Durante la seconda guerra mondiale ha salvato la vita a migliaia di ebrei falsificando i loro documenti. Poi ha continuato per anni ad aiutare i movimenti clandestini di tutto il mondo
Pamela Druckerman, The New York Times
È il 1944 nella Parigi occupata dai nazisti. Quattro amici passano le loro giornate in una piccola stanza in cima a un palazzo della rive gauche. I vicini pensano che siano pittori, ma è una copertura per giustificare l’odore di prodotti chimici. In realtà i quattro fanno parte di una cellula della resistenza ebraica. Gestiscono un laboratorio clandestino in cui falsificano passaporti per le famiglie che rischiano di essere deportate nei campi di concentramento. Il più giovane del gruppo è il direttore tecnico del laboratorio, si chiama Adolfo Kaminsky e ha 18 anni.
Se non siete sicuri di aver fatto abbastanza nella vostra vita, allora è meglio che non vi paragoniate a Kaminsky. A 19 anni aveva già salvato la vita a migliaia di persone, falsificando documenti per permettergli di nascondersi o espatriare. In seguito ha continuato a fornire false identità a persone coinvolte in quasi tutti i principali conflitti del novecento.
Oggi Kaminsky ha 91 anni. È un uomo di bassa statura con una lunga barba bianca e una giacca di tweed, che passeggia per il suo quartiere appoggiandosi a un bastone. Vive in un modesto appartamento non lontano dal suo vecchio laboratorio. Mentre lo seguo insieme a una troupe, gli abitanti del quartiere mi chiedono chi sia. Rispondo che è un eroe della seconda guerra mondiale, anche se la sua storia va molto oltre la linea del conflitto ed è ancora dolorosamente attuale, in un’epoca in cui i bambini muoiono sotto le bombe in Siria o sono costretti a salire sui barconi.
Come gran parte degli occidentali, di solito ignoro la sofferenza di queste persone e presumo che qualcun altro si occuperà di loro. Ma Kaminsky, un ragazzo povero e in pericolo, si è impegnato in prima persona, durante la guerra e per molte altre cause. Perché lo ha fatto?
Non certo per la gloria. Lavorava in segreto, e non ne ha parlato per anni. Sua figlia Sarah ha scoperto la sua storia solo quando ha deciso di scrivere un libro su di lui. E non è stato nemmeno per i soldi. Kaminsky dice di non essersi mai fatto pagare per i documenti, in modo da non avere mai dubbi sulle sue motivazioni e potersi dedicare solo alle cause in cui credeva. Era sempre al verde, e si guadagnava da vivere come fotografo. La sua attività durante la guerra ha affaticato così tanto la sua vista che alla ine è rimasto cieco da un occhio.
Anche se era un falsario di talento – realizzava passaporti con pochi mezzi e ha messo a punto un macchinario per farli sembrare più vecchi – il suo non era un lavoro appagante. “Il minimo errore poteva far arrestare o uccidere qualcuno”, spiega.
È una grande responsabilità. È un peso. Non è affatto piacevole”. A distanza di tanti anni, Kaminsky è ancora perseguitato dalla sua attività: “Penso a tutte le persone che non sono riuscito a salvare”.
Kaminsky era sensibile alla causa dei profughi anche perché era stato uno di loro. È nato in Argentina da una coppia di ebrei russi che avevano lasciato la Russia per Parigi, per poi essere espulsi dalla Francia. Quando Adolfo aveva 7 anni la famiglia, ormai in possesso di passaporti argentini, poté raggiungere i parenti in Francia. “È stato allora che ho capito l’importanza dei documenti”, spiega.
Dopo aver lasciato la scuola a 13 anni per sostenere la famiglia, Kaminsky lavorò come apprendista in una lavanderia. Passava ore a cercare il modo di rimuovere una macchia, studiava i libri di chimica e faceva esperimenti a casa. “Il mio capo era un ingegnere chimico e rispondeva a tutte le mie domande”, ricorda. Nel fine settimana aiutava il chimico di un caseificio locale in cambio di burro.
Nell’estate del 1943 Adolfo e la sua famiglia furono arrestati e mandati a Drancy, un campo di prigionia per gli ebrei nei pressi di Parigi, l’ultima fermata prima dei campi di sterminio. Quella volta si salvarono grazie ai loro passaporti. Il governo argentino protestò per l’arresto della famiglia, che rimase a Drancy per tre mesi mentre migliaia di persone venivano mandate a morire. Alla fine i Kaminsky furono liberati, ma non erano al sicuro a Parigi, dove gli ebrei rischiavano costantemente di essere arrestati. Presto anche i cittadini argentini cominciarono a essere deportati.
Per sopravvivere dovevano sparire dalla circolazione. Il padre di Adolfo riuscì a ottenere passaporti falsi da un’organizzazione della resistenza ebraica, e mandò il figlio a ritirarli. Quando l’agente disse ad Adolfo che non riuscivano a cancellare una macchia blu dai documenti, il ragazzo gli consigliò di usare l’acido lattico, un trucco che aveva imparato al caseificio. Il metodo funzionò, e Kaminsky fu invitato a unirsi alla resistenza.
Un’ora di sonno
La cellula di Kaminsky era una delle tante. Il suo gruppo veniva informato dei possibili arresti, avvertiva le famiglie e falsificava immediatamente i documenti. Il gruppo si concentrava sui casi più urgenti: i bambini che stavano per essere mandati a Drancy.
Nascondeva i bambini in campagna e nei conventi, o li mandava in Svizzera e in Spagna. Una volta restò sveglio per due notti di ila per completare un grosso ordine. “È un calcolo semplice. In un’ora potevo realizzare trenta documenti. Se avessi dormito per un’ora, trenta persone sarebbero morte”. Secondo le stime degli storici, la rete della resistenza ebraica francese ha salvato tra i sette e i diecimila bambini. Circa 11.400 bambini invece sono stati deportati e uccisi.
“È un calcolo semplice. In un’ora potevo realizzare trenta documenti. Se avessi dormito per un’ora, trenta persone sarebbero morte”
Dopo la guerra Kaminsky non aveva in programma di continuare a falsificare documenti, ma attraverso le vecchie reti altri movimenti riuscirono a mettersi in contatto con lui. Così ha continuato la sua attività per altri trent’anni, facendo la sua parte in conflitti che vanno dalla guerra d’indipendenza algerina alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica, passando per la guerra in Vietnam, quando aiutava i renitenti alla leva statunitensi. Secondo i suoi calcoli, nel 1967 fornì documenti falsi a persone residenti in quindici paesi diversi.
Non sottoscriverei tutte le cause che Kaminsky ha sostenuto. Alcune organizzazioni che ha aiutato facevano ricorso alla violenza. Visto da vicino, il suo ostinato idealismo può essere esasperante. Ha avuto due figli nel dopoguerra, ma non ha mai raccontato né a loro né alla ex moglie cosa faceva, quindi non potevano sapere perché non aveva mai tempo per loro. Le ragazze pensavano che le tradisse. Una volta avrebbe dovuto seguire una donna negli Stati Uniti, ma non si presentò all’appuntamento perché era entrato a far parte della resistenza algerina.
“Non accetto le morti evitabili. Non ci riesco”, spiega. “Tutti gli uomini sono uguali, a prescindere dalle loro origini, dalla loro fede e dal colore della pelle. Non ci sono persone inferiori o superiori. Per me queste cose sono inaccettabili”.
Nel 1971, convinto che ormai troppe organizzazioni conoscessero la sua identità e temendo di essere arrestato, Kaminsky abbandonò definitivamente l’attività di falsario. Da allora si è guadagnato da vivere insegnando fotografia. Durante un viaggio ad Algeri ha conosciuto una giovane studente di legge figlia di un imam tuareg. Sono ancora sposati e hanno tre figli.
L’ultima volta che l’ho incontrato mi ha fatto vedere una foto scattata poco dopo la liberazione di Parigi. Mostra una trentina di bambini usciti dal loro nascondiglio, che sperano di ritrovare i loro genitori. Kaminsky sa che anche oggi ci sono bambini in situazioni simili, e che avere il passaporto sbagliato può costare la vita. “Ho fatto tutto quello che potevo, quando potevo. Ora non posso fare più niente”. Noi, però, possiamo senz’altro.
Internazionale 1178 4.11.2016