“Ricordo a tuo favore la bontà della tua gioventù, l’amore delle nozze con te, il fatto che mi venisti dietro nel deserto, in terra non seminata”, dice H. a Israele per bocca del profeta Yirmeyahu. Insomma, per quarant’anni siamo stati ospiti del Santo Benedetto. Perché solo per il beneficio divino del pernottamento al riparo delle Sukkot o delle Nubi di Gloria (‘anenè kavod) è stata stabilita una festa annuale, e non invece per il cibo (la manna) e per l’acqua, che secondo la tradizione proveniva dal pozzo di Miriam che seguiva miracolosamente i Benè israel per tutte le tappe nel deserto?
- Quando si parla di “pensione” ancora oggi, soprattutto negli alberghi kasher, si dà per scontato che sia “completa”, cioé compresa di vitto e bevande. La Halakhah stabilisce che chi si impegna a sostenere il prossimo dandogli mezonot si riferisce solo a cibo e bevande escludendo l’alloggio, ma se parla di parnassah che allude all’alloggio comprende anche il cibo e le bevande.
- Il vitto e le bevande sono ricordate anch’esse durante Sukkot ma sotto la forma di una Mitzwah diversa dalla Sukkah, quella della Simchat Chag. Come dicono i Maestri eyn simchah ellà be-bassar u-v-yayin, la Simchah festiva consiste proprio nel mangiare carne e bere vino.
- Cibi e bevande non hanno meritato di essere ricordate con una festa a parte perché sono state date da H. dopo proteste da parte del popolo. Non così il dormire. Ciò ci insegna che di fronte alle difficoltà solo il prodotto dell’umana pazienza merita memoria.
- Il Midrash attesta che le Sukkot sono state date per i meriti di Aharon, mentre la manna per quelli di Moshe e l’acqua per quelli di Miriam. Scegliendo solo il primo beneficio si vuole mettere in risalto che Aharon era stato perdonato per il peccato del Vitello d’Oro, evidentemente perché aveva fatto Teshuvah. Dopo Kippur siamo un po’ tutti come Aharon. La Mitzwah della Sukkah ci insegna che H. perdona tutti coloro che fanno Teshuvah sincera. Per questo leggiamo la Parashat Ki Tissà nello Shabbat Chol ha-Mo’ed di Sukkot: il brano della Torah che narra della preghiera di Moshe dopo la trasgressione del Vitello d’Oro.