Rav Amedeo Spagnoletto
Senza dubbio, al Sefer Toràh, inteso come il rotolo pergamenaceo che contiene il Pentateuco, il mondo ebraico ha sempre rivolto il massimo rispetto e la più alta devozione. La normativa ebraica ha disciplinato in maniera puntuale tanto le numerose sfaccettature collegate con il momento della copiatura del rotolo, (requisiti del copista, tipo di materiale, struttura delle lettere, disposizione del testo) quanto, nel complesso, il rapporto che lega la collettività ad esso nei diversi momenti rituali. 1
Non vi è dubbio che l’amore e la reverenza rivolta dagli ebrei al Sefer Toràh abbiano contribuito a preservare dall’incuria i manoscritti di ciascuna comunità ebraica nel mondo.
In Italia, il fenomeno acquista una dimensione particolare se si pensa alle spoliazioni che le comunità ebraiche italiane hanno subito durante i secoli e negli ultimi decenni. A fronte di biblioteche trafugate, depredate, di cui solo in rarissimi casi è possibile individuare una minima omogeneità, le sinagoghe italiane conservano un consistente patrimonio di Sifrè Toràh che va ben oltre le esigenze rituali attuali ed anche passate.
A questo va aggiunto che la prescrizione della sepoltura dei manoscritti inadatti alla lettura pesulim, ha determinato nel corso dei secoli, la perdita di un cospicuo numero di manoscritti. Oltre alle ben note lapidi che lasciano traccia dell’infausto evento presenti in numerosi cimiteri ebraici,2 va ricordata in tempi a noi vicini, la sepoltura di circa settanta Sifrè Toràh irrimediabilmente danneggiati dall’alluvione di Firenze del 1966 e quella avvenuta a Trieste nel giugno del 1999 di un esemplare assieme agli oggetti personali e alle protesi di ebrei triestini assassinati nei lager.
Nel mondo scientifico, finora, non è stata rivolta un’adeguata considerazione ai Sifrè Toràh; a quanto mi consta in Italia non è stata pubblicata alcuna ricerca in proposito e, se si escludono i pochi riferimenti dedicati ai rotoli conservati presso importanti biblioteche pubbliche, non rimane traccia di un’ordinata catalogazione in alcuna delle comunità ebraiche in Italia.3
Il mio lavoro in questi ultimi anni si è orientato, più che ad effettuare un vero è proprio censimento del patrimonio italiano, alla compilazione di singoli cataloghi degli esemplari conservati in alcune delle comunità che di volta in volta hanno richiesto il mio intervento. Va sottolineato che l’intento del lavoro è quello di dare un ordine alla collezione, evidenziando lo stato di conservazione di ciascun esemplare, con particolare riferimento all’idoneità di ognuno di essi ad essere usato per fini rituali.
Spesso il lavoro parte da un’originaria esigenza di individuare il Sefer Toràh più adatto ad essere sottoposto ad un intervento di restauro tanto a fini conservativi quanto rituali, alla quale si accompagna un’analisi più completa con il rilevamento di specifici dati codicologici e paleografici.
Nella maggior parte dei casi i Sifrè Toràh sono custoditi negli Aronot Ha-kodesh (armadi sacri) delle sinagoghe con dei depositi paralleli, armadi, panche o simili in cui sono conservati altri esemplari reputati meno importanti o che vertono in condizioni peggiori.
Per ciascun rotolo vengono compilate schede divise in diverse parti cosi sintetizzabili:
dimensioni e descrizione;
scrittura e supporto scrittorio;
masoràh;
stato di conservazione;
dati su copisti, donatori e catalogazioni precedenti;
esempi di scrittura.
Dimensioni e descrizione
Innanzi tutto ad ogni esemplare viene attribuito un numero progressivo stampato su 4 etichette adesive di piccole dimensioni collocate sui piatti interni dei puntali e dei manici.4
Ubicazione: si fornisce l’ubicazione del Sefer Toràh dopo il rilevamento dei dati
Dimensioni: si forniscono le seguenti dimensioni:
complessiva dell’esemplare, compresi cioè gli azè hayyim, i due legni a cui è cucita la pergamena;
della pergamena;
del campo scrittorio;
lunghezza media di una pergamena;
larghezza media di una colonna.
La descrizione degli azè hayyim comprende alcuni cenni sul tipo di legno utilizzato, sulla lavorazione dei puntali e dei manici, torniti, intagliati etc. ed una descrizione sommaria, quando presente, del tipo di copertura, generalmente in argento cesellato5.
Scrittura e supporto scrittorio
Riguardo alla grafia si distingue tra la scrittura quadrata ashkenazita definita nelle sue linee principali nel Bet Yosef, le varianti attribuite ad Yizhaq Luria, quella italiana con connotazione sefardita e quella sefardita.6
Si segnala la presenza dei tagin, finissime aste poste sopra le lettere, ordinari talora limitati alle lettere ùÚËðÊ ‚”õ o apposti anche sul gruppo ·„˜ ÁÈ”‰ e dei tagin aggiunti su lettere determinate a seconda delle numerose tradizioni medievali. I tagin, possono a loro volta essere semplici o rifiniti qualora presentino un apice accuratamente reso spesso.7 Va data nota di lettere particolari melupafot e aqumot .8
Un’analisi più accurata viene dedicata allo studio di specifiche lettere sulle quali vi sono tradizioni di scrittura differenti come Het, Shin, Ghimel, Lamed, Yod .e problematiche aperte sulla idoneità di alcune varianti di struttura che sovente si presentano nelle grafie italiane. Il numero delle righe in cui è disposto il testo completano il quadro.
Il supporto scrittorio è studiato con riferimento alla distinzione tra i due principali tipi di pelle adatti alla scrittura del Sefer Toràh: il ghevil ed il qelaf. 9
Il primo tipo di pelle definito nel Talmud come il supporto scrittorio più adatto per i rotoli del pentateuco, viene conciato con sostanze vegetali a forte concentrazione tannica. Di notevole consistenza, il ghevil si presenta coriaceo con sfumature di colore dall’avana chiaro al marrone scuro, prevalentemente lucido sul lato pelo e vellutato dalla parte della carne. Il qelaf molto più fino è una pelle conciata con la calce, la ben conosciuta pergamena, chiara, con sfumature dal bianco al giallo che va scritta sul lato carne.10 In Italia, si sono utilizzati entrambi i tipi di pelle fino a tutto il XVIII secolo, nella seconda metà del quale già era emersa una netta preferenza per la pergamena. Nel secolo successivo l’uso del ghevil venne abbandonato quasi completamente.
Le cuciture delle pergamene, rivolte verso l’esterno rispetto al lato di scrittura vengono talora rinforzate con frammenti di pelle, o, come attestato presso alcune comunità padane, con la copertura delle cuciture longitudinalmente mediante piccole strisce di pergamena. Generalmente è ben visibile la spillatura ai margini di ciascuna pelle, mentre la rigatura è sempre ed inequivocabilmente a secco. 11
Masoràh
Uno sguardo rapido viene rivolto ad alcune applicazioni della Masoràh intesa come complesso delle tradizioni inerenti al testo del pentateuco.12 Senza dubbio una larga indagine in questo ambito richiederebbe un’analisi degli esemplari lunga e laboriosa con confronti delle fonti che il tempo a disposizione non permette di affrontare. Mi limito, generalmente a segnalare se le divisioni in brani del pentateuco le Petuchot e Setumot seguono solamente le indicazioni di Moshè ben Maimon o se sono aderenti anche alle prescrizioni di Asher ben Yehiel13. Quanto al testo, si segnalano le diverse tradizioni nella scrittura di:
nunin menuzarot;
waw qeti’àh;
Otiot ghedolot e qetannot;
Niqqud.
Si segnala sempre se viene seguito l’uso di iniziare ogni colonna con la lettera waw e se le eccezioni sono aderenti alle tradizioni più diffuse. 14
Stato di conservazione
Senza alcun dubbio, la sezione di maggiore importanza nella catalogazione è quella in cui vengono descritte le condizioni di conservazione del Sefer Toràh. Innanzi tutto viene rivolto uno sguardo d’insieme allo stato dell’inchiostro, se è ancora ben aderente al supporto scrittorio, se è sbiadito o chiaro, se vi sono numerose lettere cancellate o se i problemi sono circoscritti a poche pergamene. Questo dato è importante nella valutazione se costituire un Sefer Toràh casher, ovvero adatto agli usi rituali, componendo insieme due esemplari parzialmente irrecuperabili con caratteristiche simili. Un collage, che a prima vista può apparire contrario a qualsiasi buona regola di conservazione, ma che da un punto di vista ebraico sottrarrebbe al perenne oblio e a ghenizàh certa, parte dei due rotoli e numerosi sacri nomi divini in essi contenuti.
Il rotolo viene quindi visionato nella sua interezza alla ricerca dei punti in cui possono presentarsi scuciture, lacerazioni della pergamena, danni causati da tarli ed altri agenti organici, segnalando volta per volta l’ipotesi di intervento che si prevede di eseguire e valutando la resistenza e l’efficacia di eventuali restauri eseguiti in epoche precedenti. Quando possibile si da una valutazione in dollari della somma che occorre per procedere al restauro.15
Dati sui copisti, donatori e catalogazioni precedenti.
Tutte le informazioni riguardo ai donatori, copisti e le segnalazione di precedenti catalogazioni si ricavano generalmente da incisioni, placche o semplici iscrizioni mediante inchiostro che compaiono sugli azè hayyim. Sebbene i dati che si acquisiscono sono generalmente attendibili, non si può escludere del tutto l’ipotesi del reimpiego dei legni che comporterebbe false attribuzioni, la maggior parte delle volte evitabili con un attento confronto delle cuciture delle pergamene con quelle che legano il rotolo ai due legni di sostegno.
L’ultimo dato che viene fornito è la datazione del Sefer Toràh. Gli elementi ricavati mediante gli studi sovraesposti ed i riferimenti codicologici e paleografici conducono generalmente alla indicazione di uno o al massimo di due secoli nel corso dei quali si ipotizza che sia stato copiato il Sefer Toràh. Un’indicazione, talora precisa, può essere fornita dalle dediche che circondano i piatti dei manici e più raramente dei puntali. L’uso diffuso in Italia di conservare anche in ambito familiare i rotoli, può condurre talora in errore, con la possibilità che la donazione alla sinagoga segua di alcuni decenni o addirittura di alcune generazioni la copiatura del pentateuco.
Esempi di scrittura
Alla scheda così redatta si allegano uno o più campioni di scrittura che oltre a costituire un’unità con i dati rilevati, costituisce un’oggettiva impronta dell’esemplare prova inconfutabile di fronte a male augurate sottrazioni o smarrimenti.
In futuro il confronto delle informazioni acquisite nelle diverse Comunità potrà condurre all’individuazione di tendenze comuni e di specificità da studiare nella loro evoluzione durante i secoli.
NOTE
1 La materia è disciplinata in Moshe ben Maimon, Mishnè Toràh, Hilkhot Tefillin u-mezuzàh we-sefer toràh; Yosef Caro, Shulhan Arukh, Yorè deàh, simanim. 270-284, ma numerosi riferimenti sono presenti anche in Orah Hayyim, capp.32-36.
2 Ne esistono presso il Verano a Roma nel perimetro definito pincetto, provenienti dal cimitero dell’Aventino, a Firenze presso il cimitero di Caciolle. Cfr. anche Paolo Levi, Il cimitero ebraico di Cento, in Gli ebrei a Cento e Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, Cento, 1994, p. 194; Maria Pia Baldoni, L’antico cimitero ebraico di Finale Emilia, Modena, 1996, lapide n° 23 p. 52.
3 * Cfr. Leonello Modena, Catalogo dei codici ebraici della biblioteca della R. Università di Bologna, n°1,2 pp. 323-324; Gustavo Sacerdote, Catalogo dei codici ebraici della biblioteca casanatense, n°1 entrambi in Cataloghi dei codici orientali, Firenze, 1878;. Umberto Cassuto, Codices vaticani hebraici, Vaticano, 1956, n° 1-2 pp. 1-2; Carlo Bernheimer, Catalogo dei manoscritti orientali della Biblioteca estense. Nuova serie IV, indici e cataloghi del Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, 1960. n° 11: rotolo della legge; N. Aloni, D. Levinger, Reshimat tazlumè kitvè ha-yad ha-ivryyim ba-makhon. Heleq ghimel. Kitvè ha-yad she-be-sifriat Ha-Vatican, 1968, Osef Ha-Vatican, n°1,2 , 490. Su un frammento di Sefer Toràh reimpiegato come coperta di filza notarile cfr. Mauro Perani, Saverio Campanini, I frammenti ebraici di Bologna. Archivio di Stato e collezioni minori, Firenze, 1997, fr. Ebr. n°327 e tav. 143; Giancarlo Lacerenza, Un foglio di Sefer Toràh, in AION, 59/1-4 (1999).
Si veda anche quanto scrive in proposito Carlo Bernheimer, Paleografia ebraica, Firenze, 1924, p. 194.
4 Il problema si pone quando si hanno di fronte esemplari in cui i legni di sostegno mancano del tutto. In questo caso le etichette vengono apposte sulla prima e sull’ultima pergamena avendo cura di non recare alcun danno al Sefer Toràh. .
5 L’uso di ricoprire manici e puntali in argento è attestato in varie comunità italiane nella seconda metà del secolo XIX e i primi decenni di quello successivo. Probabilmente il fenomeno va inquadrato nel generale rinnovamento dei luoghi di culto e la costruzione di nuove singagoghe, contemporanei al periodo dell’emancipazione.
6 Le prime codificazioni della forma di tutte le lettere quadrate ebraiche accettate per la copiatura dei manoscritti sacri (Sefer Toràh, Tefillin, Mezuzà e Meghillà) risalgono al periodo medievale e si basano principalmente sui riferimenti contenuti nel Talmud. Mi preme rammentare il trattato di Shimshon ben Elizer noto anche come Barukh She-Amar, vissuto nel XIV secolo e L’Alfà Betà di Yom Tov Lipman suo discepolo,(ed. Varsavia, 1877) perché citati diffusamente da Yosef Caro nel Bet Yosef, Orah hayyim, cap. 36. Per le varianti attribuite ad Yizhaq Luria si cfr. ad esempio Natan Nata ben Shelomò Spira, Mazzot Shimmurim (ed. 1865). La prima codificazione delle lettere sefardite si deve a Ya’aqov Emden nel Mor u-qziàh (ed. Altona 1761), ripresa alcuni decenni dopo da Hayyim Yosef david Azulai nel Sefer Le-Dawid emet ( ed. Livorno 1786). Al principio del Siman 13 scrive Azulai: …ed i soferim sefarditi (nel controllo e nella copiatura dei Sifrè Toràh n.d.t.) esaminino se sono simili ai Sifrè Toràh antichi che si trovano, come quelli di Moshè Zabaro del periodo dell’espulsione (dalla Spagna n.d.t.) su cui è stato effettuato controllo che non vi è alcun errore, ai Sefarim di Avraham Monzon e a quelli di Azaryàh Figo, tutti esperti ed altri similmente a loro. Per agevolare il pubblico riporto la forma delle lettere sefardite tratta dal Mor u-qziàh…”. Per una panoramica completa sulla forma delle lettere si veda la ricca antologia curata da Dov Leib Greenfield e Shenuel Elihau Granatstein, Yalqut Zurat Ha-otiot, Brooklyn, New York, 1983; Israel Tchipansky, Berurim be-zurat ha-otiot bi-khtivat St”m, in Or ha-mizrakh, vol. 39 (1990), pp. 29-51.
7 Vedi in proposito Menahem Kasher, Sefer ketav ha-Toràh we-otioteàh, heleq shenì: Yizhaq Razaby, Ha-otiot ha-meshunot ba-Toràh, Gerusalemme 1978 e la ricca bibliografia ivi contenuta. In Italia sembra prevalente l’uso di apporre i tagin al termine della copiatura del testo e non al momento della scrittura di ciascuna lettera, si veda quanto scrive nel suo registro Meir ben Efraim da Padova, David Kaufamnn, Meir b. Ephraim of Padua, scroll writer and printer in Mantua, in Jewish Quarterly Review, XI (1899), pp. 266-290.
8 L’uso di lettere melupafot (o lefufot) e aqumot così come l’apposizione di taginaggiunti, diffusissimo fino al XVI secolo, tende a scomparire nei due secoli successivi. Gli stessi poseqim (decisori) invitavano gli scribi a preferire una piana copiatura del testo, rispetto all’inserimento di aggiunte basate troppo spesso su tradizioni erronee o prive di sufficiente credito. Si cfr. quanto scrive Rabbi Moshe ben Nahman (Nahmanide) nell’introduzione al suo commento al Pentateuco, Moshè Hagiz in Leqet ha-qemah (ed. Amsterdam 1697) e Avraham Sofer, responsa Yorè Deàh, 265. Si accenna solamente a quanto scrive Avraham ben David Portaleone nello Shiltè ghiborim (ed. Mantova 1612) ove rammenta l’opera del noto stampatore Meir ben Efraim da Padova che “non rinunciava a scrivere le lettere diverse” nei Sifrè Toràh che copiava nonostante aveva veduto numerosi nuovi Sifrè Toràh giunti da Zefat dove non vi era alcuna lettera diversa. Si veda anche Shelomò Zucker, Ha-otiot ha-meshunot, kegon ha-lefufot we-ha-qumot in Al sefarim we-anashim, n°12, Maggio 1997, pp. 5-12.
9 Per una trattazione sintetica dell’argomento si veda Carlo Bernheimer, Paleografia ebraica, cit. cap. III pp. 111-148; Menahem Haran, Bible scrolls in Estern and Western Jewish Communities from Qumran to High Middle Ages, in HUCA, vol. LVI, Cincinnati, 1985, pp. 21-62. Tutti i decisori prescrivono che la concia del materiale su cui viene copiato il Sefer Toràh debba essere effettuata da mani ebraiche in tutte o parte delle sue fasi.
10 Cfr. Giuseppe venturoli, , Concia della pelle, Milano, 1943.
11 Cfr. Yosef Caro, Shulhan Arukh, Yorèh Deàh, siman 284
12 Cfr. Ch. D. Ginsburg, The Masoràh, Londra, 1880-1905; ma per una sintetica trattazione dell’argomento e per numerosi rimandi bibliografici si veda la voce Masoràh in Encyclopedia Judaica, Jerusalem, 1971, vol. 16.
13 Cfr. Yosef Caro, Shulhan Arukh, Orah Hayyim, siman 32 e Yorèh Deàh, siman275.
14 Le eccezioni vengono ricordate dalle iniziali :
15 L’espressione in valuta americana è determinata dal fatto che il mercato del restauro di rotoli sacri è concentrato in Israele e negli Stati Uniti.