Aspetti della comunità ebraica di Pesaro in età moderna
Stefano Orazi
Prima di presentare una selezione di documenti archivistici, riguardanti la comunità ebraica di Pesaro in età moderna, credo sia bene definire il criterio che volutamente limiterà tale trattazione ad alcune tematiche ritenute ormai storicamente “tradizionali” all’interno del rapporto fra ebrei e cristiani.
Per favorire un più largo approccio accennerò ad alcuni casi significativi riguardanti le cessioni di beni immobili degli ebrei (tra cui la sinagoga antica), i problemi legati al loro insediamento nell’area del ghetto, la forma concordata e assunta dagli stessi in questa fase di forzosa convivenza con l’autorità politica ed ecclesiastica di allora, inoltre i rapporti della parte ebraica con la popolazione cittadina.
1. Una delle più importanti annotazioni riguarda senz’altro la proibizione di possedere proprietà immobiliari da parte della popolazione ebraica, secondo quanto aveva stabilito papa Paolo IV con la bolla Cum nimis absurdum del 12 luglio 1555, recepita e adottata nel medesimo anno dal duca d’Urbino. Magari a Pesaro, come pure a Senigallia, la disposizione con la quale gli ebrei non possono appunto possedere né terre, né immobili, se non dopo aver ottenuto espressa licenza, è registrata nel libro dei Decreti e indirizzata ai luogotenenti della due città adriatiche: a questi e a quelli si precisa che eventuali altri possessi degli ebrei “debbono esser ceduti et alienati ai cristiani sotto pena della perdita di detti beni entro due mesi dalla data di pubblicazione del bando” 1. Per tale motivo nei libri degli estimi a cavallo tra ‘500 e ‘600 non si trovano che rarissimi indizi sulle valutazioni dei beni immobili posseduti da ebrei pesaresi: il nome di Lion[e] hebreo da Spoleto è presente, se pur in maniera indiretta, relativamente ad una verifica dei beni immobili registrata nel libro dell’Appasso del 1560 2. Inoltre, si tenga presente che le autorità roveresche non amavano ufficializzare la presenza degli ebrei, come si evince dal bando del 19 aprile 1563, con il quale si ribadisce di vendere ai cristiani, entro due mesi, quanto possedessero di beni stabili in città o nel territorio 3. Agli ebrei, i quali persero così il diritto di proprietà, verrà quindi concesso l’inquilinato perpetuo, noto come jus gazagà, che lascia ai cristiani la proprietà formale degli immobili e agli ebrei l’uso di fatto degli stessi in cambio di un canone esiguo 4.
Tra gli ebrei che a Pesaro, in virtù del citato bando, provvederanno alla vendita della propria casa, vediamo, negli anni ’70 del Cinquecento, il prestigioso banchiere Angelo di Zaccaria da Volterra, tenuto fino ad allora al riparo da ogni restrizione che colpiva la comunità ebraica pesarese. Il prestatore toscano vendeva la propria casa, sita nella piazza del Quarto (oggi largo Terenzio Mamiani) 5, nientemeno che a Pietro Bonarelli di Ancona, segretario di Guidubaldo II. L’abitazione venne poi confiscata dalla Camera apostolica, per i numerosi debiti causati dal Bonarelli che ammontavano al valore di 3.900 scudi, corrispondenti al prezzo pagato dallo stesso per l’acquisto della suddetta casa 6.
La proibizione di possedere case figura chiaramente negli Statuti di Pesaro del 1531, tant’è che alla rubrica 82 del V libro si legge: “Quod iudei nò possint acquirere bona stabilia, né ora né in futuro, né a qualunque altro titolo, alcun bene stabile esistente nella città e nel territorio di Pesaro senza espressa autorizzazione dell’Ill.mo Signore [Duca] sotto pena della perdita dell’immobile acquistato 7.
Dunque gli ebrei non possono più acquistare beni stabili da cristiani, se non ottenendone espressa licenza, disposizione questa che invece non compare nello Statuto manoscritto del 1412 conservato nella biblioteca Oliveriana 8.
Nella seconda metà del ‘500 il duca d’Urbino ordina al luogotenente di Pesaro di far “pubblico bando, che tutti gli hebrei che possiedono terre et possesioni nello Stato nostro di qualsiasi sorta elle siano e in qualunque luogo si trovano e siano poste et situate, debbano fra termine di due mesi prossimi dal dì della pubblicazione di esso bando, haverle vendute et alienate con effetto a cristiani sotto pena della perdita di detti beni et d’altra [pena] che ci riserviamo a nostro arbitrio” 9.
Il fatto che la proibizione di possedere beni immobili sia rigidamente fatta applicare ci viene confermato dallo stesso vicario episcopale allorquando, nel 1634, intima ai deputati dell’università degli ebrei, Elia Racanati, Eliseo Mondolfo, Moisè di Gabriello e Lazzaro da Perugia, di vendere la sinagoga antica italiana 10; essa era ubicata fuori del ghetto, nel quartiere di san Terenzio, nella via delle Zucchette 11, ed il suo ingresso era posizionato a vista dell’attuale via san Francesco. L’individuazione dell’antico luogo di preghiera e di riunione degli ebrei, pur attraverso le demolizioni e le modifiche strutturali apportate nel corso dei secoli, è soprattutto possibile confrontando l’area del fabbricato oggi in uso all’Ente pubblico con la piantina allegata ad un carteggio dell’anno 1636, rinvenuta presso l’Archivio di Stato di Pesaro 12.
Furono i conti Alessandro e Odoardo Santinelli a comprare dagli ebrei di Pesaro, a nome e per incarico del conte Giulio Thieni, la sinagoga vecchia con tutte le case contigue per il prezzo di mille scudi. Gli ebrei che vi abitavano erano “poveracci e mendichi” ed in quegli ambienti essi avevano anche creato un “hospitale”; le case confinavano, per mura e per servitù domestiche, con l’abitazione del Thieni. Il Thieni, così, pur non essendo in quei giorni in Pesaro, esercitò tuttavia il diritto di prelazione, incaricando per tale acquisto i facoltosi fratelli Santinelli, i quali stabilirono di versare la somma dovuta in due anni, a cinquecento scudi l’anno 13. Tutto sommato, al di là del fatto che il conte Thieni andava ad impossessarsi di un’intera area per uso privato, l’operazione immobiliare fu ben vista anche dalla collettività cittadina, poiché si riteneva che lo stesso conte avrebbe sicuramente reso “più bella la piazza avanti alla chiesa di sant’Ubaldo, et per il pubblico ornato alla città a cui tanto si riguarda” 14.
Quanto all’altra sinagoga italiana, anch’essa non più esistente, ubicata a pochi passi dalla sinagoga di rito sefardita recentemente restaurata, i volumi dell’Appasso ci informano che fu tal Amico Briotti da Recanati ad incaricarsi dell’accertamento catastale del fabbricato, come lui stesso annotava nel 1690 utilizzando l’unità di misura dell’epoca: “Sinagoga dell’università degli ebrei detta Borghegiana con tre botteghe et un cortile appresso la Compagnia di S. Antonio, [tal] sig. Mainardi e le strade e cortile, canne una piedi quarantatre” 15.
2. Non potendo acquistare stabili da cristiani, gli ebrei erano tenuti, con l’erezione del ghetto, a pagare una “tassa dei noli delle case” 16. Numerose lettere testimoniano le controversie sorte per il mancato pagamento degli affitti relativi alle case abitate dagli ebrei, le intimazioni affisse alla porta della sinagoga, le conseguenti cause con il vicario delle gabelle, ecc. 17. Pretese e lamentele per il mancato pagamento di affitti vennero anche da parte dei frati conventuali di san Francesco, i quali, possedendo due case nel ghetto di Pesaro, fecero reclamo al duca d’Urbino “acciò possino pacificamente e senza liti conseguire l’affitto di dette case” 18. L’affitto, secondo le loro legittime richieste, si sarebbe dovuto calcolare dal momento in cui gli ebrei si erano introdotti nelle unità abitative del ghetto.
Anche i già nominati quattro deputati dell’università ebraica furono direttamente coinvolti in questioni riguardanti il pagamento degli affitti. Tali ebrei, però, ritenevano di non dover versare alcun denaro alla confraternita del Nome di Dio, proprietaria dell’immobile, ove essi dimoravano, ma di dover accollare l’affitto alla medesima università che aveva stipulato il contratto senza specificare i nomi dei beneficiari. L’istanza, sollevata dai sindaci dell’università, portò i revisori dei conti a sostenere che l’istituzione ebraica, pur non sottraendosi a tali spese, non era tenuta al pagamento dell’affitto poiché “era stata obbligata da persone senza legittimi mandati” 19.
Tra le altre cose, nel periodo della costituzione del ghetto, possiamo notare un certo incremento del numero degli ebrei e, di conseguenza, una maggiore necessità di strutture abitative per la loro stessa accoglienza. Essi erano non solo di Pesaro ma anche di Urbino, di Senigallia e di altri luoghi fuori della Legazione. Pertanto molti ebrei forestieri si lagnavano per le carenze organizzative e per le difficoltà di ospitare persone nel ghetto pesarese: ad esempio, essi asserivano: “Non esservi hosterie o non haver amici e parenti, dove possino stanziare e dormire in questo ghetto per una o più notti in caso di necessità” 20. Per questo alcuni ebrei venivano accolti sia al di fuori del ghetto, nelle osterie della Posta e della Corona, sia all’interno del medesimo, grazie alla estrema generosità di ebrei ospitali come donna Bonina, la quale era solita privarsi di alcune stanze nella casa ove dimorava 21. Ma nel 1634 non venne più concessa agli ebrei forestieri licenza di alloggiare fuori del ghetto: per questo Abram di Zaccaria, sollecitato dall’università ebraica, si offriva e addirittura prometteva di fare un’osteria per l’alloggio degli ebrei forestieri che, per un certo periodo, frequentavano la città di Pesaro 22.
Inoltre, per agevolare il transito si richiese persino di aprire una porta nel ghetto, poiché si annotava: “Non può apportare né danno, né incomodo, né al pubblico, né in privato, anzi mentre se fosse concessa sarebbe di molto comodo et utile poiché [gli ebrei] potrebbero per strada diretta trasferirsi alla chiesa di Sant’Agostino, in piazzetta et altri luoghi necessari ai loro negozi; laddove stando serrato non possono né per strade indirette, lunghe e fangose arrivare ai medesimi luoghi” 23. L’utilità di aprire una nuova porta, sosteneva tal Alessandro Battaglia assieme ad altri supplicanti, che avrebbero così avuto una strada aperta in prossimità della loro casa, gioverebbe anche all’università degli ebrei di Pesaro per trasportare i propri prodotti negli orti vicini e, dal punto di vista igienico, “alla città tutta la quale presta espresso consenso alla grazia che si riceverà da V.S. Ill.ma” 24 .
3. Nella seconda metà del Settecento notiamo una maggiore integrazione sociale raggiunta dalla comunità ebraica pesarese, probabilmente dovuta ad un cambiamento nell’atteggiamento generale della cittadinanza verso gli ebrei, ai quali si riconosce l’utilità dei servizi da loro offerti. Ciò favorisce, localmente, il superamento di certe norme restrittive introdotte nei secoli precedenti da papa Paolo IV con la sua enciclica Cum nimis absurdum, la quale, ad esempio, proibiva agli ebrei di curare i cristiani 25. Nel XVIII secolo migliora persino il giro d’affari delle professioni artigianali già esistenti nel ghetto e si allarga il mercato del prestito di denaro, anche a favore della popolazione cristiana.
Pure l’università degli ebrei di Pesaro attraversa una fase economicamente favorevole, poiché assieme a quella di Ancona e Senigallia, il 6 agosto 1755, sotto il pontificato di Benedetto XIV, e ancora il 2 giugno 1763, con Clemente XIII, riesce anche a saldare “li debiti dell’università degli ebrei di Urbino” 26 . A differenza di quest’ultima università ebraica, inoltre, quella pesarese nel 1785 versa dazi imposti dalla Camera apostolica per la somma di 350 scudi 27.
Questo periodo di bontà economica è direttamente testimoniato dagli stessi consiglieri dell’università degli ebrei di Pesaro, i quali, il 26 dicembre 1679, si radunano per fissare delle regole di “moralità” a causa del lussuoso tenore di vita raggiunto da alcune famiglie del ghetto “in tempi generalmente penuriosi, ne quali anzi dovevasi una più rigorosa economia osservare” 28. Per tale delicato compito scelgono degli esperti come Anselmo Viterbo e Moisè Vita Rimini assieme a Salomone del Vecchio, rabbino e scrivano dell’università. Così, infine, il 2 gennaio 1770 venne approvato dal presidente della legazione di Urbino, mons. Pasquale Acquaviva, il regolamento a stampa che fu intitolato Prammatica da osservarsi da ciascuno della università degli ebrei di Pesaro istituita dai due regolatori a tal effetto eletti dal pubblico Consiglio della medesima. Esso conteneva 22 capitoli nei quali si stabilivano norme per certe manifestazioni, ritenute a quei tempi eccessive, relativamente all’abbigliamento, ai giochi, alle regalie, ai matrimoni.
Con l’elezione di papa Pio VI si torna ad una politica più restrittiva nei confronti degli ebrei e in breve tempo cessa quella fase di prosperità economica goduta essenzialmente dalle famiglie più in vista della comunità ebraica pesarese. Questo è quanto ci fa capire, tra le righe, il cancelliere apostolico all’Acquaviva, presidente della legazione di Urbino. In una sua lettera dirà, infatti, che nel periodo 1771-1776 il ghetto di Pesaro era formato da cinquecento anime ma circa duecento di esse “se ne numerano che hanno bisogno di vivere sulla pietà degli altri” 29.
Inoltre, nei primi anni dell’Ottocento, il parroco della chiesa abbaziale di San Nicolò, nella cui giurisdizione era rilegato il ghetto di Pesaro, si lamenta con il proprio vescovo, Felice Bozzi, sia per gli “abusi” commessi dalla locale comunità ebraica, sia per le sue relazioni sociali e per il suo commercio. In verità, il vescovo di Pesaro non si preoccupa di quello che gli rappresentava il parroco, anzi riferisce al Tesoriere apostolico in Roma, in data 14 agosto 1824, che già esistono molteplici rapporti tra cristiani ed ebrei, ormai diffusisi ovunque. Infine sottolinea: “Ogni città è oggi diventata un ghetto [ove] si mangia, si beve, si dorme” 30. In effetti mons. Bozzi era angustiato dal fatto che tale degenerazione portava anche la società cristiana a violare le costituzioni dei sommi pontefici che lui espressamente ricordava nei nomi di Clemente IV, Sisto V, Paolo IV e Innocenzo XIII. L’unica nota positiva, che ricalca il vescovo di Pesaro, è quella secondo cui “il commercio è divenuto non più oggetto di privativa delli ebrei in ogni genere” 31. Ciononostante il prelato chiede di mettere “un pronto riparo a tanti disordini, […] così gravi, che riguardano man mano lo spirituale che il temporale: disordini contro dei quali reclamano la società tutta insieme e la religione ” 32.
Ciò dimostra che i rapporti tra società ebraica e società cristiana andavano al di là del circoscritto prestito di denaro. Si usava semplicemente la pratica del ricorso agli ebrei per denaro da parte della società cristiana -pratica che secondo il Bozzi nel XIX secolo era in disuso- nel periodo della nascita del ghetto. Allora era l’unica consentita o comunque giustificata. Tant’è che due lettere del 6 e 7 ottobre 1635 ci ricordano che alcune donne artigiane non potevano neppure prestar servizi domestici o recarsi nel ghetto “per altro atto, fuorché per l’occasione di far riscuoter pegni o impegnar o altra simile sotto pena della frusta e di cento scudi d’applicarsi dalla reverendissima Camera ducale in caso di contravvenzione” 33.
In quella circostanza le donne spiegarono di esser state trovate nel ghetto e nella casa dell’ebreo semplicemente per mostrargli “certi lavori, acciocché [egli] li comprasse et si trattennero un quarto d’ora per aspettarlo che era fuori di casa, et altre per avere della seta et del rife da lavorare et dei quattrini per i lavori dalla moglie dell’ebreo” 34. Più in generale, la regolamentazione delle persone che sarebbero dovute entrare ed uscire dal ghetto favorì un maggior controllo, se è vero che nell’elenco dei carcerati del 10 marzo 1635 figura tal Luca di Marco del Grasso di Pesaro per furti di galline nel ghetto a danno degli ebrei Moisè da Fano e Angelo Lustro 35.
In ogni caso, a quel tempo gli ebrei di Pesaro godevano di una libertà assai limitata e una parte di essi vivevano ancora in condizioni economiche precarie. Ad esempio, secondo una deposizione di due di loro si rappresentava che “ben spesso accade che i poveri hebrei di questo ghetto hanno bisogno di comprar olio alla minuta, et che s’indugiano di notte a comprarlo per non poter far altrimenti per mancamento di denari che vanno buscando alla giornata et d’ora in ora” 36. Spesso, comunque, succedeva che gli ebrei restavano anche senza olio, dato che, ad una certa ora di notte, si chiudevano le porte del ghetto “per il che patiscano” 37. Per questo motivo il 2 dicembre 1633 verrà concessa licenza all’ebreo pesarese Laudadio Nacman “di poter vender l’olio dell’Ill.ma Comunità agli ebrei che sono in ghetto pigliandolo dagli abbondanzieri dell’olio di detta Comunità” 38.
Una nota curiosa era che di notte, quando ancora non vi era il ghetto, vigeva un divieto imposto agli ebrei di Pesaro, quello cioè che li obbligava a tenere acceso un lume, per motivi di sicurezza, ovvero per farsi riconoscere nell’oscurità. Il podestà il 27 aprile 1601, scrivendo al duca d’Urbino, segnalava il nome dell’ebreo Samuele di Pacifico venuto da Macerata a Pesaro, ove abitava la moglie, per fare assieme “le loro feste”: ma trovato senza lume, alle tre di notte, con suo nipote “di tre anni in circa o quattro”, non informato del “decreto del lume” viene portato in prigione assieme al proprio putto 39.
Particolarmente duro contro gli ebrei anche il decreto emanato a Pesaro da Francesco Maria II Della Rovere in data 21 aprile 1621 con il quale, ad esempio, si proibisce alle donne ebree di allattare figli di madri cristiane, di mangiare, giocare, o legare conversazione con cristiani 40. Persino i rapporti sessuali degli ebrei con le prostitute sono proibiti, tant’è che l’ebreo Jacob di Leone da Monte Fiore residente in Pesaro, di anni 16, è condannato a pagare cento scudi e frustato “per aver conosciuto carnalmente donna Giovanna di Giuseppe da Rimini pubblica meretrice” 41. E’ la stessa donna a riferire il fatto all’autorità giudiziaria per vendicarsi dell’ebreo il quale l’aveva pagata con una moneta di ottone; anche la donna venne poi frustata. Tale testimonianza, secondo certa storiografia, forse potrebbe rientrare, almeno tendenzialmente, nell’ottica dell’integrazione sociale: qui tuttavia non si può non riconoscere che in tema di rapporti sessuali questo genere di relazioni si dimostravano non molto differenti da quelle del popolo cristiano e per questo punibili come atti che la società dell’epoca non tollerava affatto.
A P P E N D I C E
doc. 1: Archivio di Stato di Pesaro, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b.15, area della sinagoga antica (autorizzazione alla pubblicazione n°…, del …).
doc. 2: Archivio di Stato di Pesaro, Notarile di Pesaro, Nicola Montano, anno 1635, s.n.:
“22 agosto 1634, in Pesaro.
Elia Recanati e Sabbato Raffaelle Mondolfo ebrei di Pesaro, come procuratori e mandatari dell’università degli hebrei d’essa città, eletti e constituiti a fare l’infrascritte cose, come da lor mandato dicino appare sotto rogito del signor Sebastiano Bonifazi della Scheggia hora notaio de malefizii di questa città sotto il dì 18 di giugno prossimo passato al quale, presenti spontaneamente in ogni modo migliore, obbligano tutti li hebrei della sodetta università in virtù del suddetto mandato di ragione propria et in proprio danno vendendo e per titolo di vendita perfetta concedono al sig. conte Odoardo Santinelli da Pesaro presente, stipulante ed avente per sé et in nome del signor conte Alessandro suo fratello absente et loro eredi assieme con me notaro per la sinagoga vecchia con tutte le case contigue d’essi hebrei poste in questa città di Pesaro, quartiere di San Terenzio, appresso li beni del signor conte Thieni dalla banda dinanzi e didietro, la scuola del Comune, la strada pubblica detta del Quarto et il stradino dietro il convento dei frati di San Francesco et altri, quali con tutte le sue ragioni et pertinenze et massime, con li siti che a detti conti Thieni furono prestati dagli hebrei come per instromento appare sotto rogito del signor Giovan Battista Benamati, notaio di Pesaro, il 18 di settembre 1630, per avere, tenere, possedere, godere et alienare et farne quel tanto che alli sodetti signori compratori parerà e piacerà, senza farsi altra riserva che del dominio sopra detta roba venduta sinché li venditori saranno intieramente soddisfatti del prezzo d’essa, et di quanto si dichiarerà qui a basso, dando, cedendo essi venditori in detti nomi in virtù d’esso loro mandato alli sodetti signori compratori ogni ragione et ogni azione e danno, et in qualsivoglia modo potessero avere sopra la detta roba venduta, constituendo li medesimi signori compratori, procuratori infrascritti ponendogli in loro luogo et universa ragione et di tenere la detta sinagoga con le case, e ragioni sodette a nome delli sudetti conti Santinelli compratori sinché ne pigliaranno il corporal possesso, et di pigliarlo essi venditori in detti nomi quali ne danno piena potestà e facoltà senza alcun decreto di giudice o corte, promettendo a favore d’essi signori compratori d’eccezione universale e particolare e legittima difesa d’essa robba venduta con tutti li suoi patti utili e consueti al senno del savio delli sodetti compratori e loro eredi in amplissima forma da estendersi.
La quale vendita e tutte le cose contenute nella presente scrittura li sodetti Elia et Sabbato Raffaelle procuratori sodetti fanno per il prezzo et a nome di prezzo conforme a quanto sarà dichiarato da doi muratori comuni amici, da eleggersi dalle suddette parti fra termine d’un mese prossimo avvenire di incominciarsi oggi e finire come segue et da li in poi a beneplacito d’essi hebrei senz’altra intimazione alla stima de quali dette parti dichiarano di voler stare tacite e contente e di non reclamare con questa condizione: che dalle detta stima da farsi come di sopra si habbia in utilità d’essi signori compratori defalcare scudi quindici correnti per cento, e non altrimenti, il quale prezzo esso signor conte Odoardo, presente per sé ed in nome del detto conte Alessandro suo fratello obbligato per il quale anche promette de rato e altrimenti del proprio come personale rendiconto non volendo, et le cose possibili promise di pagare a detti hebrei presenti in questo modo, cioè scudi 300 correnti da qui d’un mese prossimo avvenire, dico scudi trecento, et il resto fra termine di tre anni prossimi, di incominciare oggi e finire come segue, cioè un terzo per anno et questi e li sodetti scudi trecento sopradetti in pecunia numerata et non altrimenti fuori del volere d’essi hebrei remossa ogni eccezione e lunghezze qui in Pesaro.
Cenuando che sia lecito a detti hebrei di poter havere e levare con effetto a lor piacere dalla detta sinagoga e case le sodette robbe: doi scaffe di marmo, una porta di marmo, pietre, cornice con triangoli simili sopra la porta sodetta; un tavolino di marmo con quattro colonette del medesimo; quattro vitriate grandi; un lavamano di marmo con la scaffa di sotto simile; una pietra di marmo [con] scritture in lettere hebraiche all’incontro della porta; un’altra pietra di marmo piccola [con] scritture con lettere hebraiche; le spalliere di tavola e banche tutte in detta sinagoga et quattro ferrate che sono nelle fenestre grandi nella detta sinagoga; un’altra pietra simile in sinagoga delle donne hebree.
Che dalla presente poliza et cose contenute in essa debbasi fare pubblico e giurato instrumento informata [la] Camera apostolica fra termine d’un mese et che in quello debba intervenire il detto signor conte Alessandro con obbligarsi in solido col detto conte Odoardo suo fratello con le renunce de benefizi in forma et possano perciò ambedue esser astretti mediante iure.
Et perché la chiave d’essa sinagoga e delle medesime case sono in mani di mons. vicario episcopale o al suo officiale però essi hebrei procuratori sodetti danno hora autorità di andarle a torre et servirsene ad esso signor conte Odoardo presente et accettante come di sopra. Et per osservazione delle sodette cose obbligando dette parti vicendevolmente cioè detti hebrei i beni tutti d’essa università et detto signor conte se medesimo e suoi eredi et beni presenti ed avvenire nella più ampia forma della C[amera] apostolica con le clausole con patto della subastazione. Rendendo in fedes et della presente se ne sono fatte due simili per averne avuta ogni uno d’essi la sua et sarà sottoscritta dalle parti e dai testimoni.
Io Odoardo Santinelli, a nome anco di mio fratello suddetto come a nome mio, affermo e prometto a quanto questa si contiene.
Odoardo Santinelli, Sabbato di Raffaele da Mondolfo, Bastiano Mazzanti (testimone), Giovanni Gherardi (testimone), Nicola Montani notaio.
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4 settembre 1634: Odoardo Santinelli dichiara di aver ricevuto le chiavi della sinagoga e delle case circoscritte il 2 settembre dal signor Francesco Maria Ubaldi, cancelliere di mons. vescovo di Pesaro.
1 Asp, LA, b.1, Decreti e ordini 1464-1630, cc.8v-9.
2 Ascp (in Biblioteca Oliveriana, Pesaro), Libro dell’Appasso, S. Nicolò, I, 1560, c.76.
3 Cfr. G. Vaccaj, La vita municipale sotto i Malatesta, gli Sforza e i Della Rovere Signori di Pesaro, Pesaro 1928, p. 114.
4 Cfr. S. Manenti, Documenti sull’applicazione del jus gazagà nel ghetto di Pesaro, in “Pesaro città e contà”, 2 (1992), pp.29-32; sul tema, più in generale, V. Colorni, Gli ebrei nel sistema del diritto comune, Milano 1956, pp.62-65.
5 G.Vaccaj, Pesaro pagine di storia e topografia, cur. R. Martufi, Pesaro 1984, p. 20.
6 Asp, Fondo Ducale, cfr. Infeudationes ac alia instrumenta ducalia 1574-1577, cc.174-176 (9 aprile 1577) e ivi cc. 164-166. Tra l’altro il Bonarelli aveva l’onere di sborsare ad Angelo di Zaccaria “scudi 1.800 per il residuo del detto prezzo e scudi 2.100 lo stesso ill.mo duca [Francesco Maria II] concesse al conte Giulio Thieni” a computo di credito del suo stipendio. Su Angelo Zaccaria da Volterra utile anche R. Segre, Gli ebrei a Pesaro sotto la Signoria dei Della Rovere, in Aa.vv., Pesaro nell’età dei Della Rovere, Venezia 1998, p.138.
7 Asp, LA, s. Statuti, b.4, “Statuti della città di Pesaro, liber quintus”, CII, rub. 82.
8 Ascp, Statuti manoscritti di Pesaro (sec.XV) di Domenico Bonamini o, come lui scrive, “Codice dell’archivio segreto della comunità di Pesaro”.
9 Asp, LA, b.1, Decreti e ordini 1464-1630, c.8v. (16 aprile, s.a. poiché lacero).
10 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b.13, 10 novembre 1634. Agli ebrei fu obbligato di portar via anche i mobili d’arredo della sinagoga e lasciare il fabbricato ove essa era sita sotto pena di scudi 500 e/o pene corporali ad arbitrio di mons.Mattei, vice legato apostolico.
11 All’altezza del restringimento, sulla parte del fabbricato giallo oggi utilizzato da Telecom. Diversi volumi conservati presso la biblioteca Oliveriana menzionano la sinagoga e “scola” degli ebrei poste nel quartiere di san Terenzio e confinanti con Servadio di Crescimbene ebreo (si vedano, negli Squarci Almerici, i voll.: XII, BP, c. 2v. (17 ottobre 1367); IV, R, c.12v. (17 febbraio 1462); IV [in vol.V], Z, c. 25v.(26 ottobre 1469); VII, AI, c. 36v.(4 luglio 1499). Sull’ubicazione della sinagoga antica, sita in via delle Tre Zucchette, si veda G.Vaccaj, Pesaro. Pagine di storia e topografia, Pesaro 1909, p.190 e, più recentemente, M. Frenquellucci, La storia urbana di Pesaro nel Medioevo: mille anni di trasformazioni, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, “Historica Pisaurensia”, II, Venezia 1989, p.170; M.L. Moscati Benigni, Marche itinerari ebraici. I luoghi, la storia, l’arte, Venezia 1996, p.123; R. Segre, art. cit., p.133; F.V. Lombardi, Gli ebrei a Pesaro nel XIV e XV secolo, in “Studia Picena”, (LXIV-LXV) 1999-2000, pp.100-101, il quale indica la sinagoga direttamente “all’angolo del vicolo delle Zucchette” (ivi, p.101).
12 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b.15, 1636, si veda la piantina (appendice, doc. 1); dell’antica sinagoga italiana, oggi inglobata pressoché totalmente dalla sede Telecom, non rimane nulla; per questo in via delle Zucchette, nel tessuto esterno del suddetto edificio, sarebbe opportuno porvi un’epigrafe a ricordo. Per l’esatta individuazione del luogo mi è stata di valido aiuto anche la pianta di Pesaro di J.J. Blaeu del 1663, nonché l’analisi di alcuni passi dell’atto notarile di Nicola Montano (appendice, doc. 2); ringrazio inoltre Francesco Vittorio Lombardi e Massimo Frenquellucci per la cortese consulenza.
13 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b. 15, s.d.. Nel rogito del notaio Nicola Montano del 22 agosto 1634 (Asp, NP, Nicola Montano, 1635, s.n.) non è ben chiaro il prezzo di vendita: si registrano solo le modalità del pagamento “e il resto fra termine di tre anni prossimi” cfr. appendice, doc. 2): un maggior arco di tempo, dunque, rispetto ai due anni, indicati nella sopra citata lettera, convenuti per il saldo.
14 Asp, LA, ”Lettere della comunità di Pesaro”, b. 15, 1636.
15 Ascp, Libro dell’Appasso, 1690, c.113; qui, inoltre, è scritto: “in là nel ghetto una casa appresso il sig. conte Alfonso Montani, sig. contessa Giulia Manelli e la strada, canne due piedi uno”. E ancora in altre carte: “In là nel ghetto una casa con un sito di casa scoperta appresso i beni del Capitolo, il sig. Arduino Arduini e le strade con una senz’esito [e] il sito scoperto è di canne due piedi due” (ivi, cc. 24-24v.). Relativamente a questo fondo catastale altri nominativi di ebrei sono annotati nel registro Pesaro città, Regno d’Italia, estimo e case.
16 Bop, ms. 444, 1635, c. 62.
17 A solo titolo di esempio, cfr. Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”: b.14, 24 settembre, 23 ottobre e 22 novembre 1635; b.15, 9 e 31 gennaio 1636; b.16, 6 maggio, 14 maggio e 10 settembre 1637.
18 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b. 14, 1635.
19 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b. 13, 14 dicembre 1634.
20 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b. 13, 11 ottobre 1634.
21 Cfr. ivi, lettera del 30 dicembre 1633.
22 Cfr. ivi, lettera del 5 novembre 1634.
23 Cfr. ivi, b.16, lettera del 7 marzo 1637.
24 Ivi, lettera rivolta direttamente al duca di Urbino.
25 ) Anche se questa bolla, come la Romanus pontifex del 19 aprile 1566, non sembra esser stata fatta applicare poiché a Pesaro si registra una certa promiscuità con i cristiani, dai quali gli ebrei arrivano fino a farsi servire, quando non è il caso, opposto ma ugualmente disdicevole, dei cristiani che si fanno curare da un medico ebreo. Tant’è che: “Medicus […] haebreus in hac civitate repertus est, magna apud multos opinione scientiae atque humanitatis, qui ad christianos medendos accedere passim solebat: a reverendissimo vero Ordinario saepe repraensus modo etiam multatus est. Hac de re allocutus est dominus Visitator Ducem illustrissimum ut id sua quoque auctoritate omnino prohibeat et hominem hunc suis finibus expellat, nisi suis se ipse finibus continuerit”, cfr. G. L. Masetti Zannini, Gli ospedali marchigiani (sec.XVI-XVII) in alcuni documenti vaticani, in “Atti e Memorie” della Dep. st. p. per le Marche, Ancona 1994, p. 401; G. Allegretti, La visita apostolica della diocesi pesarese (1574),in “Frammenti”, 2 (1994), p. 49.
26 Asr, Camerale II, “Ebrei”, b.10, Relazione del cancelliere apostolico, cit. Ringrazio Gian Lodovico Masetti Zannini per i puntuali riscontri fornitimi.
27 Asr, Camerale II, “Ebrei”, b.10 inserto 540: Senigallia e Ancona erano tenute a versare rispettivamente 470 e 4.200 scudi su un totale di 8214,95 scudi. Da notare che in questo inserto delle università degli ebrei dello Stato pontificio non figura quella d’Urbino che, come noto, viveva in condizioni finanziarie drammatiche (Asr, Camerale II, “Ebrei”, b.10, Relazione del cancelliere apostolico al card.Pasquale Acquaviva e Asp, LA, “Lettere della comunità di Urbino” 1719-1720, b. 58, Urbino 21settembre 1719). Secondo l’inserto 540 erano tenute a versar denaro, inoltre, l’università degli ebrei di Lugo per 270 scudi, di Cento per 100 scudi, di Ferrara per 1.600 scudi, di Roma per 1524 scudi e 95 baiocchi.
28 A. Viterbo e M. Vita Rimini, Prammatica da osservarsi da ciascuno della università degli ebrei di Pesaro istituita dai due regolatori, Gavelli, Pesaro 1770, p.5.
29 Asr, Camerale II, “Ebrei”, b.10, s.d.
30 Ivi, Relazione del vescovo Felice Bozzi al Tesoriere apostolico, c. 4.
31 Ivi, c. 5.
32 Ivi, c. 6.
33 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b. 14, 6 ottobre 1635.
34 Ivi, 7 ottobre 1635.
35 Ivi, 10 marzo 1635.
36 Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b. 13.
37 Ibidem
38 Ibid. L’usanza di vender l’olio agli ebrei poveri era peraltro assai diffusa nei ghetti di Roma, Mantova, Venezia, Ancona e Ferrara. Tra questo genere di usanze si segnala qui anche il negato consenso da parte dell’università degli ebrei al comandamento di “dover dar d’olio per la Rocca”, stando alla precettazione fatta dal castellano il 9 giugno 1635 (Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b.14).
39 Asp, Archivio ducale, Carteggio, b. 8/c.
40 Asp, LA, “Decreti” 1592-1658, c.112.
41 Asp, LA, “Lettere alla comunità di Pesaro”, 12 dicembre 1633. Quanto ai Monte Fiore possiamo segnalare che, nel 1622, tale famiglia annoverava i nomi di Jacobbo di Leone, Vitale e Salomone, tutti abitanti in Pesaro (Bop, Monumenti Rovereschi, codice 375, tomo XXXVI, f.151r). Salomone, ad esempio, era proprietario di una barca utilizzata anche per trasportare del grano “vicino alla Rocca di questo porto” (Asp, LA, “Lettere della comunità di Pesaro”, b. 16, 20 maggio 1637).