Rav Ariel Di Porto – Yom Yerushalaim 5778 – Casale M.to
La memoria storica è uno dei maggiori fattori identitari per un popolo, così come per gli individui. Molte delle tragedie che caratterizzano la nostra epoca dipendono da un uso poco responsabile di questa memoria. Vivere come se le crociate, l’inquisizione spagnola o la battaglia di Lepanto si fossero verificate ieri porterebbe a conseguenze devastanti per l’umanità intera. Ma non per questo si deve demonizzare la memoria.
Oliver Sacks in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello[1], aprendo il capitolo “Il marinaio perduto”, cita il regista spagnolo Luis Bunuel, che scriveva nelle sue memorie: “Si deve incominciare a perdere la memoria, anche soli brandelli di ricordi, per capire che in essa consiste la nostra vita. Senza memoria la vita non è vita… La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire. Senza di essa non siamo nulla”.
Quanto Bunuel afferma per l’individuo ha la sua validità anche per i popoli. Per il popolo ebraico l’intreccio inestricabile fra universale e particolare è un elemento fondante. Si tratta di aspetti correlativi e complementari. Voler negare uno di questi elementi vuol dire falsificare la storia ebraica e minarne alle fondamenta la concezione religiosa[2]. Nell’esperienza ebraica la memoria dell’esodo riveste un ruolo centrale; dal ricordo della schiavitù egiziana discendono gli obblighi nei confronti dello straniero, della vedova e dell’orfano (Deut. 24, 17-22). Siamo tenuti a ricordare quanto Amaleq ci ha fatto, quando siamo usciti dall’Egitto, e nel medesimo modo tutti coloro che nella storia ci hanno perseguitato.
Usanze legate a Gerusalemme
Per due millenni il popolo ebraico ha ricordato la distruzione di Gerusalemme[3], durante i digiuni che tradizionalmente commemorano quegli eventi, durante i matrimoni, cospargendo di cenere il capo degli sposi e rompendo un bicchiere, nei funerali, seppellendo i cadaveri indirizzandone i piedi verso Gerusalemme, cospargendo nel feretro terra proveniente da Israele, e consolando coloro che sono in lutto “assieme a coloro che sono in lutto per Tzion e Yerushalayim”. Gli ebrei italiani spesso la raffiguravano, con modalità molto interessanti, nei propri contratti matrimoniali[4]. Gerusalemme è ricordata frequentemente nei formulari di preghiera, ad esempio nella ‘amidah, che viene recitata tre volte al giorno, e nella birkat ha-mazon, nella terza benedizione. Verso Gerusalemme sono indirizzate le nostre preghiere, così come le stesse Sinagoghe. In questa epoca, dominata dalla navigazione satellitare, probabilmente saremmo in grado di apprezzare maggiormente questo fatto: se un ebreo, in qualsiasi parte del mondo, volesse recarsi a piedi verso Gerusalemme, saprebbe in che direzione andare[5]. Al ricordo di Gerusalemme e agli usi ad esso legati è dedicato un capitolo dello Shulchan ‘Arukh (Orach Chayim 560).
Le usanze relative a Yerushalayim possono essere raccolte in tre categorie principali[6]: a) usi che vennero introdotti che risalgono al periodo del Secondo Tempio; b) usi introdotti in seguito alla distruzione, osservati dagli ebrei di tutto il mondo; c) usi introdotti dopo la distruzione dagli abitanti di Gerusalemme.
Quando il Santuario venne distrutto, emersero vari approcci nel confronto con la disfatta nazionale, così come narra il Talmud (Bavà Batrà 60b): quando il Tempio venne distrutto per la seconda volta, molti si astennero dal consumare carne e vino, perché era inconcepibile che non vi fossero più i sacrifici e le libagioni di vino sull’altare e fosse ancora consentito goderne. R. Yehoshua ribatté che, se era così, ci si sarebbe dovuti astenere anche dal pane, dalla frutta, e dall’acqua, che erano anch’essi oggetto di offerta, e non furono in grado di contraddirlo. R. Yeoshua giunse pertanto alla conclusione che non portare lutto del tutto non era possibile, ma al contempo portare il lutto in maniera eccessiva era altrettanto improponibile, dal momento che non si impongono alla collettività dei decreti che non è in grado di sostenere. Per questo le manifestazioni di lutto dovevano essere limitate ad alcuni ambiti precisi, nelle costruzioni, nella sistemazione della tavola, negli ornamenti femminili. In tali manifestazioni doveva rimanere un elemento di incompletezza in segno di lutto.
Il nome Yerushalayim[7]
La città di Gerusalemme diviene centrale per il popolo ebraico con la conquista del re David, quando la città divenne la capitale, a cavallo fra nord e sud, similmente a quanto avverrà successivamente per Madrid e Washington. In precedenza le città che erano al centro della narrazione biblica erano altre, ad esempio Chevron, Beer Sheva’ e Shekhem. La prima volta che il nome di Gerusalemme è ricordato è all’inizio del cap. 10 del libro di Giosuè, quando non si trattava ancora di una città ebraica e non aveva uno status particolare. Nella Torah Gerusalemme non è mai menzionata esplicitamente. A varie riprese nel Deuteronomio si parla genericamente del luogo che il Signore sceglierà per posare la propria presenza, ma non si menziona Gerusalemme. La sua scelta non viene imposta dall’alto, ma dipende dai comportamenti degli uomini. Alla sua conquista partecipano soldati provenienti da tutte le tribù, e in questo modo viene inaugurata la monarchia unita, che soppianta il tribalismo, che aveva caratterizzato il periodo dei Giudici, e sotto certi aspetti il regno di Saul. Secondo Maimonide (Moreh Nevukhim 3, 45) la mancata menzione serve a scongiurare violenze da parte degli altri popoli per impadronirsene, o all’interno del popolo ebraico, dal momento che tutte le tribù avrebbero desiderato avere la città nel proprio territorio, e sarebbero quindi sorte delle dispute. Con la nascita della monarchia il potere decisionale appartiene solo al re, e in questo modo le dispute vengono allontanate.
Il Midrash[8] (Bereshit Rabbah 34, 9; 22,7) fa risalire il legame con Gerusalemme agli albori della storia umana. I sacrifici compiuti da Adamo e Noè vennero offerti nel luogo in cui sarebbe sorto il Santuario, e il Santuario era il motivo di contesa fra Caino e Abele, che culminò nel primo omicidio.
Tuttavia la tradizione rabbinica individua due episodi, collegati alla vita di Avraham, nei quali compare Gerusalemme: il primo è l’incontro fra Abramo e Malkitzedeq, re di Shalem, identificata con Gerusalemme, che portò pane e vino, secondo Rashì prefigurazione dei sacrifici incruenti che sarebbero stati offerti nel Santuario; il secondo la legatura di Isacco, avvenuta sul monte Moriah, sul quale sarebbe poi sorto il Tempio. Al termine dell’episodio della legatura è scritto (Gen. 22, 14) “Abramo dette nome a quel luogo: Ado-nai irè, il Signore provvede”.
Il midrash (Bereshit Rabbà 56,10), combinando i due episodi, riporta questo insegnamento: “Disse il Santo, Egli sia benedetto: Se io lo chiamo Jir’eh come l’ho chiamato Abramo, Sem, che è un giusto, si irriterà; e se Io lo chiamo Shalem come l’ha chiamato Sem, Abramo, che è un uomo giusto, s’irriterà; così Io lo chiamo Jerushalem, come l’hanno chiamato tutti e due”. Il Midrash suggerisce che il nome della città nasce dalla combinazione di due eventi e di due qualità. Questo aspetto nei secoli ha stimolato i Maestri, che hanno fornito varie differenti interpretazioni sui due elementi e sulla natura della città che prende forma dalla loro unificazione:
a) Il Midrash ha-gadol su Bereshit 22,14 riprende con alcune variazioni il tema di Bereshit Rabbà: il nome Yerushalaim nasce dall’unione di Yireh, nome attribuito da Abramo e Shalem, che viene da Shem, figlio di Noè. Nel nome Yerushalaim troviamo tuttavia al posto della alef e della he una waw, che ha il valore numerico delle altre due lettere unite. Il senso del nome è che la città è un luogo di timore (yirah, simile a yireh) e servizio divino.
b) Il Midrash Ekhah Rabbah 2,198[9] crede che il nome nasca dall’unione di timore e perfezione: chi è timoroso di D. è perfetto ai Suoi occhi.
c) In Yalqut Shim’onì su Salmi 76 troviamo un’interessante variazione sul tema di Bereshit rabbah; il termine shalem, integro, viene mutuato in Shalom, pace: il Signore vedrà la pace.
d) Rav Shaviv in un articolo[10] propone, riprendendo quanto scritto nel Midrash ha-gadol e in Yalqut Shim’onì, che il nome nasca dall’unione di Yirah (timore) e Shalom (pace). In un certo senso ci troviamo di fronte ad una ricomposizione degli opposti, dal momento che il timore richiama il distacco, mentre la pace la vicinanza. In questi valori vengono integrati a loro volta il rapporto con il Cielo, rappresentato dal timore, e quello con gli altri esseri umani, racchiuso nella pace.
In tutte queste letture vediamo come due elementi vengano integrati in un’unica realtà. Questo spiega anche il suffisso duale nel nome Yerushalayim.
Il nome Yerushalayim compare nel Tanakh 667 volte, di cui solo 5 nella sua forma completa, comprendente la yod prima della mem finale. I riferimenti impliciti non possono neanche essere misurati. Il solo campionamento superficiale del materiale su Gerusalemme nella letteratura rabbinica sarebbe sufficiente per mostrarne la centralità in 3000 anni di storia ebraica, dal momento in cui Davide conquistò la città e la rese capitale della monarchia unita di Israele[11].
Dal commento di R. Bechayè a Num. 19,13 emerge come l’assenza della yod, che rappresenta il Santuario celeste, rimandi ad una imperfezione, che verrà poi riparata.
La Gerusalemme terrestre e quella celeste
Il tema della Gerusalemme celeste compare spesso nei testi tradizionali: ad esempio nel Midrash Tanchuma, Pequdè, è scritto che, per via dell’amore che il Signore prova per la Gerusalemme terrestre, ne edificò una copia in cielo. Questa dualità, sviluppata in toni molto più oppositivi, è presente anche nel Cristianesimo: la Gerusalemme terrestre è identificata con la Gerusalemme ebraica, la Gerusalemme dell’Antico Testamento e dei suoi precetti annullati, il cui Santuario è distrutto per sempre, in chiara ed evidente contraddizione con la Gerusalemme celeste, destinata a coloro che credono veramente in D.[12] Al contrario delle visioni profetiche (ad esempio l’ultima parte del libro di Ezechiele), in cui la “nuova Gerusalemme” è anzitutto la restaurazione di quanto c’era in precedenza, in seguito ad un procedimento di ordine morale di pentimento e purificazione, simboleggiata dalla perfezione formale della città fisica, per i cristiani la nuova Gerusalemme è una nuova creazione, che nulla ha a che fare con quella che sorgeva in precedenza[13]. Nella visione ebraica l’elemento fisico e quello spirituale sono invece inscindibili, e la contrapposizione fra sacro e secolare contraddice l’esperienza storica del popolo ebraico[14].
La ghemarà nel trattato di Yomà (54b) riconduce questo legame già alla creazione del mondo, quando riporta l’opinione secondo la quale il cielo e la terra furono creati a partire da Gerusalemme. Gerusalemme è il primo luogo in cui si verifica l’unione di materia e spirito. Gerusalemme è diventata “nello stesso momento ‘la porta dei cieli’ e ‘l’ombelico della terra… Per il tramite della storia di Israele, Gerusalemme diventa dunque l’essenza della storia della natura, unita a quella della storia dell’umanità; Gerusalemme è l’espressione della storia di D. stesso, nei suoi rapporti con la natura e con l’umanità’[15].
Gerusalemme ha assunto, per le tre religioni monoteistiche significati che vanno ben oltre la dimensione strettamente religiosa. Gerusalemme ha una valenza politica, culturale, nazionale. Questo emerge con forza dai nomi e dagli epiteti che le sono stati attribuiti nei secoli: Shalem, Yerushalayim, la città di Malkitzedeq, la Città di David, Aelia Capitolina, il prototipo della Gerusalemme celeste, Bayit al Maqdis o al Quds, la Città della pace. Ciascuno di questi nomi rimanda ad aspetti particolari della Gerusalemme terrestre o del suo corrispettivo celeste[16].
La sua santità non è legata, come avviene per molti altri luoghi di culto, solo al passato, ma è proiettata sul futuro. Gerusalemme sarà il teatro degli avvenimenti che si verificheranno alla fine dei giorni.
Il ruolo di Gerusalemme e del Tempio era talmente tanto centrale per l’ebraismo, che negli studi storici la periodizzazione della storia antica ebraica è determinata dal Tempio, e si parla di periodo del Primo Tempio e del Secondo Tempio[17].
Lo status di capitale e di sede del Tempio ha conferito a Gerusalemme uno status speciale nella successiva legge ebraica. L’impianto halakhico non si rivolge solo ai singoli individui, che sono tenuti ad attenersi alle norme della Torah in ogni luogo e tempo, ma anche alla collettività nel suo complesso: molti precetti hanno un significato ed un ambito di applicazione squisitamente nazionale, e possono essere praticati solo in terra d’Israele, o in uno stato ebraico, o all’interno del contesto del Santuario. Il singolo non ha modo di adempiere a questi obblighi. La centralità di tale dimensione emerge bene nell’affermazione spiazzante nel trattato di Ketubot (100b), secondo la quale una persona dovrebbe vivere sempre in terra d’Israele, anche in una città con una maggioranza di idolatri, e non vivere fuori dalla terra in una città a maggioranza ebraica, poiché chi vive in terra d’Israele è simile a chi ha un D., e chi vive fuori dalla terra è come se non lo avesse. Tuttavia, Gerusalemme può ispirare “un sentimento nazionalistico sciovinistico”, che sarebbe in contrasto con tutta ideologia etico religiosa. Rav Kopciowsky[18] ricorda le parole che il Re Salomone pronunciò quando il Santuario venne inaugurato: “Anche lo straniero, che non è del tuo popolo d’Israele, quando verrà da un paese lontano… Tu esaudiscilo dal cielo, dal luogo della Tua dimora, e concedi a questo straniero tutto quello che ti domanderà, affinché tutti i popoli della terra conoscano il Tuo nome per temerTi, come fa il tuo popolo d’Israele, e sappiano che il Tuo nome è invocato su questa casa che io ti ho costruito.
Per concludere vorrei ricordare alcune delle parole che Alexander Safran, Gran Rabbino di Ginevra, pronunciò in occasione di Yom ha-‘atzmaut nel 1968, parole valide ancora, e forse ancor di più, oggi: “Noi abbiamo oggi la sensazione di vivere oggi l’inizio della grande ora di verità per il genere umano. Ma mentre il mondo vive oggi un’ora penosa perché essa segna l’indebolimento delle diverse ‘verità’ che esso ha coltivato… l’Ebraismo invece che si trova nello stesso tempo all’interno e all’esterno di questo mondo, vive l’ora della verità, vedendo confermata la verità che ha coltivato e per la cui realizzazione ha tanto sofferto… Nel giorno in cui Israele, ‘ cuore delle nazioni’ è ritornato a Gerusalemme, ‘centro del mondo’, noi tutti abbiamo vissuto lo splendido inizio della realizzazione d’una parola la cui portata è sconvolgente[19]”. Gerusalemme è il simbolo tangibile degli sforzi tangibili che dobbiamo mettere in campo, una città che deve “oggi essere mantenuta colla forza della giustizia e della pace… Questo dobbiamo a tutti coloro che sono morti per tenere alta la fiaccola dell’Ebraismo, attingendo il loro coraggio al ricordo di Gerusalemme, a tutti coloro che hanno respinto con sdegno allettamenti e lusinghe di una vita più facile… lo dobbiamo a tutti coloro che hanno tenuto gelosamente custodito nel loro cuore il ricordo di Gerusalemme, lo dobbiamo ai nostri Maestri e ai nostri poeti, lo dobbiamo a Rabbì Akivà e a Bar Kochbà, ai Maestri più illustri come ai martiri della nostra libertà, ai poeti come Jehudà Ha-Levì che cantava con sentimento ineguagliato la sua profonda nostalgia per Sion e che abbandonò onori e agi per vedere la città che aveva sognato per tutta la vita, come lo dobbiamo ai nostri antenati massacrati dai Crociati e trucidati dalla Inquisizione, lo dobbiamo a tutti coloro che nello scendere nella tomba volevano vicino a sé un pugno della terra d’Israele, come lo dobbiamo agli esuli dalla Spagna e agli eroi del ghetto di Varsavia, lo dobbiamo ai nostri fratelli che l’hanno riscattata col sudore, ai nostri soldati che l’hanno liberata col sangue[20]”.
[1] O. Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano 1988, p. 25.
[2] R. Jospe, The Significance of Jerusalem: A Jewish Perspective – pij.org/details.php?id=647.
[3] Sul tema vedi D. Golinkin, Remembering the Descruction of the Temple – Good or bad? – schechter.edu/remembering-the-destruction-of-the-temple-good-or-bad.
[4] Su questo argomento vedi H. Lazar, Raffigurazioni di Gerusalemme in Ketubboth italiane, la Rassegna Mensile di Israel, 46, 11/12, pp. 354-362.
[5] S. Spero, Turning to Jerusalem in Prayer, Jewish Bible Quarterly 31,2, p. 97.
[6] D. Golinkin, Jerusalem in Jewish Law and Custom: A Preliminary Typology – schechter.edu/jerusalem-in-jewish-law-and-custom-a-preliminary-typology-in-honor-of-yom-yerushalayim-28iyiar-5765-june-6-2005.
[7] Si segnala la lezione, ricchissima di riferimenti, di Rav Yitzchak Levy, Significance of the Name “Jerusalem” – etzion.org.il/en/significance-name-jerusalem, fonte principale per la stesura di questo paragrafo. Per un approfondimento sui vari nomi biblici di Gerusalemme vedi Y. Elitzur, The Biblical Names of Jerusalem, Maarav 21 1-2, pp. 189-201.
[8] Sulle tradizioni rabbiniche sulla storia antica di Gerusalemme vedi E. Siani, ‘Ir nivcheret – qedushah nisteret, Shir lama’alot 5, p. 367-379.
[9] Qui è riportata l’interpretazione di Barukh ha-Levì Epstein, autore di Torah temimah.
[10] Y. Shaviv, Yerushalayim umashmauteah, Shmatin 113, p. 94.
[11] R. Jospe, cit.
[12] Per una disamina storica su questo concetto vedi G. Stroumsa, Ezo Yerushalayim?, Qatedra 11, pp. 119-124.
[13] Vedi B. Kuhnel, The Real and Ideal Jerusalem in Jewish, Christian and Islamic art, Kunst Kronik 11, pp. 602-610.
[14] Vedi R. Jospe, cit.
[15] A. Safran, Gerusalemme coscienza d’Israele, La Rassegna Mensile di Israel, 39,5, pp. 267-268.
[16] T. Mayer e Suleiman A. Mourad (a cura di), Jerusalem, Idea and Reality, New York 2008, p. 1.
[17] R. Elior, The Jerusalem Temple, Studies in Spiruality 11, pp. 126-143; R. Bonfil, Gerusalemme umbilicus mundi, in F. Cardini (a cura di), La città e il sacro, Milano 1994, p. 52.
[18] E. Kopciowsky, Gerusalemme nella Bibbia, Rassegna Mensile di Israel 34,7, p. 384.
[19] A. Safran, Gerusalemme, La Rassegna mensile di Israel 34,7, p. 379.
[20] E. Kopciowsky, cit., pp.391-392.