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Note di Rav Di Porto ad integrazione della traduzione e del commento della Giuntina, recentemente pubblicato
- secondo quanto scritto nella ghemarà in Ta’anit (9a), che le nuvole di gloria proteggevano il popolo ebraico per merito di Aharon.
- Secondo il Midrash (Tanchumà, parashat Chuqqat) il re di ‘Arad che attaccò il popolo ebraico era ‘Amaleq, e non Sichon, come è scritto nel piut di parashat Zakhor, composto da El’azar ha-Qalir (che ha come tema ‘Amaleq): “cambiò abiti e lingua”, travestendosi da re di ‘Arad. Ma anche se così fosse quanto dice la ghemarà è corretto, perché ‘Amaleq assunse le sue sembianze (Tosafot).
Secondo un’altra interpretazione invece ‘Amaleq cambiò solamente la lingua, perché in questo modo il popolo ebraico non avrebbe potuto comprenderne distintamente la provenienza, e non avrebbe potuto pregare per salvarsi (Maarshà, seguendo il commento di Rashì alla Toràh). Infatti impariamo da Ya’aqov, che disse “salvami dèh da mio fratello, da ‘Esav”, che quando si prega bisogna utilizzare riferimenti precisi (Zohar). - La ghemarà si avvale della tecnica interpretativa dell’”al tiqrè”. Nello specifico si dice di non leggere “wayrù – videro” bensì “wayeraù- e furono visti”, e conseguentemente si modifica anche il senso del termine “ki”, che può assumere vari significati, e in questo caso introdurrebbe una proposizione causale “il popolo fu visto poiché era morto Aharon”, e non una dichiarativa “il popolo vide che era morto Aharon”. Ki infatti può significare “se”, “forse”, “poichè” o “ma”, ma non “che”. Quando si vuole introdurre una proposizione temporale si usa invece “im”, ed è possibile che “ki” in alcuni casi assuma questo senso (Rashì). Il senso più frequente del termine “ki” è comunque “se” (Tosafot). La necessità di leggere il verso diversamente deriva dalla considerazione del fatto che solamente Moshèh ed El’azar, figlio di Aharon, assistettero alla morte di Aharon; la ghemarà non segue pertanto il midrash secondo cui il popolo vide la bara di Aharon, riportato da Rashì nel suo commento alla Toràh (Maharshà).
- Sia l’Arukh che Rashì lo identificano con l’asino selvatico africano (Equus africanus).
- Nel Tanakh non si contano i giorni della settimana, e non è possibile portare una prova dalla creazione del mondo dove si parla di “secondo giorno”, “terzo giorno”, ecc., perché in quel brano il conteggio non si riferisce al giorno della settimana, ma alla creazione (Talmud Yerushalmì). Inoltre in quel brano inoltre non sarebbe stato possibile fare un conteggio in base ai mesi o agli anni (Ritvà). In ebraico, al contrario delle altre lingue, i giorni della settimana non hanno un nome, ma vengono indicati con un numero ordinale in relazione allo Shabbat, di modo tale da ricordarsi sempre dello Shabbat quando si nomina un giorno della settimana; allo stesso modo i mesi non hanno un nome ma si relazionano sempre all’uscita dall’Egitto; i nomi che utilizziamo ora infatti (Tishrì, Cheswan, ecc. arrivano da Babilonia (Ritvà).