Rav Baqshì Doron, Shut binian Av 3, 36
Come saprete i lulavim che riusciamo ad ottenere non sono forniti di ‘aravot, con ogni probabilità per via della loro estrema delicatezza, e la raccolta delle ‘aravot avviene nei giorni precedenti alla festa, per fare la mitzwah degli arba’ah minim nel modo migliore. Certamente, prescindendo da fattori climatici e di crescita delle piante, che al momento non sono in grado di giudicare, sarebbe molto comodo avere delle piante di ‘aravah all’interno degli edifici comunitari, e per questo mi chiedevo se è possibile immaginare qualcosa del genere, piantando dei salici, ma per questo si dovrebbe avere un terreno adatto, o mettendoli in un vaso.
La questione non è da poco, infatti qui a Torino abbiamo la fortuna di avere dei salici a disposizione, ma non in tutte le comunità della diaspora questo è possibile. Pertanto in passato si è posta la domanda sulla possibilità di utilizzare ‘aravot che siano cresciute in un vaso. Con questa questione si è confrontato l’ex rabbino capo sefardita di Israele, Rav Eliahu Baqshi Doron, in una teshuvah in Binian Av 3,26. Interrogato da alcuni agricoltori della Galilea, il rav anzitutto elenca i vantaggi della cosa, primo fra tutti quello di poter sostituire i rami durante la festa secondo necessità, oltre a quello di poter rifornire le comunità più lontane e meno rifornite nel mondo. Inoltre anche i guadagni sarebbero tali da risultare una fonte di sostentamento per gli agricoltori e aiutare la mitzwah dell’Ishuv in Eretz Israel.
Per le quattro specie del lulav devono essere presi in considerazione due aspetti, quello puramente estetico, perché il lulav deve essere hadar, di bell’aspetto, e quello della kasherut delle specie considerate, e quindi la domanda è se si può recitare berakhah su queste ‘aravot. Nonostante si tratti di un’introduzione abbastanza recente i poseqim si erano già confrontati in passato con questa questione. Il Kitzur Shulkhan ‘Arukh (136,2) scrive che bisogna “fare attenzione alle specie cresciute in Ashkenaz, che non siano frutto di un innesto e che non siano cresciute in un vaso non bucato”. Secondo il Kitzur quindi non si può recitare berakhah su specie cresciute in un vaso non bucato. Il Chayiè Adam (152,2) su questo punto sospende il giudizio. In Nishmat Adam dopo aver esaminato la cosa propende per permettere, ma nell’applicazione pratica preferisce non esprimersi in un senso o nell’altro.
Sedè Chemed (Quntres arba’at ha-minim 3) porta varie opinioni di facilitanti. L’Arukh ha-shulkhan (645,21) riporta la pratica di piantare queste specie in casa, e che c’è qualcuno che dubita della cosa, concludendo che “Minhag Israel Torah hù”, mostrandosi quindi facilitanti. Riportate queste fonti Rav Baqshi Doron scrive che trattandosi di arba’at ha-minim è opportuno avvalersi di vasi bucati, affinché sia possibile recitare la berakhah secondo tutte le opinioni. I vasi devono avere sul fondo un buco di circa due centimetri e mezzo, crescendo in prossimità del terreno e non per esempio su un tavolo. Non è indispensabile che vi sia contatto diretto con il terreno, ma serve che il buco nel vaso, posto ad un’altezza inferiore a dieci palmi, “veda” il terreno.