Una Succà che non sia alta almeno 10 palmi (circa 1 metro) non è valida. (Mishnà, Succà 1:1)
I Chakhamim, i nostri Maestri, come del resto già la Torà stessa, hanno la mania per le misure dettagliate e precise. Quella mania del dettaglio e quella pignoleria che spesso sono dure da digerire per molti benpensanti, ebrei e non. L’Uomo halakhico, per utilizzare la terminologia di Rav Soloveitchic zatzal, non è molto diverso, per certi aspetti, dall’uomo di scienza. Come questo, l’uomo halakhico osserva i fenomeni naturali, ne determina le caratteristiche spaziali e temporali, e le confronta con un sistema coerente di leggi (la halakhà). Osserva il sorgere del sole, e ne deduce che è il momento di mettersi il Tallet e i Tefillin e di recitare lo Shemà. Vede una sorgente e si chiede se ha i requisiti fisici (misura, qualità dell’acqua) per potervi fare la Tevilà (il bagno rituale) come in un Miqvè. E, possiamo aggiungere, diamogli una bilancia in mano la vigilia di Pesach, ed egli misurerà i 30 grammi di Matzà, pari alla misura di un’oliva che bisogna mangiare durante il Seder. Diamogli un metro a Succoth, ed egli misurerà la altezza e la larghezza della Succà per controllarne la validità.
Cosa c’è dietro questa mania del dettaglio e della misura? Proviamo ad analizzare il caso della Succà e vediamo se siamo in grado di rispondere a questa domanda.
Il Talmud, nel trattato di Succà (pag.4b), si chiede da dove s’impari che l’altezza minima della Succà debba essere di 10 tefachim (10 palmi, circa 1 metro). E si risponde: si impara dalle dimensioni dell’Aron ha-Qodesh (l’Arca santa, che conteneva, fra l’altro, le Tavole della Legge). L’Aron si trovava nel Mishkan, il Tabernacolo costruito nel deserto, che accompagnava gli ebrei durante il loro viaggio. La Torà afferma esplicitamente che l’Aron deve essere alto 1 ammà e mezzo (Esodo 25:10). Una ammà equivale a 6 tefachim, pertanto l’Aron è alto 9 tefachim: a questi bisogna aggiungere l’altezza del kapporeth (il coperchio), che è di un tefach. L’altezza totale dell’Aron era quindi di 10 tefachim.
Ma perché dedurre l’altezza della Succà dall’altezza dell’Aron? Il ragionamento del Talmud è il seguente: è scritto (Es. 25:2) che “Io (D-o) Mi manifesterò a te (Mosè) e parlerò da sopra il kapporeth”; d’altra parte, afferma Rabbì Jossè, la Shekhinà (la Presenza divina) non è mai scesa (proprio) sulla terra, così come né Mosè né il profeta Elia sono mai saliti (proprio) fino al cielo, perché è scritto (Salmi 115:16) “il Cielo appartiene a D-o, e la terra (Egli) l’ha donata agli uomini”. Cielo e terra sono due domini differenti e separati, il primo appartenente a D-o, e l’altro all’uomo. Poiché D-o parla da sopra l’Aron (alto 10 tefachim, 1 metro) si deduce che al di sopra di 10 tefachim è dominio di D-o (cielo) e al di sotto di 10 tefachim è considerato ancora terra, dominio dell’uomo: 10 tefachim sono quindi la misura minima per poter esser considerati un dominio a sé stante.
Ecco dove stiamo arrivando parlando di centimetri: stiamo parlando del dominio di D-o e del dominio dell’uomo, del fatto che sono due domini separati e che D. non può (o non vuole) entrare nel dominio dell’uomo, e l’uomo non può arrivare del tutto fino al dominio celeste. E così abbiamo creato un collegamento fra la Succà e l’Arca santa.
È questo accostamento una forzatura, frutto della mente (apparentemente) contorta dei Maestri del Talmud, o è possibile individuarlo già nella Torà stessa? Invece di parlare di misure, parliamo adesso di date, altro argomento ostico (vedi Rashì a Es.33:11).
La Torà ci dice che l’uscita dall’Egitto avvenne il 15 del primo mese (Nissan) (Es. 12). La Torà poi afferma che all’inizio del terzo mese (Sivan), i figli di Israele arrivarono nel deserto del Sinai (Es. 19:1); Mosè salì sul monte e ne scese ripetute volte, finché il 6° giorno del mese (o il 7°, secondo altri) D-o promulgò il Decalogo. Dopo la promulgazione dei Dieci Comandamenti Mosè salì di nuovo sul Monte Sinai per ricevere le Tavole della Legge, e vi rimase 40 giorni e 40 notti (Es. 24). Allo scadere di questo tempo, poco prima che Mosè ridiscendesse dal monte, gli ebrei si costruirono il Vitello d’oro, alla vista del quale Mosè spezzò le tavole (Es. 32): questo avvenne quindi il 17 del 4° mese (Tammuz), giorno che in seguito fu caratterizzato da altri avvenimenti funesti, come la distruzione di Gerusalemme, e in cui noi digiuniamo. Dopo aver punito tutti coloro che si erano macchiati di idolatria, il 19 di Tammuz Mosè risalì sul monte Sinai, e pregò il Sig-ore per 40 giorni e 40 notti affinché Egli recedesse dal proposito di respingere il popolo ebraico (Es. 32:30); alla conclusione di questo periodo, il Sig-ore accolse le suppliche di Mosè (Deut. 9 e 10). Quel giorno era quindi il primo del 6° mese (Rosh Chodesh Elul) (40 giorni dopo il 19 del 4° mese) e per tal motivo questo giorno è divenuto l’inizio del periodo penitenziale, nel quale maggiormente le nostre preghiere vengono ascoltate dal Santo Benedetto. Quel giorno il Sig-ore disse a Mosè di scolpirsi altre due Tavole, sulle quali sarebbero stati scritti di nuovo i Dieci Comandamenti (Es. 34). Mosè risalì sul monte, vi rimase altri 40 giorni e 40 notti, e ridiscese con le seconde Tavole, simbolo del perdono concesso da D-o al popolo di Israele. Quaranta giorni dopo Rosh Chodesh Elul è esattamente il 10 di Tishrì (il settimo mese), ossia il giorno di Kippur: per questo motivo tale giorno è il giorno di espiazione dei peccati e il giorno del perdono.
All’indomani (l’11 di Tishrì) Mosè diede le disposizioni per la costruzione del Tabernacolo: per due giorni furono portate le offerte (oro, argento, tessuti ecc.), poi ci fu un’interruzione a causa dello Shabbbath, e subito dopo, la domenica, iniziò la costruzione del Mishkan (Es. 35e 36; cfr. il commento del Ba’al ha-Turim a Es. 36:6, del Gaon di Vilna a Shir Ha-Shirim 4:16, del Meshekh Chokhmà a Es. 23:16, e il Sefer ha-Toda’à).
Quella domenica era quindi il 15 di Tishrì (11+2+1+1): questo è il giorno in cui inizia Succoth! Ecco che il collegamento fra Succà e Mishkan che il Talmud ha tirato fuori discutendo di centimetri si trova , in realtà , già nella Torà stessa!
Ora che abbiamo scoperto questo nesso fra Succà e Aron ha-Qodesh, sia nelle parole dei nostri Maestri (la Torà orale) come in quelle della Torà scritta, possiamo forse capire meglio il significato (o un significato) della Succà: se la Succà è paragonata all’Arca santa, allora quando noi entriamo dentro la Succà non stiamo entrando soltanto in una capanna di canne e frasche, ma stiamo entrando, per così dire, nell’Arca santa stessa, a contatto con le Tavole della Legge e con il Sefer Torà scritto dalle mani di Mosè! Mi sembra una conclusione notevole, che è stato possibile raggiungere solo partendo dalla mania per le date e le misure precise dei nostri Maestri (e della Torà).
C’è da sottolineare un altro fatto. La Mishnà fornisce una misura per l’altezza minima e massima della Succà, e per la larghezza minima: però, non viene data nessuna limitazione per quanto riguarda la larghezza o la lunghezza massima. Una Succà, purché non più alta di 20 cubiti (circa 10 metri), può anche essere lunga e larga centinaia di metri ed essere perfettamente valida. Visto che i nostri Maestri sono così precisi, l’assenza di questo dettaglio non può essere senza significato. In effetti i nostri Maestri hanno affermato che quando verrà il Messia, il Sig-ore Idd-o costruirà un’enorme Succà dove potrà stare tutto il popolo d’Israele e con questo tutta l’umanità.
Che presto, ai nostri giorni, si possa risiedere tutti quanti sotto questa grande ed unica Succà!
(originalmente pubblicato su Radici-Shorashim, anno VI, n. 21, 5752-1991 – Pubblicato successivamente su Shalom)