Fra gli usi più famosi di Rosh ha-shanàh c’è quello, riportato dal Ramà nel cap. 583 di Orach Chayim, e praticato anche da molti sefarditi, di intingere la mela nel miele dicendo “si rinnovi su di noi un anno dolce”. Il Maharil individua degli accenni a questa usanza nella Toràh, nei Neviim e nei Ketuvim. Nella parashàh di Beshallach, nell’episodio di Maràh, subito dopo l’apertura del Mar Rosso è detto “Ed egli (Moshèh) implorò il Signore il quale gli diede conoscenza di un legno che, quando lo ebbe gettato nelle acque, queste divennero dolci.
Fu in tale occasione che il Signore impose ad Israele statuti e norme, e qui lo esperimentò.” Non possiamo non notare nel verso alcuni riferimenti ai temi di Rosh ha-shanàh, la ze’aqàh (implorazione) al Signore e l’atto di gettare in acqua, che ci ricorda il Tashlikh. Il Maharil, come nelle fonti che vedremo successivamente, nota l’accostamento fra mishpat (giudizio) e dolcezza, a indicarci che nel giorno del giudizio mangiamo cose dolci. Nei neviim il riferimento è a Naval, marito di Avigail, futura moglie di David, del quale è detto (Sam. 1 25, 38) “in capo a dieci giorni circa il Signore colpì Naval e questo morì” (con un accenno quindi ai dieci giorni di teshuwàh) e ad Avigail, la quale portò come offerta a David fra le altre cose cento grappoli di uva passa e duecento schiacciate di fichi, cibi dolci.
Inoltre David, chiedendo protezione per i suoi a Naval, gli dice “giacché venimmo a te in giorno di festa”, inteso come Rosh ha-shanàh. Nei Ketuvim nel Salmo 19 troviamo scritto (v. 10) “i giudizi del Signore sono eterni” e subito dopo (v. 11) “e sono più dolci del miele”, del nettare che stilla dai favi. Anche nel Salmo 81 i due temi sono accostati: infatti è detto (v. 4) “suonate lo Shofar al principio del mese, nel novilunio, al nostro giorno di festa”, e nell’ultimo verso del Salmo (v. 17) “Io farei uscire succhi dolci perfino dalla rupe per saziarti”. Tuttavia questi riferimenti legano giudizio e dolcezza, ma non abbiamo ancora una fonte che giustifichi l’uso di mangiare proprio la mela: il Maharil sostiene che vi sia un legame con il campo di mele ben conosciuto dai mequbalim, che è un simbolo che richiama la Shekhinàh, la presenza divina, ed in particolare, al contrario di quanto si potrebbe pensare, la sfera del giudizio più rigoroso, che viene addolcito dal miele che lo ammorbidisce. Inoltre, sul verso (Bereshit 27,27). “Ecco l’odore del mio figlio! E’ come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto”, in Massechet Ta’anit (29b) è riportato a nome di Rav che si tratta di un campo di mele.
Le Tosafot riportano un’interpretazione secondo la quale i tappuchim di cui si parla è il cedro, ed il Tur infatti riporta l’uso di mangiare cedro la sera di Rosh ha-shanàh, ed altri scrivono di utilizzare mele solo in assenza di cedri. Secondo una tradizione riportata nello Zohar Ytzchaq benedisse Ya’aqov di Rosh ha-shanàh. L’altra tradizione, riportata da Rashì, afferma invece che il fatto si verificò a Pesach: infatti i due capretti che Ya’aqov portò al padre fungevano da Qorban Pesach e Qorban Chaghigàh. Rav Sternebukh (Teshuvot wa-hanagot 2, 267) cerca di risolvere la contraddizione: anticamente, prima dell’uscita dall’Egitto, il giorno che era destinato al tema della provvidenza divina sul mondo, che poi sarebbe divenuto Pesach, era Rosh ha-shanàh. Con l’uscita dall’Egitto la situazione cambia, e Rosh ha-shanàh viene dedicato al tema del giudizio. I responsa Mishpatecha leYa’aqov (cap. 51) riportano questa lettura: mela e miele rimandano a due ambiti differenti, la Toràh e la dimensione materiale, della quale ci occupiamo abbondantemente a Rosh ha-shanàh e Kippur. E’ detto infatti nei Salmi (119, 103) “come son dolci al mio palato i Tuoi detti, son più dolci del miele per la mia bocca!”.
L’espressione del Cantico dei cantici “come il melo tra gli alberi del bosco, così è il mio amico tra i giovani” viene riferita alla Toràh. La Pesiqta deRav Kahanàh paragona la Toràh ad un melo, che è un albero che non fa molta ombra, per questo i popoli della terra fuggirono, rifiutando la Toràh. Altra caratteristica particolare del melo è che le gemme spuntano prima delle foglie. Allo stesso modo il popolo ebraico quando ricevette la Toràh disse prima faremo e poi ascolteremo. Il Devash (miele) vale in ghematrià 306, che è il valore numerico delle prime due lettere del termine Shofar. Scrive il Gherà (inizio del cap. 585 di Orach Chayim) che lo Shofar si suona con la bocca per unire il suono allo studio della Toràh, come è detto nell’Eshet Chayil (Proverbi 31,26) “e un insegnamento di bontà è sulla sua lingua”.
La forza dello studio della Toràh ha il potere di addolcire il giudizio rigoroso. Shem Mishemuel (Rosh ha-shanàh 5674) scrive che il miele ha la capacità di tramutare in miele tutto ciò che ricopre. Simbolicamente a Rosh ha-Shanàh possiamo tramutare l’oscurità in luce, l’amarezza in dolcezza. E questo è il momento dell’anno più adatto, perché Rosh ha-shanàh rappresenta l’inizio, di fronte al quale tutto si annulla. Il Ben Ish Chay (parashat Nitzawim) scrive che la mela fornisce godimento alla vista, al gusto e all’olfatto, ed è un buon segno per tre differenti aspetti, che, come è detto in Mo’ed qatan (28a), non dipendono dai meriti, ma dal mazal: la lunghezza della vita, i figli ed il sostentamento materiale. I Responsa Lehorot Natan (6,101) per spiegare la scelta della mela riporta le Tosafot in massekhet Berakhot (37a), che scrivono che il consumo di mele non è obbligatorio per l’uomo, ma è un piacere. Possiamo augurarci quindi che H. ci conceda un anno nel quale non ci conceda lo stretto necessario, ma molto di più, e che possiamo servirLo nel benessere fisico e spirituale.