciato ad aggiungere Tal u-Matar non si produrrà alcuno iato nelle sue Tefillot. Ma se il suo viaggio dovesse essere più breve ed egli rientrasse prima di questa data? Anche su questo ci sono opinioni differenti. C’è chi scrive che in base alla stessa logica di cui sopra dovrebbe smettere l’aggiunta e tornare a pregare come hanno fatto finora i membri della sua Comunità, adeguandosi nuovamente all’uso del luogo. Altri invece sostengono che chi ha cominciato a domandare la pioggia non può più interrompersi per i giorni mancanti fino al 4/5 dicembre e poi riprendere insieme a tutti gli altri: sarebbe un’incoerenza ridicola e disdicevole (chukha’ we-itlula’)! Sul piano collettivo, inoltre, la stagione delle piogge è comunque già cominciata dopo Sukkot sebbene non se ne avverta ancora l’esigenza fuori da Israele e dunque avanzare la richiesta in questi giorni non è fuori luogo per principio.
Pertanto questi Posseqim ritengono che egli debba seguitare a chiedere la pioggia sebbene le persone che pregano intorno a lui non lo facciano ancora. Una terza linea di pensiero fra i Posseqim si rende peraltro conto dell’esistenza di questo problema e propone una soluzione di compromesso. E’ nota la Halakhah per cui chi ha una richiesta personale a H. da aggiungere a quelle già comprese nel testo tradizionale dello Shemoneh ‘Esreh ha la possibilità di farlo o nella Berakhah che tratta dello stesso argomento (p. es. una richiesta di guarigione in Refaenu), o in Shemà’ Qolenu, la 16^ e ultima Berakhah di richiesta in cui domandiamo a D. genericamente di ascoltare tutte le nostre preghiere. Nel nostro caso la soluzione sarebbe che questo viaggiatore, dal momento in cui rientra nella Golah prima del 4/5 dicembre e fino a questa data, aggiunga Tal u-Matar non in Barekh Alenu, che reciterà come tutti gli altri, bensì in Shemà’ Qolenu. Per l’esattezza pronuncerà le parole We-ten Tal u-Matar li-Vrakhah prima di Ki Q-el shomea’ Tefillah… (Yalqut Yossef, n. 17).
Sul caso inverso di un viaggiatore israeliano che si trova nella Golah nel periodo intermedio i più autorevoli Posseqim del nostro tempo ritengono invece che sia da seguirsi la Pessiqah del Perì Chadash. Pertanto se il viaggiatore ha intenzione di rientrare in Israele, ovvero non abbia questa intenzione ma abbia lasciato in Israele la propria famiglia, debba pregare conformemente all’uso di Eretz Israel e richiedere la pioggia (R. ‘Ovadyah Yossef, Resp. Yechawweh Da’at II, n. 11; R. Eli’ezer Waldenberg, Resp. Tzitz Eli’ezer VI, n. 38; R. Moshe Feinstein, Resp. Iggherot Moshe O.Ch. II, n. 102). Alcuni ritengono opportuno che se ha lasciato Israele prima del 7 Marcheshvan sia meglio che aggiunga We-ten Tal u-Matar in Shemà’ Qolenu da quella data fino al 4 dicembre. Ma se ha lasciato Israele dopo il 7 Marcheshvan, per cui ha già cominciato a inserire la Sheelat Gheshamim regolarmente in Barekh ‘Alenu, secondo tutti continuerà a farlo anche nella Golah (Yalqut Yossef n. 15-16).
Sintesi: Chi si reca in Eretz Israel dal 7 Marcheshvan in poi aggiunge Tal u-Matar nella propria Tefillah secondo l’uso del luogo in ogni caso, sia che intenda rimanere, sia che voglia tornare indietro. Questo viaggiatore, dal momento in cui rientra nella Golah prima del 4/5 dicembre e fino a questa data, continua a inserire Tal u-Matar non in Barekh Alenu, che reciterà come tutti gli altri, bensì in Shemà’ Qolenu. Per l’esattezza pronuncerà le parole We-ten Tal u-Matar li-Vrakhah prima di Ki Q-el shomea’ Tefillah… Sul caso inverso di un viaggiatore israeliano che si trovi nella Golah nel periodo intermedio fra le due date i più autorevoli Posseqim del nostro tempo ritengono invece che la cosa dipenda dall’intenzione: se ha intenzione di rientrare in Israele, ovvero non ha questa intenzione ma ha lasciato in Israele la propria famiglia, deve pregare conformemente all’uso di Eretz Israel e richiedere la pioggia. Alcuni ritengono opportuno che se costui ha lasciato Israele prima del 7 Marcheshvan aggiunga We-ten Tal u-Matar in Shemà’ Qolenu da quella data fino al 4 dicembre. Ma se ha lasciato Israele dopo il 7 Marcheshvan, per cui ha già cominciato a inserire la Sheelat Gheshamim regolarmente in Barekh ‘Alenu, secondo tutti continuerà a farlo anche nella Golah.