La persecuzione razziale nel pesarese, 1938-1944
Andrea Bianchini
Premessa
Il presente saggio trae la propria base documentaria dalle ricerche che l’Istituto per la storia contemporanea di Pesaro e Urbino conduce da tempo sui temi dell’antisemitismo, del regime fascista e della Shoah. Presso la biblioteca-archivio “Bobbato” di Pesaro esiste una quantità di materiali eterogenei, di varia provenienza, che permettono di comprendere meglio cosa avvenne nella città di Pesaro e in provincia durante la persecuzione antiebraica 1. Una traccia di ricerca importante, essenziale alla ricostruzione di questa storia, caratterizzata da vicende complesse e ancora scarsamente indagate.
Se sul tema della Shoah si registra una crescente attenzione a livello nazionale, grazie a numerose iniziative scientifiche e istituzionali 2, diversa è la situazione per le memorie locali delle singole realtà e per quella che potremmo definire la coscienza collettiva del fenomeno. Nella memoria delle varie comunità locali ha infatti prevalso un meccanismo di rimozione o spesso di superficiale inconsapevolezza rispetto alla gravità dei fatti. La provincia di Pesaro e Urbino non si distacca sostanzialmente da questo paradigma, quanto accadutovi ha subito un allontanamento psicologico e una decontestualizzazione rispetto alla storia del territorio.
E’ quindi importante riportare nella specificità della scala provinciale alcuni meccanismi sociali, politici, psicologici che hanno caratterizzato lo svolgersi della persecuzione razziale. Come fu possibile che la tradizionale periferia dell’Italia, composta delle tante Pesaro, Pennabilli, S. Agata Feltria, ecc., sia divenuta nel 1943-44, per una sorta di mostruoso processo di globalizzazione del terrore, la periferia di centri i cui nomi ancora interrogano le nostre coscienze: Auschwitz, Buchenwald, Risiera di S. Sabba? Fascismo e nazismo finirono per dar vita, in quegli anni, ad un immenso sistema integrato dell’orrore, in cui anche il territorio pesarese venne inserito e di cui oggi restano poche tracce.
I prodromi
La provincia di Pesaro e Urbino, prima del 1938, non aveva manifestato significativi segnali di antisemitismo. Prendendo quale cartina di tornasole un episodio urbanistico della prima metà degli anni ‘30, lo sventramento di una parte del ghetto di Pesaro, questo non venne accompagnato, almeno pubblicamente, da alcuna connotazione antisemita. Eppure l’operazione, se fosse avvenuta cinque anni più tardi, si sarebbe prestata a facili interventi propagandistici. L’opera consisteva nell’eliminazione di alcuni malandati edifici nell’area dell’antico ghetto, per lasciar spazio al “modernissimo e grandioso” 3 palazzo del consiglio delle corporazioni e a un ampio piazzale su cui erigere altre moderne e granitiche costruzioni. Nella propaganda dell’epoca, che esaltò l’intervento, si ravvisano motivazioni: urbanistiche, igienico-sanitarie, politiche, ma non razziali. In una condizione “normale”, di chi non conoscesse il tragico esito degli eventi, ciò può apparire logico e naturale, dato che l’area del ghetto di Pesaro ormai da anni non rappresentava più il luogo di residenza della comunità ebraica, emigrata e dispersa.
Negli anni successivi la stampa locale, senza dimostrare originalità rispetto a quella nazionale, avrebbe iniziato, in concomitanza con l’impresa coloniale etiopica, ad enfatizzare i toni razzistici e imperialistici, legittimando l’idea che la “razza italica” fosse destinata a dominare il mondo. Ma gli strali accentuatamente razzistici, in quell’occasione, si erano indirizzati contro i neri africani, i protestanti plutocrati anglicani, le meticce democrazie occidentali, la perversa e ormai magrebina Parigi, non contro gli ebrei. Inoltre, con specificità tutta pesarese, l’impresa africana era stata incentrata dalla locale propaganda sull’esaltazione di Antonio Cecchi, l’esploratore pesarese reinterpretato come antesignano e martire delle imprese coloniali fasciste 4. Questo forte motivo locale finì per porre in secondo piano i temi razzistici che accompagnarono la guerra.
L’impresa etiopica aveva costituito un salto di qualità sia nelle alleanze internazionali del regime, con l’avvicinamento alla Germania – preludio al Patto d’Acciao -, sia nel frasario propagandistico che da lì in poi sarà più incline al tema razzistico e all’uso di toni esasperati. Ma nessuno poteva presagire in provincia che cosa l’accostarsi alla politica tedesca avrebbe comportato. Nei numerosi interventi locali, in continua e più o meno esplicita polemica con le logge massoniche, prima del 1938 non si riscontra traccia di quella che diventerà invece, nella temperie antisemita successiva, un’associazione quasi obbligata, sintetizzata nel connubio “giudaico-massonico”, a cui di volta in volta vennero attribuite le più nefande e disparate colpe.
Non è qui luogo di affrontare il problema dell’avvicinamento italo-tedesco e della genesi delle leggi razziali5, quanto invece di rilevare i riflessi di questi eventi sul periferico mondo pesarese. La svolta si verificò nell’agosto del 1938. Infatti dopo che a luglio, presso il ministero dell’Interno, l’ufficio demografico centrale era stato trasformato in direzione generale per la demografia e la razza, a livello locale si assiste a due parallele azioni: l’inizio delle operazioni di censimento e un’improvvisa intensa campagna propagandistica a mezzo stampa.
Il censimento
Le operazioni di censimento costituirono il punto centrale della nascente campagna razziale e videro impegnati, dall’agosto in poi, gli uffici demografici e le anagrafi comunali, oltre alle autorità periferiche dello Stato. Si mise in movimento una complessa macchina burocratica destinata alle laboriose operazioni di determinazione della razza. Il censimento degli ebrei del 1938, separato e completamente nuovo rispetto a quello che si era tenuto nel 1931, fu il primo atto destinato a sancire agli effetti dello stato civile la separazione ufficiale tra gli appartenenti alla razza ariana e quelli di razza ebraica.
Con la circolare n. 872 del 16 agosto 1938 della prefettura di Pesaro e Urbino ai podestà e commissari prefettizi iniziavano, anche in provincia, le operazioni di censimento degli ebrei 6. Il documento giunto al podestà di Pesaro divenne oggetto di attento studio da parte del competente ufficio anagrafico, come testimoniano le marcate e copiose sottolineature apposte sull’originale. La parte più intensamente sottolineata è relativa al paragrafo in cui si indica che dovevano “essere compresi nella rilevazione non solo gli ebrei iscritti ai registri delle comunità israelitiche riconosciute, ma tutti coloro che risiedono, anche temporaneamente, in un comune di questa provincia e che comunque risultino di razza ebrea”.
Ma chi era ebreo? Le indicazioni contenute nella circolare testimoniano il “salto di qualità” della politica razzista del fascismo e la sua sostanziale discontinuità rispetto alla discriminazione antigiudaica che aveva interessato la provincia pesarese durante lo Stato pontificio 7. La novità è il criterio di determinazione dell’appartenenza alla categoria degli ebrei. Il concetto su cui si basa l’intera pratica persecutoria è fondato, infatti, sull’idea di appartenenza razziale determinata attraverso criteri biologici, rispetto ai quali la professione religiosa diviene secondaria. L’introduzione del criterio biologico fu un salto di civiltà enorme. Fino ad allora l’unico elemento rilevato demograficamente attinente all’essere “ebreo” era stata la specifica religiosa, che veniva indicata nel censimento ordinario della popolazione. Non meraviglia quindi che nella circolare risulti particolarmente marcato proprio il passo che indica che l’appartenenza alla razza ebraica prescinde dal fatto che gli individui suddetti siano “professanti altra o nessuna religione” o che “abbiano abiurato in qualsiasi epoca” o che siano attraverso matrimoni “passati a far parte di famiglie cristiane” 8.
Il nuovo criterio razzistico all’ufficio demografico del comune di Pesaro provoca difficoltà interpretative e perplessità procedurali, sintomo di quanto fosse difficile determinare improvvisamente, per legge, una razza.
Il prefetto invitava a servirsi, con il necessario riserbo, di tutte le fonti possibili 9. Il tempo dato ai comuni per tali operazioni era limitatissimo: entro e non oltre il 24 agosto. E’ interessante una nota di servizio in fondo alla circolare, che recita: “unisco n. 15 schede, ove non fossero sufficienti inviate incaricato a ritirarne altre”. Tale frase lascia trapelare che neanche la prefettura, organismo centrale nel governo, aveva stime anche solo approssimative di quanti fossero realmente gli ebrei in provincia, risultanti da questo nuovo computo biologico.
Alla circolare del 16 agosto segue un chiarimento indirizzato ai podestà di Pesaro, Fano, Urbino, Fermignano, Pergola, Mercatello, Mondolfo 10. Oltre a disposizioni relative agli ebrei non residenti, temporaneamente presenti ed altri casi, in questo secondo documento, maiuscolettata per evidenziarla, compariva la seguente frase: “deve considerarsi di razza ebrea colui che discende anche da un solo genitore ebreo” 11. Tale indicazione biologica pura, estensiva rispetto ai provvedimenti razziali definitivi di novembre, creerà malintesi, angosce, richieste di correzione, soprattutto in una comunità dalla tipologia quale quella che emergerà a Pesaro dal censimento.
Meno noto è il fatto che le disposizioni demografico-razziali furono precedute in quell’estate da una delicata indagine in cui vennero impiegati gli organi di polizia. Con circolare riservatissima del ministero dell’Interno, datata 6 agosto 1938, veniva aperto anche nella prefettura di Pesaro un fascicolo relativo ad accertamenti sulle proprietà ebraiche mobili e immobili 12. Con disposizione del 10 agosto 1938 la prefettura allertava le questure di iniziare una dettagliata indagine finanziaria, finalizzata a determinare in via riservata il patrimonio posseduto dagli ebrei nella provincia 13. Si temeva infatti che gli ebrei, avvertiti in qualche forma delle prossime disposizioni, vendessero proprietà, aziende o quant’altro, realizzando un capitale convertito in oro e preziosi da trasferire clandestinamente all’estero, finendo addirittura col turbare il locale mercato finanziario.
Gli esiti, nella nostra provincia, rimandano inequivocabilmente sia una presenza ebraica assai lontana dallo stereotipo di ricchezza promosso dai luoghi comuni e dalla propaganda, sia il comportamento del tutto inconsapevole degli ebrei che non potevano neanche immaginare quanto distante si sarebbe spinta la campagna razziale italiana. Così il maresciallo incaricato dell’indagine risponde in data 18 agosto 1938: “nessuno aumento di acquisti di preziosi o vendite si è verificato; né risulta che ebrei locali abbiano liquidato le proprie aziende o venduti i propri beni per convertirli in acquisti di gioielli e di oro per poi trasportarli, clandestinamente, all’estero” 14. Comunque sugli “elementi israeliti” venne “disposta conveniente e cauta misura di vigilanza” 15.
Se si osserva complessivamente il patrimonio posseduto dagli ebrei nella provincia pesarese, emerge che i proprietari sono per lo più residenti in centri quali Milano, Roma, Bologna, Perugia. Solo la comunità di Urbino presenta dodici persone risultanti di razza ebraica che posseggono immobili, anche se riconducibili sostanzialmente a tre famiglie 16. A Pesaro, dei 48 “ebrei presunti a quella data”, uno possiede un negozio definito di assai modesto valore commerciale, un altro un appartamento e qualche terreno. Tali esiti non sono certo imputabili a lacune investigative, infatti sia per l’esiguità di individui, sia anche per una certa collaborazione che veniva trovata tra la popolazione su questo specifico tema, le indagini paiono alquanto capillari 17. Quando, ad esempio, un ebreo residente a Roma e possidente di alcuni terreni, iniziò a pensare di ripartire tra i figli l’intestazione della proprietà o a vendere la stessa, la questura venne avvertita della circostanza con la classica formula “nel comune di S. Costanzo corre voce…” 18. Ma nemmeno questo caso si concluderà con l’alienazione delle proprietà.
La campagna propagandistica
La campagna propagandistica antisemita preparatoria all’emanazione delle leggi razziali, scatenatasi intensamente nell’estate del 1938, investe la comunità locale improvvisamente. Mentre cominciano le “riservate ed urgenti” operazioni di controllo anagrafico e patrimoniale, dal 6 agosto 1938 il giornale fascista locale “L’Ora” inizia una battente campagna marcatamente razzista.
I contenuti degli articoli ricalcano le omologanti veline di regime, con un taglio attento agli aspetti spiritualistici e imperiali del tema razziale. E’ anzi enfatizzato, in una società ancora in larghissima parte contadina, il tema della razza legato alla terra, nell’inscindibile triade di sangue, stirpe e territorio. Accanto alle argomentazioni di tipo biologico, vengono opportunamente sottolineati gli aspetti nazionalistici e imperiali, con l’esaltazione del concetto di razza italica o italiana, in questa fase preferita e ribadita ossessivamente, rispetto al termine “ariano”, considerato troppo scopertamente copiato dalle politiche razziali naziste19. I titoli in prima pagina basteranno a farsi un’idea del triste armamentario ideologico di quegli articoli. Si esordisce il 6 agosto con Razza, la settimana successiva sempre in prima pagina La difesa della razza, quella dopo Razzismo fascista e razza italica, il 27 agosto E parliamo degli ebrei, il 3 settembre L’Italia agli italiani, per chiudere l’8 ottobre 1938 a tutta pagina con Il Gran Consiglio e il problema della razza. Quasi tutti gli articoli sono opera del redattore capo, Giuseppe Giovanelli. Quest’ultimo prende ispirazione dai più triti luoghi comuni sull’ebraismo, triste campionario di un antisemitismo greve quanto superficiale: l’ebreo avaro, razzista, antifascista aperto o nascosto, persona infida e capace di infiltrarsi in tutti i luoghi di potere, ecc. E’ importante rilevare che finiranno per essere enfatizzati proprio gli elementi che a breve risulteranno, dal censimento, i più lontani e stridenti rispetto alla realtà ebraica locale. Segno forse, anche questo, della scarsissima conoscenza della realtà della piccola minoranza ebraica provinciale.
Se nei luoghi comuni e negli slogan ogni criterio di realtà poteva essere messo in subordine, difficile da tacere divenne il dissenso che iniziò a serpeggiare rispetto a una campagna tanto aggressiva quanto improvvisa. Se nella stampa di regime le contrarietà venivano taciute, in questo caso non fu possibile ignorare i malumori, che attraversavano l’intera società compresi gli ambienti dello stesso fascismo locale. Si decise quindi di affrontare esplicitamente le perplessità, invitando i lettori a non essere “pietisti”, “cuori teneri”, “anime troppo sensibili” 20. Si intima ai cittadini di diffidare delle innocue apparenze, di prescindere dall’umanità delle singole persone, di travalicare i limiti posti dalla coscienza in nome di obiettivi definiti “più alti” e garantiti dal capo indiscusso, il duce.
La campagna de “L’Ora” non si distingue dall’infame spettacolo che diede il giornalismo italiano in quel drammatico frangente. Ma il quotidiano più diffuso in città e in provincia, “Il Resto del Carlino”, sul versante razzista surclassò l’organo provinciale fascista. Attraverso le sue pagine si riversò tra i lettori pesaresi una valanga delle più bieche teorie e pratiche razzistiche di quegli anni 21, espresse con toni violenti, brutali, espliciti, tristemente anticipatori e fomentatori dell’escalation razzistica successiva.
Nella campagna propagandistica inscenata dal regime, il peso degli ebrei veniva descritto come enorme, schiacciante. Gli ebrei venivano identificati, anche in molte vignette della pubblicistica, come un’infida piovra che tendeva i suoi insidiosi tentacoli sui più importanti settori della società civile: cultura, amministrazione e soprattutto economia. E’ evidente che, per quanto persuasiva e violenta, questa campagna lasciò nella società pesarese notevoli perplessità.
Chi sono gli ebrei della provincia e di Pesaro
Infatti mentre sulla stampa infuriavano gli assalti antisemiti, negli uffici anagrafici comunali si procedeva al censimento degli ebrei. A questo punto è necessario domandarsi: ma quanti erano, chi erano e quali erano le principali caratteristiche della presenza ebraica nel pesarese, in quel 1938?
In base ai rilevamenti e alle autodenunce, nella provincia di Pesaro e Urbino nel dicembre 1938 vengono stilati elenchi 22 che registrano 119 individui così distribuiti sul territorio 23: 14 a Fano, 13 a Pergola, 55 a Pesaro, 34 a Urbino, una sola persona a Mercatello, a Fermignano e a Orciano.
Il numero subirà nel tempo alcuni aggiustamenti in seguito a verifiche e accertamenti, con procedure burocratiche che in alcuni casi si prolungarono per anni; ci si può immaginare con quale angoscia da parte degli interessati 24.
In effetti il criterio di censimento era biologico puro, risentiva però anche di influenze e peculiarità religiose e politiche che portavano a situazioni complesse, costellate di casi dubbi e contraddizioni 25. La presenza di matrimoni tra ebrei e cattolici anche nelle generazioni precedenti, la necessità di ricorrere ai documenti di battesimo come elemento dirimente per i misti, l’obbligo di constatare per i casi misti la professione o appartenenza religiosa, la costituzione della categoria dei discriminati che poteva godere di particolari attenuazioni a seguito di riconosciuti meriti politici o militari, furono elementi che impegnarono la macchina burocratica fascista 26.
Dall’analisi non solo numerica degli elenchi della città di Pesaro emerge una presenza ebraica quasi completamente assimilata, estremamente aperta. Le persone sono tutte ormai residenti fuori dall’area del ghetto, ma prevalentemente, ad eccezione di pochissimi casi, fuori dall’antica cinta muraria. I luoghi di residenza appaiono distribuiti casualmente nel tessuto urbano, senza aree privilegiate. Emerge una composizione familiare in cui hanno prevalenza, seppur di poco, le coppie miste; quest’ultime sono state tutte unite con rito cattolico ed hanno figli, nella stragrande maggioranza dei casi, battezzati cattolici e che quindi verranno a breve cancellati dalle liste. Le famiglie composte da ambedue i coniugi censiti ebrei, o originarie da questo tipo di unioni, sono cinque, per un totale di circa 25 persone. Ma se accanto ai 55 nominativi prefettizi si aggiungono quelli che emergono dai fascicoli demografici del comune di Pesaro, più dettagliati, si osserva che le coppie miste, o famiglie originarie di questo tipo di unioni, a Pesaro sono dieci 27.
Per quanto riguarda la struttura familiare, sono sei le famiglie con più di tre figli. Relativamente alle professioni, quattro sono coloro che esercitano attività commerciale (negozianti o venditori ambulanti), tre sono gli impiegati o funzionari pubblici, due gli insegnanti, cinque le sarte di cui tre operaie e due artigiane, quattro gli impiegati privati, due i possidenti; e poi un calzolaio, un militare di carriera, sei persone anziane o inabili, cinque casalinghe (ma spesso delle donne non è indicata la professione), dieci studenti. Quindi, un gruppo piccolo-medio borghese con soli due possidenti e un reddito medio che può essere collocato in fascia medio bassa. Colpisce la mancanza di liberi professionisti, e anche di industriali. La situazione, come si vede, non può essere più contraddittoria rispetto alla propaganda. L’unica persona censita di razza ebraica, probabilmente influente e di alti rapporti sociali all’interno della società pesarese, è il segretario provinciale dell’Unione industriali fascisti, fatto che creerà non pochi imbarazzi. Tale situazione professionale svela anche perché i risultati della precedente indagine patrimoniale avevano dato esiti tanto scarsi ed irrilevanti.
Osservando l’alto tasso di ebrei convertiti e di coppie miste sposatesi con rito cattolico, che avevano poi battezzato i figli, ci potremmo chiedere quale fu la posizione della chiesa locale. Questa verrà tenuta sotto stretta osservazione dagli organi di polizia e politici. Se non si manifestano gesti eclatanti di opposizione o condanna, interessanti per comprendere gli umori del mondo cattolico sono due informative riservate al questore di Pesaro. La prima è del 2 settembre 1938 e così riporta:
Ho l’onore di riferire a V.S. che nella decorsa domenica, 28 agosto, il vescovo S.E. Porta Bonaventura dopo la santa messa commentò il santo vangelo e più preciso “Il buon Sammaritano”. Infatti accennò che un giudeo, derubato e ferito da ladri, fu scorto, ove era stato abbandonato, prima da un sacerdote, poi da un levita di servizio al Tempio infine passò il Sammaritano il quale soccorse il giudeo e dopo avergli fasciate le ferite, lo condusse all’albergo incaricò il proprietario di curare il ferito dando due denari e dicendo che se non bastassero ci sarebbe stato lui a soddisfare tutto. S. E. concludeva che l’umanità Cristiana non deve guardare a quale razza o religione appartenga il bisognoso e tutto bisogna fare per il bene dell’umanità e per la pace di tutti28.
Il vescovo attirerà ancora l’attenzione delle forze di polizia. Infatti nella domenica successiva ritorna sul tema, con taglio più marcatamente teologico. Commentando la guarigione dei 10 lebbrosi
il citato prelato mise in rilievo che dei 10 guariti solo uno ringraziò il Signore e quell’uno, era uno straniero. Da ciò fece argomento tra l’individuo sottoposto completamente allo Stato e la concezione cristiana, che considera tutti fratelli, per cui bisogna tutto fare per il bene della società e di tutta l’umanità. Dopo ciò, fece pure presente che, sia il nuovo come il vecchio testamento, vanno entrambi osservati perché tutti e due sono in Dio 29.
Il maresciallo scrivente motiva il contesto in cui sono maturate le omelie, smorzando i toni e cercando di rassicurare il questore: “Riservatamente, si è saputo che il citato vescovo racchiude un lieve senso di contrarietà al regime hitleriano, si esclude però ch’egli sia contrario alle direttive del regime”30. Dalla documentazione ufficiale non emergono a livello provinciale altri significativi segni di dissenso. Nella relazione del 2 gennaio 1939 così il questore di Pesaro ragguaglierà il prefetto sulla situazione: “solo il vescovo di Pesaro […] ha dimostrato la propria simpatia per gli ebrei, in favore dei quali ha domandato la comprensione e l’aiuto dei cristiani, affermando il principio che la chiesa non può in alcun modo considerare la questione di razza”31. Se si intrecciano tali atteggiamenti con il contesto più generale dei rapporti tra fascismo e chiesa cattolica a livello provinciale, si osserva una divergenza tra regime e curia che andrà approfondendosi32. Ciò costituirà una premessa al successivo comportamento del mondo cattolico, nella fase più dura della persecuzione.
I provvedimenti razziali
Col RDL n° 1728 del 17 novembre 1938 entrarono in vigore le leggi razziali33. Difficile dire oggi, in base a riscontri oggettivi, come gli ebrei locali vissero quella temperie. Emerge dalle singole espressioni o lettere che la grande maggioranza degli ebrei locali fu colta da un misto di sorpresa, dolore e rassegnazione.
Salvo le timide prese di posizione della chiesa, la città parve rimanere indifferente a provvedimenti che colpivano una quantità così limitata di persone del tutto comuni. Le difficoltà di tutti i giorni finirono per fare metabolizzare alla comunità locale anche questa nefandezza del regime.
Si è parlato spesso della mancata reazione a livello nazionale, da parte della società civile, nei confronti dei provvedimenti razziali e si è giustamente segnalato come questo costituisca un ulteriore elemento di gravità rispetto a quanto avvenne. Su scala locale, è facile riscontrare come il regime avesse provocato un indebolimento del senso civile e dello stato di diritto. Anche i minimi elementi di libertà individuale, infatti, venivano quotidianamente infranti da delazioni, informative private, violazione del domicilio, arresti anche per banali reati d’opinione 34. Tutto ciò aveva creato un clima di abitudine e convivenza con più o meno grandi violenze giornaliere, fatte di possibili improvvisi arresti, di esecuzioni sbrigative di provvedimenti restrittivi, di giornate in cella di rigore per accertamenti, di controllo della posta… Lo spicciolo armamentario di prevaricazioni quotidiane di cui si alimenta un regime dittatoriale in ogni tempo ed ad ogni latitudine. In una società che aveva finito per considerare routinario tutto questo, non si colse, tra la gente comune, il salto di qualità della nuova operazione razzistica. Nel clima provinciale della piccola città, anche le leggi razziali parvero scivolare nella quotidianità.
Se a livello nazionale fu soprattutto dalla cultura e dai giovani che giunsero all’antisemitismo un numero non trascurabile di adesioni, nella realtà provinciale i consensi furono complessivamente modesti. Non mancarono i giovani “promettenti” che davano sfoggio di sé con articoli razzistici e antisemiti, ma complessivamente il fenomeno appare contenuto. Gli ambienti della cultura cittadina, poi, inclini a certo tradizionalismo 35, scarsamente ideologizzati dal fascismo più impegnato, restavano piuttosto distanti e indifferenti. Gli stessi articoli di giornale in cui si presentano le idee tipiche di quella temperie sono per la maggior parte anonimi, come alcune lettere alla stampa locale che sollevano questioni razziali ormai divenute “insostenibili”. Comunque se da una parte sembrano mancare eccessi antisemiti, dall’altra restano assenti prese di posizione pubbliche di condanna dei provvedimenti emanati.
Il tentativo di seminare soprattutto tra i giovani il seme dell’odio razzistico venne compiuto a vari livelli. Il ministero che più di ogni altro tenne a mostrarsi ultrazelante nella politica persecutoria fu proprio quello dell’Educazione nazionale, diretto da Bottai. Infatti già dal 6 agosto 1938 il ministro aveva inviato una serie di circolari a rettori, provveditori e dirigenti scolastici per raccomandare loro la diffusione della rivista “La difesa della razza”, che doveva essere “oggetto da parte dei docenti e dei discenti del più vivo interesse”. Bottai intuì che la scuola poteva risultare non solo un importante veicolo di diffusione teorico-culturale delle tesi razzistiche, ma anche un pratico campo di separazione sociale, con l’interdizione alla frequenza delle scuole pubbliche da parte degli studenti ebrei e con l’estromissione dall’insegnamento dei docenti riconosciuti ebrei. Il 9 agosto i provveditori furono avvisati di escludere gli ebrei da ogni supplenza o incarico scolastico. Nell’articolo de “L’Ora” del 27 agosto si esaltava il nuovo corso inaugurato dai provvedimenti che il solerte ministro Bottai aveva varato, senza neanche aspettare la deliberazione dell’ottobre del Gran Consiglio del fascismo:
Il primo provvedimento inteso a ridare un giusto equilibrio alla partecipazione degli ebrei alla vita dello Stato ha riguardato il campo della cultura. Era giusto che così fosse. Il Fascismo non compie opera contingente ma duratura: si preoccupa prima e soprattutto, dell’avvenire; poi del presente.
Due furono gli insegnanti elementari pesaresi interdetti dalle scuole della provincia, in quanto ebrei36. Il clima divenne pesante fino a raggiungere aspetti che potrebbero apparire ridicoli, se non avessero causato tanti dolori e inutili umiliazioni. Ad esempio, al protocollo dell’amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino si trova una lettera che raccomandava, alle scuole superiori di competenza, la rimozione di tutte le carte geografiche redatte dal grande cartografo Roberto Almagià, che aveva il difetto di essere ebreo.
Rivolto espressamente ai giovani universitari, nel tentativo di avviare opera di proselitismo alle nuove teorie, venne varato un concorso del GUF di Pesaro che avrebbe premiato i migliori articoli razzistici realizzati. Il regolamento lasciava poche possibilità alle doti creative del partecipante e pronunciava chiare direttive:
A titolo di direttiva si elencano gli argomenti che richiedono maggior interesse da parte dei Fascisti Universitari […]: a) razzismo nell’Impero Romano; b) capacità di resistenza e forza di assimilazione della razza italiana rispetto all’influenza delle masse di popoli entrati nella penisola; c) l’azione per la sanità della razza perseguita dal Fascismo sin dal suo avvento; d) il problema razziale è in relazione con la conquista dell’Impero 37.
Di fronte a questa montante serie di eventi, da parte degli ebrei prevalse la sopraffazione, il dolore, la necessità di sopravvivere anche nelle misere condizioni in cui i provvedimenti li costringevano. Alcuni, soprattutto coloro che potevano avere qualche appiglio o conoscenza, tentarono la via della discriminazione 38: qualche impiegato e funzionario con iscrizione al PNF, due madri che avevano avuto il figlio decorato al valor militare nella prima guerra mondiale. C’è anche chi, invece, cercò subito di emigrare. E’ il caso di un commerciante pesarese che “chiese ed ottenne, il 24/10/1938, il passaporto” 39 per sé e per i figli. Ancora il fascismo favoriva l’allontanamento degli ebrei dal territorio nazionale e così il negoziante poté espatriare con un figlio a Parigi. Un aspetto che emerge da questa storia è la difficoltà che gli ebrei trovarono a emigrare in paesi stranieri, senza particolari legami, presi dalla fretta e dalla rabbia, senza aver potuto preparare il viaggio. In questo caso la fuga, ad esempio, si risolse in un mesto ritorno 40.
Dai carteggi traspare che a lungo rimase una certa incoscienza rispetto al pericolo. Malgrado il modo ignobile con cui il regime li stava trattando, la persecuzione e ancor più lo sterminio erano così lontani dalla mentalità e quotidianità provinciale, così inimmaginabili e imprevedibili rispetto alla realtà di tutti i giorni che la maggioranza degli ebrei pesaresi non poteva neppure concepirne l’idea.
Certo, non mancarono attacchi di zelante fervore antisemita. Ma i più restavano nel privato: qualche lettera anonima, qualche interessato tentativo di approfittare del momento per accaparrarsi qualche proprietà. Raramente invece prendevano la veste di crociata pubblica, come quella lanciata sulle pagine de “L’Ora” da un anonimo lettore per l’eliminazione della toponomastica ebraica e la sua arianizzazione. Un articolo del 14 ottobre 1938 riporta una proposta relativa all’intestazione di una via del ghetto:
Perché Pesaro fascista deve avere una via Sara Levi Nathan, e non intitolare la stessa strada ad autentici ariani pesaresi? […] Forse perché Sara Levi Nathan, ebrea, moglie di un inglese, è stata genitrice di un Grande Oriente della Massoneria italiana? Giriamo quindi il rilievo del nostro lettore alla Podesteria perché, senza attendere che il Ghetto venga finalmente eliminato, risanando igienicamente una parte della città, si elimini intanto una denominazione toponomastica che non ci inorgoglisce 41.
La proposta immaginiamo abbia creato un certo imbarazzo, in quanto il caso risultava delicato. Nel clima creatosi poteva risultare scandaloso mantenere il nome di una via ad un personaggio che pareva al tempo stesso racchiudere tutti gli elementi di demonizzazione del momento: l’ebraismo, la massoneria, la perfida Albione. D’altra parte cancellare quella via significava intaccare un mito della storia nazionale e locale, quella tradizione risorgimentale mazziniana di cui il fascismo provinciale, così come poi la Repubblica sociale, si era pasciuto nei suoi richiami retorici alla ricerca di una legittimità. Nella nuova temperie, però, sull’idea risorgimentale prevalse quella razziale e via Sara Levi Nathan mutò il suo nome nel più virile e ariano “via dei Legionari”.
Dato il numero esiguo degli ebrei, i loro spostamenti in città, sia dei residenti sia di quelli di transito, erano vigilati con attenzione. Ad esempio un’informativa, alla fine dell’estate 1939, diligentemente segnalava il pernottamento in un appartamento del villino Pompucci di una famiglia di ebrei composta da una mamma di 36 anni, con una figlia di 4 anni e la suocera di 73, di passaggio durante il ritorno dalla villeggiatura alla loro città. Possiamo immaginare quale assoluta necessità di vigilanza richiedesse questo nucleo familiare e quale pericolosità per il regime potesse derivare dai loro spostamenti! 42
In una circolare del novembre 1938 si affrontava un’altra delicata questione, i matrimoni misti. In tale disposizione, così si dichiara:
In attesa che vada in vigore il RDL 17 novembre 1938 n. 1728 recante provvedimenti per la difesa della razza italiana, pregoVi, d’ordine del DUCE, intervenire per impedire che nel frattempo siano celebrati matrimoni fra persone di razza italiana e persone appartenenti ad altre razze. Attendo assicurazione 43.
La circostanza finirà per aggravare ulteriormente i rapporti con la chiesa, anche perché in piena violazione degli accordi concordatari.
Da questo periodo, gli uffici pubblici prefettizi e comunali furono inondati da una valanga di circolari, comunicazioni e telegrammi relativi alle proibizioni da infliggere agli ebrei. Spesso nelle formule burocratiche gli ordini risultavano contraddittori, qualche volta invece parevano dettati dalla volontà prevalente di angariare gli ebrei. La serie di provvedimenti che si susseguono tra la fine del 1938 e l’inizio del 1939, va praticamente a ricoprire ogni sfera della vita quotidiana, dal lavoro al tempo libero, dal matrimonio all’istruzione. Al complesso delle leggi principali si vennero rapidamente aggiungendo numerosissime disposizioni relative alla pratica realizzazione di quanto in esse stabilito, che andarono a regolamentare ogni aspetto della quotidianità, fino ai minimi particolari. Un esempio può essere costituito dall’interdizione per le famiglie ebree di avere domestici ariani 44. Il provvedimento mise in difficoltà alcune famiglie in Urbino e Pergola, soprattutto nell’assistenza a persone anziane, mentre a Pesaro nessuna famiglia risultò avere servitù, altro indicatore che conferma le scarse condizioni economiche di gran parte degli ebrei del capoluogo.
Con l’arrivo dell’estate, più concreta applicazione trovarono, a Pesaro, i provvedimenti restrittivi relativi alle vacanze. Infatti, non ci si dimenticò della scadenza stagionale e una circolare ad hoc sancì “il divieto di esercitare l’industria di affittacamere ed appartamenti mobigliati da parte di ebrei, o di ariani coniugati con ebrei”; la proibizione doveva essere estesa “anche alle pensioni” semprechè non fossero “riservate esclusivamente agli ebrei” 45.
Con il 1939 si riverserà sugli uffici locali anche una mole di circolari relative ad un altro fenomeno emergente, l’immigrazione in Italia di ebrei stranieri. In fuga dalle sempre più capillari e violente persecuzioni del Reich tedesco, un numero crescente di ebrei cercò dal 1938 in poi di raggiungere l’Italia, spesso nella speranza di poter da qui mettersi in salvo salpando alla volta della Palestina o di paesi lontani disposti ad accettarli. Però, di giorno in giorno, le possibilità di imbarco divennero sempre più difficili e l’Italia finì per tramutarsi per queste persone in fuga – come ha scritto Voigt – in un “rifugio precario” 46.
Dalla sequenza di circolari relativa ai casi più diversi, a seconda delle cittadinanze e provenienze, si comprende la vastità e traspare tutta la tragicità di quel fenomeno, che nel suo ampliarsi finirà per coinvolgere anche la provincia di Pesaro. Se al 1938 gli ebrei stranieri censiti in provincia risultano nove, di cui sei a Pesaro, nel 1943 superano i sessanta.
Soprattutto tra il 1938 e l’entrata in guerra dell’Italia, migliaia furono gli ebrei dalla Germania, Austria, Polonia, Romania, Turchia, Slovacchia, Bulgaria, Ungheria che trovarono in Italia un paese che forniva ancora permessi di soggiorno. Le motivazioni di questa tolleranza da parte dell’Italia sono esplicitate in varie circolari: non creare ostacoli all’economia turistica e favorire le grandi compagnie di bandiera che trovarono nella fuga degli ebrei un’ottima fonte di affari 47.
Il peggioramento della situazione internazionale con l’aggressione alla Polonia convince le autorità fasciste a misure più restrittive alle frontiere 48 e ad una maggiore sorveglianza sugli ebrei italiani. Così il ministero degli Interni sollecitava la locale prefettura:
E’ stato segnalato che notizie false e tendenziose che circolano nel Regno momento politico attuale sarebbero diffuse da elemento ebraico a scopo di creare disorientamento tra il popolo. Raccomandasi impartire precise categoriche disposizioni ai Comandi dipendenti autorità P.S. singole province, perché sia esercitata oculata vigilanza sugli ebrei e ove risultino accertati nella specie elementi concreti di responsabilità siano adottati provvedimenti di rigore loro confronti49.
In realtà, malgrado le ristrettezze e le umiliazioni, gli ebrei della provincia non provocheranno mai problemi di ordine pubblico, elemento confermato dal fatto che, nella prima metà del 1943, si contava un solo ebreo temporaneamente arrestato e poi sottoposto ad ammonizione.
L’opinione pubblica appariva lontana. La dichiarazione di guerra poi porterà altre preoccupazioni, più concrete e personali, che distolsero ancor più gli italiani dalla condizione degli ebrei. La dilagante mobilitazione propagandistica di tipo bellicista portò anche un radicalizzarsi dei toni, in una escalation che tendeva ad identificare gli ebrei con il nemico.
L’internamento degli ebrei
L’entrata dell’Italia nel conflitto portò all’emanazione delle disposizioni relative all’internamento degli ebrei stranieri e di quelli italiani giudicati maggiormente “pericolosi”, che prevedevano l’allestimento di campi di concentramento. Il testo della circolare manifesta l’adozione di una terminologia sempre più esplicita e inquietante:
Appena vi sarà posto nelle carceri ciò che dovrà ottenersi sollecitando traduzione straordinaria individui già arrestati ai campi di concentramento loro assegnati dovrà procedersi rastrellando ebrei stranieri appartenenti a Stati che fanno politica razziale. Detti elementi indesiderabili imbevuti di odio contro regimi totalitari capaci di qualsiasi azione deleteria difesa Stato et O.P. vanno tolti subito dalla circolazione50.
Anche la vigilanza su alberghi, pensioni e affittacamere si fece più intensa ed il questore di Pesaro allertò, il 20 agosto 1940, le forze dell’ordine perché gli venisse indicato “con tutta urgenza se negli alberghi dei rispettivi centri alloggiano ebrei” 51. Le risposte rimandano una provincia ancora fuori dagli intensi flussi di ebrei in fuga, e descrivono invece un naturale anche se molto ridotto flusso turistico. Da queste note traspare, anche per gli ebrei, una sorta di piccola parentesi di normalità in quei grigi anni di vessazioni. Da Urbino viene comunicato che nell’albergo Raffaello dimorano quattro ebrei che si dichiarano di passaggio; due sono gli ebrei stranieri dimoranti a Fano in quell’estate 52. A Pesaro invece non si registrano ebrei stranieri; nei locali alberghi si trova infatti solo una famiglia di ebrei italiani, una mamma con tre bambini, che alloggia all’hotel Vittoria e che dichiara di essere a Pesaro per “ragioni di bagni”. Il maresciallo di P.S. informa che vengono tutti gli anni e che si presume si fermeranno un mese. A Gabicce vi sono due ebrei stranieri per i bagni, sono due ungheresi iscritti al terzo anno di università a Bologna che sono giunti per vacanza. Malgrado dalle composizioni di questi nuclei, e dai loro spostamenti, si evinca lo scopo pacifico di queste presenze, su di loro veniva svolta un’attenta opera di vigilanza con segnalazione addirittura dei singoli spostamenti quotidiani 53.
Ma questa parentesi di “vacanza” e di umanità durerà ben poco. Nell’agosto un telegramma urgentissimo dal ministro Buffarini Guidi così recitava: “Dal capo della polizia sarà inviato luoghi di soggiorno et turismo ispettore di P.S. il quale ha il compito di promuovere lo allontanamento degli ebrei dagli alberghi et dai luoghi di ritrovo. Azione deve avere carattere piuttosto riservato”. Il 27 agosto l’ispettore generale di P.S. comunicava il risultato: “Presi accordi questore di Pesaro disposto allontanamento spiagge Pesaro, Fano Gabicce numero sette ebrei”. Dopo l’episodio, tutti gli ebrei segnalati lasceranno repentinamente le tre città della provincia. Nel 1941, quando si riaffacciò il problema della villeggiatura per gli ebrei, il 19 maggio e poi il 6 giugno, giunsero le circolari ministeriali che vietavano agli ebrei il soggiorno in spiagge e località montane di lusso. Alla lettura della disposizione le autorità locali rimasero in imbarazzo: le spiagge di Pesaro, Fano e Gabicce, vanto delle comunità locali e delle aziende di promozione turistica, erano da considerarsi di lusso? Questura e prefettura di Pesaro ritennero applicabile la normativa anche alle nostre spiagge, confortate tra l’altro dalle decisioni prese dal questore di Forlì che dichiarò interdette agli ebrei le località di Riccione e Rimini, compresa l’allora in voga spiaggia d’Abissinia 54. Pesaro non vorrebbe essere da meno. A redimere la questione sarà il commissario prefettizio a capo della locale azienda autonoma di soggiorno, che il 9 luglio 1941, sentito il ministero competente, comunicò che “le spiagge di Pesaro e Fano non sono da considerarsi località di lusso, agli effetti della villeggiatura” e quindi suscettibili di essere frequentate anche da ebrei 55.
Alla fine di settembre del 1940, per quanto riguarda l’immigrazione ebraica e l’internamento, la situazione in provincia era tranquilla. Il prefetto affermava che “nessun ebreo straniero non avente titolo rimanere Regno risiede questa provincia. Stranieri ebrei internati comuni di questa provincia uno (donna) nazionalità polacca” 56.
Per gli ebrei locali si susseguono le interdizioni che entrano nello specifico di ogni attività professionale 57, dei singoli luoghi di ritrovo, di ogni aspetto della vita quotidiana, con una minuzia che, se non avesse come disegno la completa segregazione sociale ed economica, potrebbe lasciare trasparire tendenze paranoiche. A titolo esemplificativo, anche per la rilevanza che culturalmente ha sempre avuto a Pesaro il mondo della musica, ci soffermiamo sulla disposizione del 29 giugno 1940 che aveva per oggetto “provvedimenti razziali nel settore dello spettacolo”:
E’ stato fatto divieto agli appartenenti alla razza ebraica, anche se discriminati, di esplicare qualsiasi attività nel settore dello spettacolo. Si fa presente che tale divieto deve intendersi esteso a tutte le categorie interessate allo spettacolo e quindi debbono ritenersi in esso compresi gli autori, i librettisti, i traduttori, i soggettisti, gli scenografi, gli attori di qualunque rango, i registi, le comparse, i componenti i cori, i direttori ed i componenti di orchestra, il corpo di ballo e chiunque altro eserciti comunque la sua attività nel campo teatrale come tecnici, operai, personale di sala, di pulizia e di custodia 58.
Il 1940 segnò per gli ebrei stranieri l’inizio della vita concentrazionaria: con il RDL del 4 settembre 1940 si stabilirono le norme per il concentramento e l’internamento di tutti i sudditi di paesi nemici. Con procedimento amministrativo e discrezionale, la maggior parte degli ebrei stranieri fu progressivamente internata e concentrata. D’altronde, che la situazione, con il prosieguo della guerra, sarebbe diventata sempre più difficile per gli ebrei, ben lo si comprende dalla prima nota riservata del prefetto al questore di Pesaro, che apre il 1941:
E’ stato superiormente rilevato, in questi ultimi tempi, che non pochi ebrei hanno ancora una volta dimostrata la loro più ottusa incomprensione di fronte agli eventi politici e storici in corso, confermandosi costituzionalmente avversi ad ogni sentimento nazionale. In vista pertanto della necessità che la politica razziale contro gli ebrei venga sempre più energicamente perseguita, vi prego di intensificare nei loro confronti la più accurata vigilanza, segnalando eventualmente quegli elementi che più danno luogo a sospetti con i loro sentimenti e la loro condotta 59.
L’inverno del 1940-1941 passò come un grigio inverno di guerra. Nella piazza centrale di Pesaro era issata una grande mappa delle conquiste militari in cui avrebbe dovuto trovare rappresentazione l’inarrestabile espandersi dell’Impero. Non passeranno due anni che verrà una sera silenziosamente rimossa con la motivazione che aveva finito per deprimere lo spirito pubblico.
L’inizio dell’internamento nella provincia di Pesaro e Urbino
Il 21 agosto 1941 giunse alla prefettura una comunicazione dal ministero dell’Interno, destinata a mutare profondamente, da lì a qualche tempo, la presenza ebraica nella nostra provincia:
Dovendosi fare posto internandi provenienti Dalmazia et Montenegro nuclei famigliari ebrei attualmente ristretti campi di concentramento saranno trasferiti in comuni Regno. Ministero pertanto sta disponendo che suddetti nuclei ebrei siano avviati capoluoghi provincie nuove destinazioni cui questure provvederanno avviarli località non militarmente importanti60.
Ha così inizio un fenomeno importante che coinvolse numerose località della provincia. Accanto alla presenza ebraica costituita dai residenti, il nostro territorio, e particolarmente le località dell’entroterra, inizieranno a conoscere una presenza ebraica costituita in gran parte di profughi stranieri che diverrà sempre più consistente.
Vennero avviate dalle autorità locali le procedure per la scelta dei luoghi di internamento a cui destinare gli ebrei. In una circolare del settembre 1941, il questore di Pesaro appuntò le località prescelte, che sono: Apecchio; Borgopace; Macerata Feltria; Mercatino Conca; Pennabilli; Piandimeleto; Piobbico; S. Leo; S. Agata Feltria; S. Angelo in Vado; Sassocorvaro; Tavoleto 61.
Questi sono i primi dodici comuni della provincia destinati all’internamento di ebrei. Qui i sottoposti alle misure restrittive erano alloggiati prevalentemente in camere di case private date in affitto, salvo alcuni casi in cui erano collocati in albergo. Le modalità dell’internamento, aggravate però per gli ebrei dalla crescente angoscia di essere deportati, erano alquanto simili a quelle degli internati politici, ed alcune amministrazioni locali utilizzeranno medesimi registri e moduli per tutti gli internati, salvo aggiungere a penna l’indicazione di razza.
Già il 3 marzo 1942, per il più consistente afflusso di ebrei, le località della provincia interessate da questo fenomeno aumenteranno sensibilmente perché si preferiva, finché fosse possibile, sparpagliare tale presenza. A tale data si erano aggiunti alla lista precedente i comuni di Colbordolo, Fano, Fermignano, Isola del Piano, Montebaroccio, Saltara, S. Costanzo, S. Ippolito, Urbania. Le località di internamento erano quindi diventate 21 e tali resteranno all’incirca fino all’inverno 1943-1944 62. Nel corso del 1942 il meccanismo dell’internamento in provincia si perfezionò con l’organizzazione dei servizi di censura sulla posta, con l’istituzione di registri separati per gli ebrei, con le nuove iscrizioni e più rigide restrizioni.
La chiusura delle frontiere, i sempre più introvabili permessi di espatrio, l’impossibilità di avere documenti da paesi disposti ad ospitare, portano parallelamente al dilagare del fenomeno della clandestinità soprattutto per gli ebrei che, dimoranti nell’area del Reich, iniziano a temere la possibilità dell’attuazione della cosiddetta soluzione finale. Nelle testimonianze raccolte per queste ricerche, varie volte ci siamo imbattuti in persone che prima dell’internamento erano entrate clandestinamente nei territori italiani. Il piccolo centro marinaro e turistico di Gabicce venne interessato intensamente da questo fenomeno, col passaggio di ebrei praghesi e di altre nazionalità 63. Per coloro che venivano scoperti, così come per tutti gli immigrati ebrei ufficiali, vi era l’internamento.
Un capitolo a sé meriterebbero queste vicende ed il rapporto che intercorse tra gli ebrei internati e le comunità locali. Sono storie caratterizzate da luci e da ombre. Se vi furono casi di straordinaria solidarietà – quali quelli che contraddistinsero l’internamento a Macerata Feltria 64 – e se nella gran parte dei casi prevalse un senso di umanità, non mancarono però in alcuni comuni comportamenti sgradevoli, caratterizzati da lettere anonime, appellativi ingiuriosi ed altre più o meno piccole e gratuite vessazioni quotidiane.
Il prolungarsi della guerra, le ingenti perdite sui fronti russo, africano e balcanico resero preziosa tutta la manodopera disponibile in Italia. Si decise così, nel maggio del 1942, di avviare al lavoro coatto gli ebrei 65, motivando il provvedimento con la pelosa necessità di sollevare dalla noia e dall’ozio tali persone 66.
Nell’ottobre del 1942 si procedette alla revisione completa dei permessi di soggiorno agli ebrei stranieri anche internati e all’applicazione del modulo mod. 23 S. con indicazione di razza. Parallelamente venne condotta una revisione generale del censimento del 1938, per la costituzione di un nuovo aggiornato schedario della presenza ebraica in Italia. Tali aggiornati elenchi, che di lì a poco cadranno in mano alle forze d’occupazione tedesche, requisiti o più semplicemente consegnati dalle autorità italiane, costituiranno il micidiale strumento per l’attuazione dei piani di soluzione finale decisi dai nazisti.
Il 1943
In seguito alle operazioni di revisione delle liste, si iniziò ad avere un quadro più completo sulla situazione degli ebrei stranieri in provincia. Sono ventidue, in questa occasione, gli ebrei che dichiarano di non essere in possesso di permessi di soggiorno e che vengono condotti all’internamento 67. A questi viene aggiunta una lista di sette persone in possesso di dichiarazione di soggiorno e schedati da altri uffici, tutti ebrei stranieri. Alla lista vanno poi aggregati alcuni singoli schedati, ma soprattutto il gruppo di tredici persone censite direttamente dalla questura. Il numero preciso della presenza di ebrei stranieri all’internamento subirà comunque variazioni di cui non sempre è facile render conto. La consistenza di questa presenza andrà comunque crescendo, anche per il trasferimento di internati dal sud, soprattutto dal luglio in poi.
Il 25 luglio, sorprendentemente, se costituisce uno spartiacque per le vicende italiane con la fine del regime, non porta per gli ebrei ad un mutamento della situazione. Le leggi razziali verranno lasciate in vigore, gli ebrei internati resteranno segregati, per gli ebrei residenti resterà questo clima di surreale e tragica incertezza. Nello sfaldamento della nazione, nel generalizzato “rompete le righe” che caratterizzò quei giorni, parrebbe calare sugli ebrei un sinistro oblio. Quando invece si osserva la scarna corrispondenza con il centro, ciò che emerge è ancora più sconcertante. La macchina burocratica razziale continuò imperterrita 68. L’unico provvedimento che giunse in quel frangente alla prefettura di Pesaro, e che ci è pervenuto, fu l’abolizione del divieto di frequentare i luoghi di villeggiatura, a cui il diligente funzionario ministeriale allegò un copioso elenco di località termali italiane a cui era concesso anche agli ebrei di accedere.
Se la rapida discesa dei tedeschi in Italia fu vista con preoccupazione e angoscia da gran parte della popolazione italiana, che si era illusa in una pace ormai prossima, ci si può immaginare come fu seguita dalla minoranza ebraica. Il terrore si sparse brevemente in tutte le località della provincia. L’impotenza, l’avvilimento, la montante angoscia per il futuro, rese la vita di queste persone, se possibile, ancor più precaria.
Anni di internamento in condizioni per lo più di stenti, lontani dalle famiglie e spesso senza più notizie, l’idea incombente della deportazione, le voci sempre più insistenti e dettagliate di quanto stava accadendo nelle altre parti del Reich; è questo l’insieme di sentimenti e condizioni nelle quali queste persone si trovarono a vivere. Le reazioni furono tutte ovviamente individuali, l’angoscia fu comune, anche tra gli ebrei italiani.
Nelle prefetture continuavano a circolare gli elenchi, per i continui aggiornamenti che si facevano sempre più frequenti tra convulsi avvenimenti bellici. Liste di nomi, per lo più stranieri, dalle località più remote dell’Europa scorrono oggi sotto i nostri occhi; ogni riga cela una storia, una vita appesa ad un filo. Ad esempio, il 4 ottobre 1943 venne inviata da Pesaro al ministero dell’Interno, schedario centrale stranieri, una nota di poche righe, allegata a tre schede relative ad ebrei internati. Uno dei nominativi è così trascritto: “Neisser Arturo fu Alberto, schedato a Milano”. Si tratta del grande studioso tedesco, raffinato biografo di Gustav Mahler, musicologo di fama europea conosciuto anche in Italia per i suoi saggi su Verdi e Puccini. Malgrado i suoi 67 anni e la sua cattiva salute, le autorità italiane lo lasciarono all’internamento. Non rara era la concessione in questi casi, da parte del ministero, di potersi spostare in località climaticamente migliori. Neisser, dopo essere stato internato a Potenza, Prato, Montecatini e Siena, aveva espresso il desiderio di passare qualche tempo nella patria del grande Gioacchino Rossini. Questa parentesi pesarese di umanità fu breve. Oscuri restano i suoi spostamenti successivi, probabilmente si allontanò verso il nord per cercare un varco di salvezza al confine con la Svizzera. Arrestato nel nord Italia e deportato, morirà ad Auschwitz, come indica Il libro della memoria di Liliana Picciotto Fargion 69.
Intanto la nascente Repubblica sociale italiana, già nel suo documento programmatico costituito dal manifesto di Verona, aveva chiarito la propria posizione nei confronti degli ebrei; al punto n. 7 così recitava: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Questa espressione costituiva un’aggravante che parificava ebrei italiani e ebrei stranieri, nulla però specificava quale sarebbe stata la sorte di questi individui70. Ma probabilmente il secondo aspetto non venne esplicitato perché, semplicemente, a questo avrebbe pensato il ferreo alleato e tutore tedesco, rispetto al quale il regime di Salò avrà sempre una minima e più teorica che reale autonomia.
Di contro, anche osservando la stampa locale, sembra che degli ebrei nessuno più si occupi, se non gli organi burocratici preposti 71. Tale il precipitare degli eventi, che la polemica razziale in provincia sembra sparire. Se si osserva ad esempio la testata “Repubblica”, realizzato dalla federazione del Pfr provinciale, gli unici espliciti riferimenti alla questione ebraica sono inseriti nell’ambito di una fitta polemica che si intavola con la chiesa locale. Già nel numero del 19 dicembre 1943 in tono seccato ci si rivolgeva alla chiesa relativamente ad una richiesta di applicare criteri di pietà e carità alla questione ebraica: “Perché impietosirsi ora sulla sorte degli ebrei, quando pure la chiesa in tempi remoti assunse contro di essi più o meno drastici provvedimenti?” 72. La conferma che gli ebrei in quei mesi erano un punto importante sul tavolo dei tesi rapporti tra fascisti repubblicani e mondo cattolico la si ritrova nel gennaio 1944 sullo stesso giornale, dove così ci si esprime: “Alla chiesa come religione due cose, oggi, sovra tutto interessano: l’educazione e gli ebrei”. Se sull’educazione i fascisti erano disponibili ad aperture, sugli ebrei saranno piuttosto sbrigativi affermando che la linea intrapresa non ledeva “alcun principio di cristiana carità” in quanto dichiarava “gli ebrei politicamente stranieri”. Aggiungeva l’articolista: “E come potrebbero non esserlo se lo sono i giapponesi, gli arabi, gli ottentotti o – se volete – i cittadini del Vaticano? In questa guerra sono coi nemici. E come tali, perché tali, vengono trattati: non perché ebrei” 73.
Vi fu una sorta di intercessione della chiesa locale nei confronti delle autorità repubblicane per scongiurare la consegna degli ebrei presenti sul territorio ai tedeschi? Le ricerche a tutt’oggi non riescono a dare risposta, invece sempre di più si sa dell’opera che la chiesa svolse nei mesi successivi quando, nel precipitare degli eventi, si adoperò in numerose circostanze per salvare il maggior numero di ebrei dalla deportazione.
Con estremo timore si era assistito alla fine di novembre al procedere delle modalità della politica razziale repubblicana. L’obiettivo a cui tendevano gli ordini impartiti, dal 30 novembre 1943 in poi, erano finalizzati alla concentrazione di tutti gli ebrei in luoghi determinati. Per qualsiasi persona di buon senso non poteva esservi dubbio che, nelle precarissime condizioni di effettivo potere della RSI e con i tedeschi militarmente organizzati sul territorio, assolutamente padroni delle decisioni 74, concentrare gli ebrei significasse permettere ai nazisti di impadronirsene quando volevano e, quindi, di sterminarli.
Il 30 novembre 1943 venne emanato da Buffarini-Guidi il seguente ordine: “Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro” 75. Iniziano quindi anche nella provincia di Pesaro e Urbino gli arresti di ebrei stranieri ed italiani indifferentemente. Tra il 2 e il 3 dicembre partono anche gli ordini di arresto per gli ebrei delle varie località della provincia.
I numerosi fogli di traduzione in carcere stanno ad attestare come i tedeschi, in questa fase, abbiano lasciato a polizia e carabinieri le operazioni di rastrellamento, senza intervenire, in quanto tali procedure risultavano funzionali al loro criminale obiettivo finale.
Nei verbali di arresto si ritrovano accomunati in un medesimo destino alcuni degli ebrei residenti pesaresi, accanto ad ebrei stranieri. Inoltre, negli ordini d’arresto di dicembre, si disponeva il sequestro di tutti i beni mobili e immobili di cui gli ebrei fossero in possesso. Con una disposizione del gennaio 1944 il regime demagogicamente destinerà i beni requisiti “a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche” 76.
Dagli elenchi pervenuti ci si rende conto dell’indigenza cui ormai erano costretti gli ebrei sia internati che residenti. Le requisizioni sono in larga parte miserrime e insignificanti. Questo il rapporto della compagnia dei carabinieri di Pesaro che dà riscontro degli arresti compiuti: “Arma dipendente ha proceduto arresto seguenti ebrei: Saltara n. 1, Mombaroccio n. 2, Novilara (Pesaro) n. 2. Non sono stati sequestrati apparecchi radio, né valori perché sprovvisti. Per l’ebreo croato M. S., internato a Tavoleto e soggiornante a Pesaro per cura, la tenenza di Pesaro ha interessato direttamente codesta questura. A Montecalvo in Foglia sono stati sequestri i beni mobili e immobili appartenenti a […] ebrei” non residenti in quella località. Questo il verbale d’arresto per il comando di Urbino: “rintracciati e arrestati oggi [due corr.] cinque ebrei associati carceri giudiziarie. In Urbania arrestati nove ebrei aut sfollati in possesso solo indumenti personali. In Fermignano arrestati otto ebrei colà internati proceduto sequestro loro valigie contenenti indumenti personali”77. Il verbale di arresto del commissario di Fano fornisce uno spaccato del compito a cui vennero destinate le forze dell’ordine. Dei tre ebrei, per cui venne spiccato mandato di cattura, uno si rese irreperibile, uno risultò immobile a letto in quanto ottuagenario, il terzo internato a Fano, saputo di essere ricercato, si recò lui stesso spontaneamente in commissariato. Nel mattinale del 4 dicembre 1943 la polizia politica fa il punto sulla situazione e così scrive:
Prosegue il fermo degli ebrei. A Pesaro sono stati fermati ieri [due ebrei]. In provincia l’arma ha operato 22 fermi ed ha proceduto al sequestro dei beni immobili appartenenti a G. C.78 […]. Nella notte sono state compiute ricognizioni negli alberghi, locande, senza riscontrare anormalità. Le pattuglie disposte per l’osservanza dell’oscuramento e coprifuoco non hanno rilevato infrazioni. F.to il reggente la Questura dott. Jafisco79.
Sarà, soprattutto dei mesi a seguire, una storia a tinte forti, con tante ombre sinistre fatte di zelanti, cieche o compiacenti esecuzioni di ordini, alternate però anche a straordinarie e rischiose prove di solidarietà.
Per comprendere meglio l’universo umano che sottostà alla documentazione burocratica fatta di laconici telegrammi, per immaginarci che cosa stesse accadendo in quelle ore, è necessario ricorrere ai protagonisti, alle loro preziose schegge di memoria personale. A Macerata Feltria ad esempio Gustav Jellinek, ebreo austriaco internato con la moglie gravemente malata, venne tradotto nelle locali carceri. Lasciamo alle sue parole la descrizione di quei momenti, in cui sembrò svanire ogni speranza di salvezza, dopo sei lunghi anni di fughe che l’avevano visto fuggiasco da Vienna, raggiungere la Croazia, entrare clandestino in Slovenia, internato nel nord Italia e infine nella provincia di Pesaro e Urbino:
mi ricordo che eravamo nella casa dei Battelli, arrivarono i carabinieri con il maresciallo e ci portarono in caserma. Allora io dissi al maresciallo: “Io non posso suicidarmi, io sono di religione cattolica e mi proibisce di suicidarmi. Non posso e poi non ho veleno, né armi né niente. Voi siete un militare e prima di consegnarci nelle mani dei tedeschi, per favore, deve uccidere me e la mia signora” e mentre gli dicevo questo piangevamo 80.
Un altro episodio di quei terribili giorni avvenne a S. Angelo in Vado. Nella cittadina risiedevano una ventina di ebrei internati, per lo più presso case di privati. Quando la notizia dell’arresto venne diffusa attraverso la radio in paese, grazie anche all’aiuto di Maria Storti, una ragazza del posto nella cui casa erano internati due medici ebrei 81, venne organizzata una fuga. Gli ebrei vennero condotti a pieve dei Graticcioli dove vennero ospitati da un sacerdote, don Augusto Giombini, che si era reso disponibile altre volte a nascondere anche partigiani e renitenti. Purtroppo le forze dell’ordine locali eseguirono fino in fondo gli ordini impartiti e organizzarono una spedizione notturna di ricerca. All’arrivo delle guardie a pieve dei Graticcioli, alcuni ebrei riuscirono a darsi alla macchia tra la vegetazione circostante, altri demoralizzati e stremati si lasciarono arrestare. Dell’episodio si trova puntuale riscontro nel telegramma alla questura di Pesaro che così recita: “internati ebrei cui telegramma ieri stati rintracciati questa notte territorio Mercatello da militari arma locale” 82. Di questi Joseph Lowsztein, Maria Rosenzweig e Karl Paecht finiranno nelle carceri di Urbino e nel locale ospedale. Vennero poi tradotti dalla città feltresca alla volta di Forlì, dove i tedeschi li uccisero senza nemmeno deportarli, nella strage che si consumò nel settembre ’44 presso il locale aeroporto 83.
Nel mattinale del 5 dicembre 1943 la questura dava notizia che erano in corso ricerche in quanto alcuni ebrei si erano allontanati, fatto che ci testimonia come l’episodio di S. Angelo in Vado si sia verificato anche altrove. Vennero messi sotto rigido controllo le pensioni, gli alberghi, gli affittacamere; operazione che frutterà a Pesaro un nuovo arresto, una signora ebrea che aveva cercato di trovare rifugio presso un’affittacamere che non ne aveva notificato la presenza. Gli arresti riguardano tutta la popolazione ebraica, senza distinzione per malati o anziani. Nel mattinale del 6 dicembre, ad esempio, la questura dà notizia dell’arresto di due ebree di 83 e 79 anni, solo successivamente rilasciate.
La prefettura in data 7 dicembre comunicava alla direzione generale della P.S. la situazione degli arresti in provincia. Dalla relazione si può constatare ufficialmente un’impressione emersa dal confronto tra le entità numeriche della schedatura del 1942 e il numero degli ebrei arrestati: la mancanza dalle liste di arresto di gran parte degli ebrei residenti.
Con riferimento al telegramma circolare a margine indicata comunico che in questa Provincia è stato subito proceduto al fermo degli ebrei nazionali e stranieri dimoranti in provincia, con conseguente sequestro dei beni immobili. Non pochi, però, di detti elementi sono riusciti a rendersi irreperibili poiché prima della ricezione della circolare di cui sopra, la radio nazionale aveva dato notizia dell’imminente provvedimento. Sono state disposte le ricerche e si fa riserva di riferire ulteriormente. Il Capo della Provincia 84.
La lettera è annotata con un’indicazione molto importante: “10 a Pesaro”, “40 [poi corretto in 30] Provincia”. La conferma che tale appunto fosse relativo al risultato complessivo delle operazioni di arresto, lo si evince anche dal mattinale del 7 dicembre 1943, in cui il reggente della questura così si esprimeva: “Nel capoluogo sono stati fermati a tutt’oggi 10 ebrei ed in provincia 30. Proseguono le ricerche di quelli allontanati dalle abitazioni o dai Comuni” 85.
Epilogo
Dato che la Repubblica sociale non arrivò mai alla costituzione di un campo di concentramento per ogni provincia, spesso dopo l’arresto per gli ebrei seguiva la riconduzione all’internamento. Ad ogni tornata di arresti il numero di irreperibili aumentava. Inoltre, dato che i provvedimenti fascisti di fine 1943-inizio 1944 non prevedevano la deportazione per gli individui sposati con persone ariane, per gli anziani e i malati gravi, il numero delle persone soggette nel pesarese alle misure di detenzione, a scopo di deportazione, risultò ridotto. Tale situazione, che portò alla irreperibilità praticamente di tutti gli ebrei residenti censiti nel 1938 86, non avvenne con premeditata strategia. In parte fu l’iniziativa personale degli ebrei a spingere queste famiglie, come si era visto ben integrate nel tessuto sociale, a trovare un nascondiglio sicuro in cui passare i mesi che mancavano al passaggio del fronte.
Emblematica in tal senso può essere considerata la testimonianza che ci ha rilasciato Angelo Montebarocci, ebreo padovano oggi residente a Pesaro e che si trovò bambino a vivere l’esperienza di clandestinità nella nostra provincia. Il padre di Angelo prima della discesa dei tedeschi decise di lasciare Padova abbandonando la casa e l’attività, per raggiungere con la famiglia i parenti pesaresi a Novilara, luogo ritenuto più sicuro. La casa dello zio Lazzaro Montebarocci a Novilara diventerà presto un crocevia importante per numerosi ebrei, familiari e conoscenti, alla ricerca di un nascondiglio. Ma la sosta nel borgo medievale non sarà protratta. Infatti, “un giorno, improvvisamente, ci giunse a Novilara un’informazione proveniente da persone bene informate che consigliava di renderci irreperibili e di scappare in quanto di lì a poco sarebbero giunti i tedeschi”87. Padre, figlio e zio si trovarono così a dover scappare con soltanto una borsa nelle mani. Grazie all’aiuto del marchese Avezza di Candelara, il piccolo gruppo riuscì a trovare una sistemazione presso il podere del sig. Flaminio Bartolucci a Cartoceto di Pergola. Da lì, sempre su consiglio del signor Batolucci, passarono in un molino a Torricella, confondendosi tra le famiglie di sfollati. Lì avvenne il ricongiungimento col resto del nucleo familiare. Il parroco di Torricella, come quello di Cartoceto, aveva consigliato di andare in chiesa in modo da fugare possibili dubbi e meglio mimetizzarsi con le numerose persone sfollate. Per timore dei tedeschi, che giungevano all’improvviso per requisizioni di cibo e manodopera, più di una volta la famiglia si trovò a passare intere notti fuori casa, nei boschi. La testimonianza di Angelo Montebarocci conferma altri riscontri raccolti da vari testimoni: agli ebrei era assolutamente chiara la sorte a cui sarebbero stati destinati se fossero caduti nelle mani dei tedeschi. Infatti lucida era la coscienza che ciò avrebbe significato la morte certa. La notizia dei campi di sterminio, di interi gruppi e comunità eliminate si era ormai propagata in tutta Europa come un agghiacciante passaparola.
Se nelle testimonianze dirette traspare come gli ebrei si salvarono grazie alla loro tenacia, forza di resistere e di sperare, di contro trovarono nel tessuto sociale provinciale alcuni elementi che li favorirono nella ricerca di salvezza. Angelo Montebarocci e Gustav Jellinek ci hanno confermato come vi fosse un rapporto costante con i partigiani delle zone in cui si trovarono nascosti, e come questi svolgessero una sorta di vigilanza e azione informativa. Per quanto riguarda i rapporti tra ebrei e Resistenza è interessante notare come tre componenti del gruppo transitato da Novilara – Renzo Calabresi, Carlo e Leonardo Coen-Giordana, i primi due medici il terzo professore – daranno il loro contributo alla guerra di Liberazione militando nelle formazioni partigiane locali 88.
Una presenza forte che favorì la clandestinità degli ebrei fu la chiesa. Molte le strutture e le persone che diedero un contributo importante. Moltissimi conventi, numerosi sacerdoti si adoperarono in questa azione di occultamento. Ancor oggi è difficile dire se ciò corrispose a direttive impartite o alla libera iniziativa dei vari religiosi; resta il fatto che il fenomeno fu generalizzato e contribuì ad evitare numerose deportazioni. Da don Augusto Giombini a Pieve dei Graticcioli a don Gino Ceccarini ad Urbino, dai conventi intorno Urbania a quelli prossimi a Pesaro. In numerosi casi furono informate le stesse autorità religiose.
Una parola particolare merita poi il caso di Mombaroccio, in cui nelle grotte sottostanti il convento del Beato Sante furono nascoste, frammiste agli sfollati lì rifugiatisi, numerose persone in fuga dalla persecuzione razziale. Il caso è singolare perché la presenza ebraica venne scoperta dai militari tedeschi che però, nell’imminenza della battaglia sulla Linea Gotica, in una situazione militarmente ormai durissima, decisero di non operare la deportazione delle persone ivi rifugiate. Sulla decisione influì positivamente l’allievo ufficiale della Wermacht, Erich Eder, bavarese. Dalla testimonianza che rilascerà successivamente, durante un suo ritorno al Beato Sante negli anni ’50, si evince tutta la disperazione dell’esercito tedesco in quell’ultimo anno di guerra. Per il graduato tedesco fu probabilmente determinante, nella sua decisione, il retaggio culturale cattolico dal quale proveniva, che lo portò tra l’altro a formulare un voto al Beato Sante per aver salva la vita 89.
In altri casi furono singoli funzionari civili che, all’oscuro di tutti e a rischio anche della propria vita, operarono per il salvataggio degli ebrei presenti nella zona. Un caso significativo si è svolto a Gabicce, dove il segretario comunale Loris Sgarbi giunse a falsificare numerose carte d’identità fornendo nuove e arianissime generalità agli ebrei di passaggio. Il contatto, come riportato nel volume di Gregorio Caravita in base alla testimonianza del prof. Cesare Finzi (una delle persone che beneficiarono dei documenti) 90, avvenne anche qui tramite una suora di clausura, la superiora del convento di Mondaino. Sotto le mani esperte del funzionario di Gabicce i cognomi si fecero meno compromettenti e “nelle carte di identità procurate a Gabicce Finzi diventa Franzi, la madre Ardenghi diventa Arenghi, gli zii Rimini diventano Ruini”. Dopo tale operazione circa venti ebrei provenienti dal nord si trovarono come semplici sfollati a Mondaino ad attendere il passaggio del fronte 91. Loris Sgarbi, che al contrario di quanto si narra nel libro Una carta in più, non è affatto morto assassinato, ma morì serenamente di vecchiaia nel 1983 a Castelplanio, conservò però questa storia in un suo personale silenzio, fatto probabilmente di pudore e della convinzione di aver scelto semplicemente ciò che in quel frangente aveva ritenuto giusto. E in questo non fu il solo.
Nella testimonianza rilasciata da Gustav Jellinek si trova un’interessante indicazione, relativa ad un altro pubblico funzionario:
Restai tre mesi in carcere a Macerata contando ogni minuto, ogni secondo, sperando che non venissimo consegnati ai tedeschi. Mia moglie si ammalò gravemente. Grazie ad un amico di Macerata Feltria mi diedero un permesso per trasportare mia moglie che era molto malata, a Pesaro per la visita del medico militare. Ero riuscito già ad interessare il vescovo, il pittore Gallucci e il sig. Pantanelli della questura, perché ci liberassero dal carcere. Con i carabinieri andai a Pesaro e in questura il medico constatò il grave stato di salute di mia moglie e ordinò che venissimo internati a Macerata Feltria ma non incarcerati. Questo è quello che disse il medico, però il signor Pantanelli mi disse “Tornate a Macerata Feltria… ma senza carabinieri” e ci fece un gesto con la mano molto eloquente. La stessa notte che giungemmo a Macerata Feltria prendemmo il piccolo zaino, lasciammo lì tutti i vestiti che avevamo in valigia, e raggiungemmo Certalto” 92.
Grazie all’umanità di quel funzionario ebbe inizio la clandestinità dei coniugi Jellinek che, dopo varie peripezie, si risolse con la salvezza.
Sull’atteggiamento delle autorità, e soprattutto su quello della questura di Pesaro, andranno fatte delle ricerche specifiche, quando sarà possibile accedere alla documentazione relativa. Certo è che il racconto di Jellinek, lo scarso numero di arresti, l’assenza nel territorio della provincia, salvo il caso degli ebrei di Urbino, di deportazioni, pongono dubbi sulla pervicacia reale con cui le autorità di questura procedettero all’esecuzione degli ordini del ministero. Le vicende pesaresi sembrano confermare che, senza la collaborazione delle autorità italiane, l’apparato nazista, fortemente impegnato nello sforzo bellico, poco avrebbe potuto operare.
Nessuno degli ebrei censiti come residenti nel 1938 subì la deportazione dopo un arresto nel territorio provinciale. Dall’analisi nominativa, escluso il gruppo deportato da Urbino e che troverà la morte nella strage dell’aeroporto di Forlì 93, emerge che tutti coloro che risultano sui registri o nei documenti questurili della provincia, sono riusciti a sottrarsi alla deportazione. A tutt’oggi solo tre sono i casi, di persone che compaiono nei registri provinciali, per sparire nel nulla e poi risultare morti nella persecuzione; e le loro vicende confermano il loro arresto definitivo fuori dal territorio provinciale. Uno di questi, l’unico che compariva nel censimento del 1938 tra i residenti a Pesaro, è Cesare Fiorentino. Quando ancora non conoscevo la sua storia, chiesi all’anagrafe del comune di Pesaro un certificato di residenza intestato a suo nome. Mi venne consegnato un documento che così certificava: “Fiorentino Cesare, nato a Roma il 22/6/1890 ha avuto legale residenza in questo Comune dal 9/2/1938, data di immigrazione dal Comune di Fano, al 7/1/1953, data di cancellazione per irreperibilità con ordinanza del Sindaco n. 252”94. La causa della sua irreperibilità si trova ne Il libro della memoria: rientrato a Roma, cadde nella grande retata del 16 ottobre 1943, e morì di lì a poco ad Auschwitiz 95.
Oltre il caso di Arthur Neisser, un altro destino tragico fu quello dei coniugi Werczler, Lazzaro e Margherita. I loro nomi compaiono in vari documenti prefettizi e quello di Lazzaro nel registro degli internati ebrei di Urbania. Dal Libro della memoria questi sono gli esiti della ricerca:
Werczler Lazzaro, coniugato con Walter Margherita. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestato a Fiume nel febbraio 1944 da tedeschi. Detenuto a S. Sabba campo. Deportato da Trieste a Auschwitz. Deceduto a Natzweiler dopo il 31.10.1944. Fonte 1a96.
Per la moglie la medesima sorte:
Walter Margherita in Werczler. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Fiume nel febbraio 1944 da tedeschi. Detenuta a S. Sabba campo. Deportata da Trieste a Auschwitz. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte 1a. 97
Perché Lazzaro, se annotato poco prima nel registro di Urbania, risulta arrestato a Fiume nel febbraio del 1944 assieme alla moglie? Tra le carte dell’archivio comunale di Urbania, si trova il documento che involontariamente sancì la sua morte. Nella busta relativa agli internati è inserita un’autorizzazione della prefettura di Pesaro, intestata a suo nome, per una licenza a Fiume per motivi di ordine personale: la volontà, malgrado il pericolo, di ricongiungersi alla moglie. Lì finirono insieme negli arresti tedeschi del febbraio98.
Conclusioni
Dopo la guerra, cala una coltre di silenzio su queste storie locali e sulle loro tragiche ed umanissime vicende. Proprio quando, a fine conflitto, diventa dominio dell’opinione pubblica europea e mondiale che cosa era realmente accaduto agli ebrei sotto i regimi nazifascisti, tutte queste storie sembrano perdersi nel silenzio99.
Nella difficile temperie della ricostruzione, questi avvenimenti restano prigionieri entro l’orizzonte della guerra e della Shoah. E le memorie che di volta in volta emergevano rimasero testimonianze isolate di quella follia collettiva e governativa, sulla quale prevaleva comunque il sentimento di sollievo per la sua fine. Quella violenza gratuita e paradossale, difficile da comprendere, subì così il tentativo di essere riassorbita dentro le tragedie collettive della seconda guerra mondiale. Ha così prevalso la difficoltà di raccontare vicende che sono diventate, via via che il tempo passava, più incomprensibili e lontane. Il meccanismo di chiusura ha funzionato in più direzioni. Chi aveva preso parte all’azione persecutoria, per ovvi motivi, ha tentato di lavare ogni colpa, tacendo o minimizzando i fatti accaduti (operazione favorita dal clima assolutorio nazionale, identificabile negli stereotipi degli “italiani brava gente” e della provincia tranquilla ed ospitale). Ma anche in chi si era reso protagonista di azioni di aiuto, esponendosi spesso a forti rischi personali, ebbe il sopravvento il silenzio, atteggiamento condizionato forse dal fatto che l’azione di aiuto aveva costretto persone per bene (pubblici funzionari, sacerdoti, poliziotti, studenti) a comportamenti comunque illeciti rispetto a leggi, per quanto criminali, allora in vigore. Infine, anche nelle persone che avevano subito le violenze persecutorie prevalse la volontà di chiudere con quella dolorosissima e tristissima pagina personale e collettiva, concentrandosi sullo sforzo di ridare un presente e un futuro alle proprie esistenze.
Su tutto ha così, per anni, prevalso il silenzio e le memorie sono rimaste chiuse, riposte. Sta a noi comprendere come fu possibile, contro il ripetersi di ogni tentativo di persecuzione e disumanizzazione di persone e concittadini innocenti.
1 Una selezione venne esposta a Pesaro nell’ottobre del 1997 in occasione della mostra “La menzogna della razza”, che aveva affiancato alla documentazione nazionale una sezione locale. Il Fondo ebrei (Fe) è costituito da fonti storiche di varia provenienza e tipologia, reperite presso istituzioni pubbliche e private o messe a disposizione da testimoni degli eventi. Molti materiali sono stati fotoriprodotti e sistemati in ordine cronologico. La documentazione attualmente è in corso di catalogazione informatizzata e digitalizzazione; sarà poi consultabile presso la Biblioteca-archivio “V. Bobbato” di Pesaro che conserva anche un cospicuo patrimonio librario sul tema. (d’ora in poi AB, Fe).
2 Vasto è il panorama di lavori scientifici nazionali e internazionali sul tema. Per una bibliografia di orientamento sul tema può essere utile consultare il volume edito dalla Camera dei deputati, La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi del 1938, Roma 1998, interessante anche per gli aspetti legislativi del tema. Nel presente lavoro, per le referenze bibliografiche e documentarie, si è scelto di fornire indicazioni privilegiando il contesto provinciale.
3 Così in PNF Federazione dei Fasci di combattimento di Pesaro e Urbino, Opere pubbliche compiute in un ventennio dal regime nella provincia di Pesaro-Urbino, Ufficio stampa e propaganda della federazione fascista, Pesaro 1940, pp. 27-28.
4 Cfr. G. Flori, Alla conquista dell’Africa Orientale (cronache pesaresi 1935-36), in Società fascismo antifascismo nel pesarese 1900-1940, Quaderno 1, Anpi-Anppia-Irsmlm, Pesaro 1980.
5 Per questi temi si rimanda in particolare ai due volumi di M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Torino 1994 e Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, indentità, persecuzione, Torino 2000.
6 L’originale di tale circolare, “riservatissima e urgentissima”, si trova tra le carte dell’Ufficio demografico del comune di Pesaro nella busta dedicata alla difesa della razza (d’ora in poi Acp, b. Ddr). Un ringraziamento particolare al capo dell’Ufficio protocollo, Adamo Fiorino, per la disponibilità dimostrata.
7 Il punto cruciale della politica di discriminazione degli ebrei da parte della chiesa può essere sintetizzato nell’editto sopra gli ebrei di Pio VI, del 1775.
8 Acp, b. Ddr, circ. n. 872 della prefettura di Pesaro e Urbino ai podestà e commissari prefettizi, Pesaro 16 agosto 1938.
9 Ibid.
10 AB, Fe, b. 2, fasc. 1938, prefettura di Pesaro e Urbino ai podestà, Pesaro 21 agosto.
11 Il documento specificava: “anche se professante altra aut nessuna religione aut abbia abiurato aut contratto matrimonio con coniuge non ebreo”, ibid.
12 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, ministero dell’Interno A.7 ris., Roma 6 agosto.
13 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, prefettura di Pesaro e Urbino n. 7 ris., Pesaro 10 agosto.
14 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, maresciallo di Ps al questore, Pesaro 18 agosto.
15 Ibid.
16 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, Legione territ. CCRR Ancona – compagnia di Urbino alla questura, Urbino 7 ottobre.
17 Con ulteriore circolare del 16 settembre 1938 si richiederanno ripetuti accertamenti e la collaborazione della r. Guardia di finanza.
18 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, Legione territ. CCRR Ancona – compagnia di Pesaro, Pesaro 18 ottobre.
19 Per un interessante lettura parallela e comparativa delle due legislazioni razziali, italiana e tedesca, si veda V. Di Porto, Le leggi della vergogna. Norme contro gli ebrei in Italia e in Germania, Firenze 2000.
20 “La campagna attuale contro gli ebrei ha avuto ripercussioni su elementi che nessuno riteneva dovesse [sic!] essere tenero a questo proposito”. A volte il fervore antisemita può prescindere anche dalla sintassi, così “L’Ora. Foglio d’ordini della Federazione dei Fasci di Combattimento di Pesaro-Urbino”, 27 agosto 1938.
21 “Il Resto del Carlino” portò avanti in forma virulenta la campagna antisemita del regime. Le sue pagine sono ancor oggi sconcertanti per la violenza e la bassezza degli attacchi. Nell’immediata liberazione la fama raggiunta dal quotidiano portarono a un cambio della testata, che per una decina d’anni uscì con il nome meno compromesso de “Il Giornale dell’Emilia”. Per un ampio repertorio della propaganda razzistica del regime nelle sue più diverse forme si veda La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Bologna 1994, catalogo della mostra tenutasi a Bologna nel 1994 a cura del Centro Furio Jesi.
22 Gli elenchi, conservati in AB, Fe, b.1, fasc. 1938, in due copie fotostatiche, sono datati 10 dicembre 1938. Il numero degli individui appare lo stesso, differente è invece la disposizione dei nominativi e la loro numerazione. Purtroppo l’elenco n. 2 è privo di una pagina.
23 I dati ministeriali pubblicati da De Felice nel 1961, relativi al censimento del 1938, indicavano questa risultanza: nelle Marche i censiti sono 1218, di cui 1031 solo nella provincia di Ancona, 51 in quella di Macerata, 27 in quella di Ascoli Piceno. Questa fonte per la provincia di Pesaro e Urbino registra un numero di 109. Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1961. Lo scostamento di dieci unità per la provincia pesarese è da imputare ai continui aggiornamenti basati sia sulla residenza sia sui procedimenti di accertamento di razza che coinvolgevano i numerosi casi dubbi.
24 Inoltre si verificò una corsa agli uffici demografici, da parte di tutti coloro che avevano cognomi che potevano destare qualche dubbio, al fine di ottenere un rassicurante certificato di arianità.
25 Per il gran consiglio erano di “razza ebraica” i nati da genitori entrambi ebrei, i nati da padre ebreo e da madre non italiana, i “misti professanti religione israelitica alla data del 1° ottobre 1938”. Il Rdl 17 novembre 1938 specificava che era di “razza ebraica” colui che è nato da un genitore di razza ebraica e l’altro di nazionalità straniera; aggiungeva tra i casi positivi quello di figli di madre ebrea e di padre ignoto; tra i misti erano ebrei quanti si fossero iscritti ad una comunità e coloro che avessero fatto “in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo”, AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, circ. del ministero dell’Interno n. 9270, Roma 22 dicembre.
26 Proprio per i casi dubbi nacque un contenzioso tra prefettura e comune di Pesaro che portò i preoccupati funzionari comunali a contattare altri comuni, per comprendere meglio il meccanismo ed evitare di commettere errori. ACP, b. Ddr, corrispondenza 1938-39.
27 La differenza tra le fonti è causata dal fatto che nell’elenco prefettizio compare solo l’individuo censito e non il coniuge non ebreo. In base ai documenti comunali, quindi, si avrebbero 10 famiglie miste su 15 censite, una media ribaltata rispetto a quella della comunità ebraica nazionale, secondo la quale i matrimoni misti costituivano circa il 30% dei matrimoni contratti da ebrei, cfr. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit.
28 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, informativa del maresciallo di PS, Pesaro 2 settembre.
29 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, Informativa del maresciallo di PS, Pesaro 20 settembre.
30 La fonte riservata non è indicata, ibid.
31 Archivio Prefettura di Pesaro, gabinetto, cat. 19 Affari di culto 1939, Relazione del questore di Pesaro al prefetto, Pesaro, 2 gennaio 1939.
32 Per i rapporti tra mondo cattolico e regime fascista si veda E. Preziosi, Per un profilo religioso della provincia di Pesaro e Urbino, in Provincia di Pesaro e Urbino, La provincia di Pesaro e Urbino nel novecento. Caratteri trasformazioni identità, a cura di A. Varni, Venezia 2003.
33 Per una descrizione dei provvedimenti rimandiamo al bel libro di M. Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Torino 2002.
34 Il quadro emerge dalla lettura dei fondi relativi allo spirito e all’ordine pubblico conservati all’Archivio centrale dello stato di Roma, nella serie del ministero dell’Interno relativa alla pubblica sicurezza. Uno straordinario spaccato di quotidianità si può trovare anche in Archivio Anpi provinciale di Pesaro e Urbino, Servizio confidenziale b.15, Informazioni 1938-1942, che raccoglie una serie di informative di confidenti utilizzati a Pesaro dal regime.
35 A. Bianchini, Il teatro e l’organizzazione culturale a Pesaro tra fascismo, guerra e ricostruzione, in A. Bianchini e G. Pedrocco (a cura di), Dal tramonto all’alba. La provincia di Pesaro e Urbino tra fascismo, guerra e ricostruzione, Bologna 1995, pp. 303-345.
36 All’Università di Urbino furono costretti ad interrompere la docenza i prof. Renato Treves, Cesare Musatti e Isacco Sciacky. Nel cimitero ebraico di Pesaro è stata inoltre rinvenuta l’epigrafe del prof. … Bolaffi che laconicamente recita …; per un quadro delle leggi razziali nella realtà urbinate cfr. E. Torrico e P.F. Fraternale Cesaroni, Gli ebrei in Urbino dalle leggi razziali alla liberazione della città (1938/44), in Urbino tra le due guerre. Memoria pubblica e privata, a cura di P. Giannotti e E. Torrico, Urbino 2001. Per uno sguardo d’insieme sugli effetti delle leggi razziali sul mondo dell’università italiana cfr. R. Finzi, L’Università italiana e le leggi antiebraiche, Roma 1997.
37 “L’Ora”, 3 dicembre 1938.
38 Il regime prevedeva, per gli ebrei che avessero conseguito particolari meriti politici o militari (e per i loro familiari), una sorta di sospensiva delle restrizioni imposte dalle leggi razziali, attraverso la richiesta di essere “discriminati”.
39 AB, Fe, b. 1, fasc. 1939, nota maresciallo di P.S. al questore, Pesaro 5 settembre.
40 Ibid.
41 L’Ora, 14 ottobre 1938.
42 AB, Fe, b. 1, fasc. 1939, pro-memoria non firmato, Pesaro 2 settembre.
43 AB, Fe, b. 1, fasc. 1938, circ. n. 1240 del prefetto di ai podestà, Pesaro 30 novembre.
44 Numerose le circolari, che entravano nei minimi dettagli. Così quella del febbraio ’39, relativa al personale domestico, che specificava: “debbono essere compresi nella categoria dei domestici, agli effetti del divieto […], coloro che prestano opera manuale al servizio delle famiglie ebraiche e cioè gli autisti, i portieri alle esclusive dipendenze di proprietari ed inquilini ebrei, i giardinieri, i mozzi di stalla, i cocchieri”. AB, Fe, b. 1, fasc. 1939, circ. n. 307 del prefetto al questore, Pesaro-Urbino 13 febbraio.
45 AB, Fe, b. 1, fasc. 1939, circ. della questura di Pesaro ai podestà e ai commissariati, Pesaro 26 aprile 1940.
46 K. Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, Firenze 1996.
47 “Come è noto con circolare n. 443/59059 del 19 marzo scorso venne tra l’altro disposto, per favorire l’industria turistica, che gli ebrei stranieri residenti all’estero fosse consentito di venire nel Regno e fermarvisi temporaneamente a scopo di turismo, diporto, cura, studio o affari. Essendosi ora verificato che centinaia di ebrei stranieri, specialemente tedeschi e polacchi, la maggior parte nullatenenti, costretti a lasciare i paesi di residenza, si sono recati in Italia con pretesto di uno dei motivi anzidetti e si sono qui fermati oltre il termine del permesso loro concesso, creando difficoltà per allontanarli dal Regno, questo Ministero […], è venuto nella disposizione di sospendere l’afflusso di tali elementi indesiderabili. […] Pertanto si prega di disporre che agli ebrei germanici, polacchi, ungheresi e romeni nonché a quelli di qualsiasi nazionalità provenienti dalla Germania, sia vietato, sino a nuovo ordine, l’ingresso nel Regno. Va fatta eccezione soltanto per coloro che transitano nel Regno allo scopo d’imbarcarsi nei nostri porti per l’estero, sempre che, però, siano munii di regolare biglietto d’imbarco e del visto d’ingresso nel paese ove sono diretti […] e siano forniti di sufficienti mezzi economici”. AB, Fe, b. 1, fasc. 1939, circ. del ministero dell’Interno n. 443/76596, Roma 19 agosto.
48 Così recita un telegramma del capo della polizia Bocchini alle forze dell’ordine di Fano e Pesaro: “avvertesi che a partire da oggi 18 corr. dovrà essere vietato transito regno profughi Polacchi punto Pregasi pertanto di disporre che sia inibito ingresso Italia qualora cerchino di salpare con grandi battelli sulla nostra costa in transito, anche se muniti visti nostre rappresentanze estere punto”. AB, Fe, b. 1, fasc. 1939, telegramma di Bocchini, Roma 18 maggio 1940.
49 AB, Fe, b. 1, fasc. 1939, telegramma di Bocchini ai prefetti, Roma 25 settembre.
50 AB, Fe, b. 1, fasc. 1940, telegramma del ministero dell’Interno ai prefetti, Roma 18 giugno.
51 AB, Fe, b. 1, fasc. 1940, biglietto urgente del questore di Pesaro agli uffici PS, Pesaro 20 agosto.
52 AB, Fe, b. 1, fasc. 1940, biglietti urgenti di servizio commissari di PS al questore, Urbino, Fano, Pesaro 21 agosto.
53 Il fatto è confermato da singole note appuntate che comunicano alla questura l’orario di ogni singolo spostamento.
54 Dall’interdizione venivano invece escluse le spiagge delle frazioni minori. Cfr. AB, Fe, b. 1, fasc. 1941, prefettura di Forlì, prot. n. 04255 PS, Forlì 26 giugno.
55 Con l’estate 1942 vennero confermate le disposizioni relative al divieto di soggiorno nelle spiagge e nelle località montane di villeggiatura nei confronti di tutti gli ebrei, “anche se discriminati”. Restarono esclusi dal divieto le famiglie miste ammesse solamente nelle località non di lusso. Nel 1943 la prefettura di Forlì dichiarò tutto il litorale romagnolo da Cattolica a Cesenatico località di lusso, anche se ormai la possibilità che ebrei potessero andare in in “vacanza”
56 AB, Fe, b. 1, fasc. 1940, telegramma del prefetto al ministero dell’Interno, Fano 30 settembre.
57 Giunge il 15 marzo 1940 da parte della regionale confederazione fascista dei professionisti e degli artisti la comunicazione dell’avvenuta cancellazione dagli albi di avvocati, chimici, ingegneri, musicisti, medici, periti, ragionieri ecc. degli appartenenti alla razza abraica. AB, Fe, b. 1, fasc. 1940, comunicazione n. 522/4, Ancona 8 marzo.
58 AB, Fe, b. 1, fasc. 1940, circ. del prefetto n. 1317 al questore, Pesaro 29 giugno.
59 Nota del prefetto al questore e alle forze di polizia, Pesaro 15 gennaio 1941
60 AB, Fe, b. 1, fasc. 1941, telegramma di Senise alla questura di Pesaro, Roma 21 agosto.
61 AB, Fe, b. 1, fasc. 1941, ministero dell’Interno alla prefettura, trasmessa al questore, Pesaro 19 settembre.
62 Col crescere degli ebrei internati sempre più numerose località vennero coinvolte in questa forma di segregazione. Il 4 aprile 1943 i luoghi di internamento della provincia sono diventati 24. Ai precedenti si sono aggiunti: Cantiano, Cagli, Pergola, Mondavio, S. Angelo in Lizzola. Sono stati depennati dalla lista Fano, in quanto rientra nell’area costiera sottoposta a sfollamento totale per motivi bellici, e Colbordolo, che ricade ormai in piena zona di apprestamento difensivo della Linea Gotica. Cfr. AB, Fe, b. 1, fasc. 1943.
63 La circostanza ci è stata confermata da diverse testimonianze. In questa località, per cause diverse, vi fu un’attività clandestina particolarmente intensa, di cui usufruirono anche soldati inglesi.
64 Cfr. I. Ferri (a cura di), Ebrei a Macerata Feltria, Cattolica 1996, ma anche Gustav Jellinek, Video-intervista testimonianza rilasciata ad Andrea Bianchini, Macerata Feltria 19 maggio 2001.
65 AB, Fe, b. 1, fasc. 1942, circ. della prefettura al direttore dell’ufficio provinciale delle corporazioni, Pesaro 7 maggio: “con disposizione ministeriale odierna appartenenti alla razza ebraica, anche se discriminati, di età dai 18 ai 55 anni compresi sono sottoposti a precettazione civile a scopo di lavoro”.
66 AB, Fe, b. 2, telegramma del prefetto al podestà di Urbania, Pesaro 14 luglio 1942. Col precipitare della situazione bellica tale situazione andrà peggiorando, come si evince dall’articolo de “L’Ora”, 3 luglio 1943, dal titolo Gli ebrei al lavoro e la separazione che così esordiva: “Il popolo giudeo che ha sempre disprezzato, come un segno di inferiorità, il lavoro manuale, conoscerà di nuovo, dopo secoli e secoli, la fatica della pala e del piccone, dell’officine e dei campi”. Questa la conclusione: ”La ‘separazione’ tra ebrei e non ebrei deve essere rigorosamente attuata anche e soprattutto nel campo del lavoro”.
67 Questo il prospetto che viene inviato allo schedario centrale stranieri del ministero dell’Interno – direzione generale di P.S. AB, Fe, b. 1, fasc. 1943.
68 Per tutta l’estate, ad esempio, continuò la corrispondenza tra comune di Pesaro e ministero per alcune pratiche di accertamento di razza protrattesi fino ad allora. Due attestati ministeriali di non appartenenza alla razza ariana, richiesti da mesi, giungono al protocollo comunale datate 8 settembre 1943, cfr. ACP, b. Ddr.
69 L. Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano 2002, p. 470.
70 Per un inquadramento della persecuzione razziale durante la Repubblica sociale italiana cfr. G. Mayda, Ebrei sotto Salò. La persecuzione antisemita 1943-45, Milano 1978, ma soprattutto il bel libro di L. Picciotto Fargion, Per ignota destinazione. Gli ebrei sotto il nazismo, Milano 1994.
71 Costituiscono invece un’eccezione le continue aggressioni verbali antisemite pubblicate negli articoli de “Il Resto del Carlino”. Significativo del taglio radicale tenuto dalla testata è l’articolo del 2 dicembre 1943 dal titolo “Fino in fondo. Gli ebrei residenti in Italia avviati in campi di concentramento”. Nell’articolo si leggeva: “Tutte le storture dell’arte cosiddetta moderna sono il prodotto del malefico genio ebraico, tutte le crisi e le guerre, le sciagure e le stragi che si sono riversate sul mondo, specie negli ultimi anni, hanno origine nella malefica influenza ebraica. Da tempo urgeva ripulire l’Italia dai giudei che la insidiano anche come centro della romanità e del cattolicesimo. E’ stato anzi un errore tardare troppo a provvedere”.
72 “Repubblica. Organo dei combattenti e dei lavoratori”, 19 dicembre 1943.
73 “Repubblica. Organo dei combattenti e dei lavoratori”, 12 gennaio 1944.
74 Del comportamento dell’occupante tedesco, della sua totale autonomia e della tendenza a porre le autorità civili italiane di fronte a fatti compiuti, anche di particolare gravità, si preoccuperà la stessa prefettura, come evidenziano recenti acquisizioni documentarie relative all’eccidio di p.le Innocenti, alla strage di Fragheto, ad alcune decisioni belliche come quella di collocare il deposito mine per la linea Gotica in pieno abitato a Montecchio.
75 AB, Fe, b. 1, fasc. 1943, circ. del ministero dell’Interno, Roma 30 novembre. Il 2 dicembre 1943 “Il Resto del Carlino” accompagnerà i provvedimenti con un esplitico articolo dal titolo Fino in fondo. Gli ebrei residenti in Italia avviati in campo di concentramento.
76 AB, Fe, b. 1, fasc. 1944, lettera del questore al commissario prefettizio dell’Irab, Pesaro 16 gennaio.
77 AB, Fe, b. 1, fasc. 1943, telegramma PS di Urbino alla questura di Pesaro, Urbino 3 dicembre.
78 Le iniziali sono nostre per motivi di riservatezza.
79 AB, Fe, b. 1, fasc. 1943, mattinale al questore, Pesaro 4 dicembre.
80 Gustav Jellinek, Video-intervista testimonianza cit. Una sintesi e traduzione della video-intervista è in A. Bianchini, Da Vienna a Macerata Feltria: un cammino di arte e vita, in “Memoria viva”, n. 7, 2002, p. 21-29.
81 Nella casa di Maria Storti sono rimasti fino ad oggi anche alcuni oggetti personali degli ebrei internati, due libri, un passaporto. L’episodio è narrato anche in N. Storti, Episodi di guerriglia e di umana solidarietà sulla linea gotica durante la resistenza, in S. Tramontin (a cura di), La Resistenza dei cattolici sulla linea gotica, Atti del convegno di Sestino del 24-25 novembre 1979, Sansepolcro 1983, pp. 81-92 ein Id., Una storia di verginità e di amore. Vita di Maria Storti, Roma 1978.
82 AB, Fe, b. 1, fasc. 1943, telegramma del maresciallo Loia al questore, 5 dicembre.
83 G. Caravita, Ebrei in Romagna (1938-1945). Dalle leggi razziali allo sterminio, Ravenna 1991, p. 345.
84 AB, Fe, b. 1, fasc. 1943, lettera del capo della provincia al capo della polizia, Pesaro 7 dicembre.
85 AB, Fe, b. 1, fasc. 1943, mattinale del reggente della questura al capo della provincia, Pesaro 7 dicembre.
86 Conferma di entrata in clandestinità di molti ebrei residenti proviene anche da una comunicazione dell’ufficio poste e telegrafi di Urbino del 17 aprile 1944, prot. n. 6267/25, alla prefettura, dove si accusa la giacenza di 46 raccomandate non ritirate e irrecapitabili in quanto risulta irreperibile il destinatario. Dall’elenco si evince che soprattutto i gruppi familiari più numerosi sono ormai fuggiti.
87 Testimonianza rilasciata da Angelo Montebarocci all’autore, Pesaro giugno 2002.
88 Archivio Anpi provinciale di Pesaro e Urbino, Schedario partigiani, schede nominative. Renzo Calabresi, medico psichiatra, fornisce il suo contributo nel distaccamento “Dini-Stalingrado” della V Brigata Garibaldi Pesaro. Carlo Coen-Giordana, medico, milita nel distaccamento “Gramsci” della V Brigata, mentre Leonardo Coen-Giordana, pur malato di cuore, partecipa alla Resistenza nelle fila della formazione SAP del Cairo di Mombaroccio. Nell’archivio Anpi è conservata anche una relazione delle azioni compiute da questo gruppo, redatta proprio da Leonardo Coen-Giordana. Altre ricerche sono in corso per ricostruire le vicende dei componenti della famiglia triestina Orbach (due fratelli e una sorella) che nello schedario partigiani provinciale risultano essere stati riconosciuti quali aderenti al distaccamento Panichi della V Brigata Garibaldi “Pesaro”.
89 G. Mencarelli, Dalla Baviera al Beato Sante. L’ufficiale Erich Eder ritorna…, Montebaroccio 1965.
90 G. Caravita, Ebrei in Romagna cit., pp. 247-248.
91 Tale episodio è riportato per la prima volta nel testo di G. L. Tosetto, Rapporto tra nuclei ebraici e popolazione locale, nella provincia di Ravenna, Ravenna 1987, e poi ripreso in Caravita. Il componente di uno di quei nuclei familiari, Cesare Rimini, ha scritto sull’episodio un breve libro (Una carta in più, Milano 1997). Purtroppo risultano oscure le motivazioni che hanno portato l’autore a delocalizzare da Gabicce l’episodio; ancor più incomprensibile perché sulla copertina del volume edito da Mondadori sia stata pubblicata una copia ritoccata del documento d’identità rilasciato da Loris Sgarbi, nella quale risulta inidentificabile la località di Gabicce. Il documento, così come era stato rilasciato dal segretario comunale di Gabicce, è stato pubblicato sul periodico locale “Lo specchio”, settembre 1998.
92 “Memoria viva”, cit., p. 27.
93 Rispetto a questo episodio, che contraddirebbe l’atteggiamento delle autorità da noi ipotizzato, ci ha offerto una documentazione interessantissima la sig. Maria Luisa Moscati Benigni. Da tali documenti, in particolare dalle cartelle cliniche dell’ospedale di Urbino, si evincerebbe che molti di coloro che furono deportati dai tedeschi a Forlì e trucidati presso il campo di aviazione, sarebbero stati ricoverati nell’ospedale urbinate e da lì prelevati dai tedeschi. I fascicoli personali di alcuni di questi internati confermano il loro pessimo stato di salute. Il motivo per cui insieme a questi vengano deportati anche giovani precedentemente non ricoverati, come Gaddo Morpurgo, ci viene svelato anche in questo caso dalle ricerche della sig. Moscati: il Morpurgo venne consigliato di procurarsi uno stato febbrile con un’iniezione in modo da ricoverarsi e restare in ospedale, luogo ritenuto sicuro. L’aver creduto che i tedeschi avrebbero risparmiato dalla deportazione i ricoverati gravi costò la vita a quelle persone. Sulla vicenda di Gaddo Morpurgo si veda Gioia fugace…”Diario della terribile guerra di distruzione del 43-45”, “Una città”, n. 11, Forlì 1992 ed anche la video-testimonanza di Maria Luisa Moscati Benigni, in Ho guardato una farfalla. Racconti e testimonianze sulla seconda guerra mondiale nella provincia di Pesaro e Urbino, VHS realizzato dalla Provincia di Pesaro e Urbino, 2002.
94 AB, Fe, b. 2, comune di Pesaro certificato di residenza, 1997.
95 Probabilmente Cesare Fiorentino, romano di nascita e vissuto a Roma fino a poco prima, rientrato nella sua città natale cadde vittima della retata del 16 ottobre 1943. Risulta deportato il 18 ottobre con il convoglio siglato RSHA destinazione Auschwitz con altre 1022 persone. Non risulta tra i 17 sopravvissuti. L. Picciotto, Il libro della memoria, cit., p. 288.
96 Ibid., p. 660.
97 Ibid., p.654.
98 Resta invece in Urbania in qualità di sfollata la sorella di Lazzaro, Carlotta Werczler, che non risulterebbe deportata.
99 Per i problemi relativi al ritorno e al dopoguerra si veda Il ritorno alla vita. Vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, a cura di M. Sarfatti, Firenze 1998.