Un anno alla guida dell’Ari (Assemblea dei Rabbini d’Italia), primo bilancio del rav Richetti
Rossella Tercatin
Un anno fa veniva nominato presidente dell’assemblea rabbinica italiana succedendo a rav Giuseppe Laras che ha assunto l’incarico di presidente onorario. Rav Elia Richetti, fino al termine del 2010 rabbino capo della Comunità ebraica di Venezia, oggi a Milano, Comunità in cui è cresciuto, alla guida della sinagoga Beth Yoseph, racconta quanto l’Ari in questo periodo ha fatto e soprattutto quanto c’è ancora da fare, nel quadro di un ebraismo italiano che si evolve rapidamente.
Rav Richetti, dopo un anno alla guida dell’Assemblea rabbinica italiana, quale bilancio traccia del lavoro del suo consiglio?
Abbiamo avuto qualche difficoltà iniziale perché ci siamo trovati ad affrontare situazioni delle quali non eravamo a conoscenza, per esempio l’organizzazione di alcune attività nelle piccole Comunità. Dopo una fase di assestamento però, direi che l’attività è proseguita come auspicavamo. Abbiamo aumentato in modo considerevole le occasioni di incontro tra i rabbini italiani, un obiettivo di breve termine cui tenevo particolarmente, sono state organizzate diverse giornate di studio, abbiamo avviato la costruzione del sito dell’Ari, che sarà uno strumento fondamentale per la comunicazione con gli iscritti alle Comunità e con tutti coloro cui può servire contattarci. Infine, abbiamo affrontato il tema della riforma dello Statuto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
La riforma dello Statuto UCEI ha assunto un peso preponderante nel dibattito dell’ebraismo italiano. Il rapporto fra rabbinato e istituzioni comunitarie è un fronte particolarmente delicato, al punto che il Congresso UCEI del dicembre 2010 ha deciso di rimandare la discussione ad altra sede. Cosa è emerso dal vostro confronto?
l dibattito sull’argomento è in atto. Attualmente ci stiamo occupando di creare la commissione che diventerà l’interlocutore dell’UCEI per riformare gli articoli dello statuto che riguardano il rabbinato. Spero che gli incontri potranno essere frequenti e fruttuosi.
Altri due temi riguardo cui l’Ari è stata chiamata in causa al Congresso UCEI: un Bet Din (Tribunale rabbinico) unico per tutta l’Italia e un maggiore coordinamento sulla Kasherut.
Per quanto riguarda il Bet Din, avremo a maggio una giornata di approfondimento sulla questione con la partecipazione di numerosi esperti internazionali, probabilmente a Roma.
Sulla Kasherut abbiamo già aumentato in maniera notevole le comunicazioni interne perché tutti i rabbini e le Comunità siano informati in tempo reale delle notizie che raccogliamo. Presto queste informazioni saranno disponibili anche sul sito internet. La proposta di realizzare un marchio kasher nazionale, avanzata durante il Congresso, è più complessa, perché è necessario risolvere il problema di studiare uno standard comune.
Un altro fronte su cui l’Assemblea rabbinica italiana si muove è quello della formazione.
Attualmente è già stato avviato un corso per la formazione di moalim e spero di poter organizzare a breve un progetto analogo per shochtim. Poi ci tengo a sottolineare l’importanza di iniziative come il sito Torath Chaim (http://moked.it/torathchaim/) che permette di comunicare direttamente con chiunque abbia bisogno di approfondire qualche argomento legato all’ebraismo. Mi auguro che tutti i rabbini italiani partecipino attivamente.
A proposito di questo, il fatto che ci siano sempre meno giovani che scelgono di intraprendere la carriera rabbinica viene considerato uno dei grandi problemi dell’ebraismo italiano. Per quale ragione questo accade e quale potrà essere la soluzione, secondo lei?
Io penso che esistano due problemi fondamentali. In primo luogo il fatto che i giovani rabbini siano poco disponibili a spostarsi nelle piccole Comunità, specialmente se sono abituati ad avere a disposizione tutti i servizi come la vendita di cibo kasher, il mikveh, il miniam per le Tefillot al Tempio. Però anche le piccole Comunità devono capire che per avere un giovane rabbino devono fornirgli delle condizioni minime di vita ebraica.
Ma andando ancora più nel profondo della questione, abbiamo il problema che tra coloro che iniziano il percorso di studi per diventare rabbino, sono pochissimi a portarlo a termine. La carriera rabbinica è considerata irta di difficoltà e poco attraente. Penso che un primo passo per cambiare le cose sia stato compiuto dal Congresso UCEI, con il confronto aperto e sentito che ha avuto luogo tra rabbini e delegati. Se si prosegue lungo questa strada, sono fiducioso che le cose possano davvero cambiare.
Dalla Newsletter L’Unione Informa