Dieci degli esploratori rivelano le loro impressioni su Eretz Yisrael descrivendo i giganti che vivevano lì: “Noi eravamo come cavallette ai nostri occhi, e tali apparivamo ai loro occhi” (Bamidbar 13:33). . Il semplice significato di questo versetto è che si sentivano piccoli, fragili ed indifesi di fronte agli imponenti giganti, sottolineando il fatto che avevano poche possibilità di conquistare quella terra. Potrebbe tuttavia esserci un significato più profondo in questa metafora.
Gli esploratori si definiscono “chagav”, una specie di locusta, un insetto distruttivo che consuma i raccolti. Ciò è evidenziato dal versetto nel Sefer Divre Hayamim (7:13) in cui D-o descrive lo scatenamento di una piaga di locuste: “Io comanderò al ‘chagav’ di consumare la terra”. La Ghemara in Masekhet Sotà (35a) commenta che gli esploratori sapevano di essere percepiti come “chagavim” perché i Cananei quando li sentivano muoversi tra gli arbusti commentavano che c’erano locuste tra gli alberi. A un livello più profondo, ciò potrebbe significare che gli esploratori presero nota del modo in cui i Cananei si riferivano a loro. Sulla scia della distruzione portata sull’Egitto al tempo dell’Esodo, i Cananei vedevano gli ebrei come “locuste”, uno sciame di ladri che cercano di usare la loro forza per saccheggiare, derubare e seminare distruzione. Ritroviamo questa percezione circa trentotto anni dopo, quando, a seguito della conquista del territorio di Sichon e di Og da parte del Popolo di Israele, Balak, che governava sul vicino regno di Moav, espresse il suo timore descrivendo gli ebrei come popolo “che copriva faccia della terra” (Bamidbar 22:5), facendo riferimento allo stesso versetto cui si riferivano i Cananei. Probabilmente gli esploratori nel percepire questo riferimento si sentirono non solo piccoli, ma anche moralmente insicuri, saccheggiatori avidi e violenti, e cominciarono a chiedersi se ci fosse del vero in questa accusa, diventando incerti sia sulla possibilità di conquistare la terra, sia sulla giustificazione per farlo. Erano colpiti dall’accostamento con le locuste, un popolo straniero che saccheggia una terra sulla quale non ha diritti o legami e alla quale non appartiene.
La Ghemara in Sotà inizialmente suggerisce che l’affermazione degli esploratori, “e così eravamo noi ai loro occhi” dimostra che erano bugiardi. Non avevano modo di sapere cosa pensassero di loro gli abitanti di Canaan, e quindi la loro affermazione che erano percepiti come “cavallette” dimostra che non erano sinceri. La Ghemara stessa successivamente respinge questa affermazione, notando la tradizione secondo cui gli esploratori sentirono effettivamente i Cananei descriverli come locuste. Questa discussione evidenzia essenzialmente due diversi tipi di errore che spesso commettiamo riguardo a come siamo percepiti agli occhi degli altri: Presumere erroneamente che gli altri pensino negativamente di noi e presumere erroneamente che la caratterizzazione negativa che gli altri hanno di noi sia corretta. La Ghemara inizialmente afferma che gli esploratori erano colpevoli della prima percezione, di essere concepiti negativamente, ma alla fine conclude che erano colpevoli della seconda percezione, che questo fosse vero. L’insegnamento qui è che dobbiamo evitare entrambe queste tendenze naturali.
Rashi nella sua introduzione sulla Parashà di Shelach Lekhà, basandosi sul Midrash Tanchuma, scrive che gli esploratori non avevano imparato la lezione trasmessa dalla punizione inflitta a Miriam per aver parlato in modo inappropriato di Moshe. Proprio come lei fu punita per il suo discorso negativo su suo fratello, anche le spie furono punite per aver parlato negativamente di Eretz Yisrael. Il Midrash traccia un’associazione tra questi due accadimenti suggerendo un certo grado di somiglianza tra loro. Miriam, come gli esploratori, è andata oltre il suo ruolo ed ha espresso un’opinione su un argomento che era, per così dire, al di fuori della sua portata. Rashi spiega che Miriam aveva erroneamente criticato Moshe per essersi separato da sua moglie, una misura drastica che lei riteneva non necessaria e quindi impropria. Non era compito di Miriam decidere se Moshe fosse giustificato nel separarsi da sua moglie. Anche se può essere comprensibile che lei avesse un’opinione sull’argomento, era sbagliato da parte sua andare in giro a criticare la decisione di Moshe, non potendo comprendere appieno le ragioni dietro la decisione di suo fratello, e quindi non spettava a lei esprimere opposizione. In questo senso il suo peccato somigliava a quello degli esploratori, che andarono oltre il ruolo loro assegnato e si arrogarono il diritto di esprimere opinioni su questioni sulle quali non erano state interrogati o non dovevano decidere. Nel caso degli esploratori, la loro colpa era aggravata dal fatto che la promessa della riuscita della missione era stata data da D-o stesso.
Questi accadimenti ci ricordano da una parte l’importanza di riconoscere i nostri limiti e di sapere quando esprimere un’opinione è inappropriato e arrogante, dall’altra che l’opinione degli altri su di noi non è necessariamente corretta e non dobbiamo convincerci di quanto sentiamo. Dobbiamo vivere secondo le nostre credenze e convinzioni, secondo la via tracciata dalla Torà, e non prestare eccessiva attenzione agli scherni e alle accuse infondate mosse dalle persone intorno a noi. Dobbiamo cercare di identificare i nostri ruoli particolari, dove i nostri talenti e le nostre capacità possono essere applicati al meglio, e quindi focalizzare la nostra attenzione su quelle aree. Errori ci potranno essere, momenti di difficoltà da cui possiamo emergere investendo su noi stessi, migliorando i nostri comportamenti e le nostre azioni, migliorando noi stessi ed ispirando il prossimo a fare altrettanto.