Ciascun mese dell’anno ebraico è associato a una delle dodici costellazioni dello zodiaco che appare in cielo. Al primo mese dell’anno, Tishri, è assegnato il segno della bilancia o, come è chiamata in ebraico, mozenayim. Il Midrash (Tanchumah, Shelàch) spiega l’associazione fra bilancia e Tishri in base al concetto che Maimonide avrebbe così illustrato: “Ogni uomo ha sia trasgressioni che meriti. Se i suoi meriti superano le trasgressioni, è considerato uno tzaddiq, completamente giusto. Se le trasgressioni sono superiori è considerato un rashah, completamente malvagio. Se le trasgressioni e i meriti si equivalgono, viene definito benonì, una persona che si trova nel mezzo…
Tuttavia, non si tratta di un giudizio quantitativo, bensì qualitativo. Vi sono atti di merito individuali che vengono considerati più influenti di molte trasgressioni. Analogamente, vi sono trasgressioni che possono avere peso maggiore di molte fonti di merito. La determinazione del peso dipende soltanto dal giudizio di D., la cui conoscenza comprende tutto, poiché soltanto Egli può valutare il merito e la trasgressione. Ognuno dovrebbe perciò considerare se stesso, nel corso di tutto l’anno, come se fosse per metà meritevole e per metà colpevole. Così, se commette un’unica trasgressione, è in grado di inclinare l’ago della bilancia dalla parte delle trasgressioni per se stesso e per tutto il mondo, causando la distruzione di entrambi. Allo stesso modo, se compie una Mitzvah, può inclinare l’ago della bilancia dalla parte dei meriti per sé e per tutto il mondo, portando salvezza e liberazione ad entrambi” (Hil. Teshuvah 3, 1-3).
Commenta il Sefer haToda’ah: “A Rosh haShanah vengono pesate le azioni dell’uomo ed egli viene iscritto favorevolmente o sfavorevolmente in base ai meriti delle sue azioni… Anche se una persona pecca per tutto l’anno, non dovrebbe perdere fiducia nella sua capacità di fare Teshuvah. Al contrario, dovrebbe ritornare sulla via della rettitudine prima che sopraggiunga il giudizio. Dovrebbe sempre credere di aver la capacità di far pendere l’ago della bilancia propria e di quella di tutto il mondo dalla parte del merito. Per questo motivo è consuetudine di tutto il popolo d’Israel essere particolarmente generosi nella Tzedaqah, nelle buone azioni e nel compiere mitzvot nel periodo fra Rosh haShanah e Yom Kippur. L’uomo viene infatti giudicato soltanto secondo le sue azioni presenti (ba-asher hu sham; TB Rosh haShanah 16a). Perciò se si pente in prossimità del giorno del giudizio, compiendo la volontà di D., viene giudicato per come è e non per come era”.
La metafora della bilancia riferita al S.B. è già nei Profeti. Nel descrivere la potenza creatrice Divina Yesha’yahu scrive che il S.B. “pesa i monti con la stadera e le colline con la bilancia” (40,12). La bilancia simboleggia la giustizia assoluta, l’equità, l’onestà, l’etica. La Torah stessa ci prescrive di non adoperare mai due pesi e due misure, “affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che H. tuo D. ti dà” (Devarim 25, 16). Si contrappone mozeney tzedeq, la “bilancia di giustizia” (Wayqrà 19,36), il peso esatto e corretto, a mozeney mirmah, la “bilancia d’imbroglio” che è “abominio di H.” (Mishlè 11,1). Il Ben Ish Chay di Baghdad vede nella struttura della bilancia la Scrittura del Nome tetragrammato di H. I due piatti formano con le rispettive catene due lettere he; l’asta verticale rammenta la waw e il gancio simboleggia la yod. Chi adopera la bilancia in modo disonesto, insomma, profana il Nome di D. “La Torah non proibisce la disonestà nei pesi e nelle misure solo quando viene messa in pratica, cosa che rientrerebbe molto più semplicemente nel furto, ma considera la misurazione in se stessa un atto di giustizia, il simbolo del rispetto ebraico per il diritto, qualcosa di sacro da non violare. Essa vuole che il senso del diritto, il rispetto e la considerazione per l’onestà diventino un tratto fondamentale del carattere ebraico” (S.R. Hirsch).
Ma la bilancia richiama anche e soprattutto l’idea di equilibrio. La società odierna sembra raccomandare l’opposto a questo proposito. L’estremizzazione è spesso preferita da molti, che vedono nel perseguimento della via mediana un atteggiamento perdente: o tutto, o niente. Non ci si rende conto invece che chi troppo vuole nulla stringe, tafasta merubbeh lo tafasta. E occorre dare tempo al tempo, senza voler ottenere tutto subito. Ciò che richiede ponderazione è generalmente messo in disparte, perché non offre soddisfazione immediata, ma richiede piuttosto sforzo. È ancora Maimonide a darci le necessarie indicazioni. “I due estremi di ciascun tratto non riflettono la via ideale e pertanto non si raccomanda alla persona di adottarli, né di apprenderli. Se anzi si rende conto che la sua natura tende verso l’uno o l’altro degli estremi ed è così predisposta, o che ha imparato ad agire di conseguenza e vi si è abituato, deve ritornare a ciò che è raccomandabile e procedere nella via degli uomini virtuosi, che è la via retta. La via retta è la posizione intermedia fra i due estremi in ciascun tratto dell’umano comportamento, equidistante da ciascuno degli estremi, senza accostarsi a nessuno dei due. Perciò i Chakhamim più antichi ci hanno istruito a valutare i tratti del nostro carattere, a giudicarlo e a dirigerlo lungo la via mediana, in modo di essere sani… Non si deve essere troppo parsimonioso, né sperperare il proprio denaro, bensì dare Tzedaqah secondo le proprie possibilità” (Hil. De’ot 1, 3-4). “In effetti, la Torah non ha proibito quello che ha proibito, né comandato quello che ha comandato, se non al fine che noi ci tenessimo maggiormente lontani da uno degli estremi, attraverso una disciplina precauzionale… Se tu considererai da questo punto di vista la maggior parte dei precetti, troverai che essi non mirano che a equilibrare le facoltà dell’anima” (Shemonah Peraqim, cap. 4).
Una introspezione costante è elemento necessario in ogni programma di avanzamento personale e spirituale. Anche se una persona possiede gli ideali più elevati, se non provvede sovente a farsi un esame di coscienza e non sorveglia la propria condotta, può commettere gravi errori. Vi è tuttavia un altro significato ancora legato alla bilancia. La parola ebraica mozenayim, infatti, deriva dalla stessa radice di òzen, “orecchio”. R. David Qimchi, nel Sefer haShorashim, spiega l’associazione con il fatto che i due piatti della bilancia assomigliano alle due orecchie ai lati del viso. O non saranno già stati consapevoli gli antichi del fatto che proprio l’orecchio è sede dell’equilibrio fisico dell’individuo? Sembrerebbe avvalorare questa ipotesi affascinante il fatto che una volta, nel Qohelet (12,9), appare il verbo izzèn parallelo a chiqqèr (“valutare, investigare”) nel senso di “ponderare”! Se così è, la bilancia ci richiama alla capacità di adoperare l’orecchio, l’attitudine all’ascolto.
Anche la Parashah che leggeremo in occasione di Shabbat Shuvah, fra Rosh haShanah e Yom Kippur, comincia con un invito dalla stessa radice: Haazinu, “porgete orecchio” (Devarim 32,1)! Senso dell’equilibrio e disponibilità all’ascolto costituiscono due spunti di riflessione importanti per fare Teshuvah al giorno d’oggi. I modelli che i mass media forniscono invitano lo spettatore a essere boneh bamah le-‘atzmò, “costruirsi una tribuna tutta per sé”. L’essenziale è poter parlare, senza curarsi del senso di ciò che si dice. Per questo motivo, ascoltare suscita assai meno interesse. Dal momento che chi parla non è altrettanto disponibile all’ascolto degli altri, finirà prima o poi con l’assuefarsi a non avere degli ascoltatori a sua volta. E le sue parole avranno sempre meno significato, in un giro vizioso inarrestabile. Shim’ù u-tchì nafshekhem. “Prestate ascolto e la vostra anima vivrà”, invita il Profeta Yesha’yahu (55,3). Commenta R. I. Lampronti che il S.B. si comporta diversamente dall’uomo. Se un individuo si fa male dappertutto a seguito di un violento incidente, il medico riempie tutto il suo corpo di fasce. Ma quando l’uomo è pieno di trasgressioni il S.B. gli dice: “È sufficiente che ti curi l’orecchio e vedrai che tutto il resto guarirà” (s.v. hattù). L’ascolto del Maestro porta ad agire correttamente ancor più dello studio individuale dei libri. Il cattivo istinto lo sa e di proposito ci induce a sottovalutare i richiami che ci vengono rivolti e a comportarci di testa nostra, facendoci credere di non aver bisogno di consigli (Pele Yo’etz s.v. shemi’ah). Shanah Tovah. Ketivah wa-Chatimah Tovah a tutti.
(Pagine Ebraiche, settembre 2016)