Il professore di Talmud che parlerà a diciotto sinagoghe
David Piazza
Il cordiale ma convinto rifiuto espresso agli amici che lo invitavano a festeggiare nella pizzeria kashèr (dove si cucina secondo le regole alimentari ebraiche), all’indomani della nomina a rabbino capo, ci dice forse qualcosa sul futuro del rabbinato a Milano: “Mi dispiace, ma domani sera ho la lezione di Talmud”, rispondeva un imbarazzato Alfonso Arbib.
Il rabbino Arbib infatti, oltre agli impegni come responsabile del settore ebraico (elementari e licei) delle scuole della Comunità di Milano, tiene almeno cinque lezioni settimanali di Talmud e di pensiero ebraico, alcune delle quali itineranti in case private. E naturalmente non si sottrae a un paio di commenti al brano biblico settimanale, ogni sabato. Un’agenda già densa che riflette il carattere concreto del suo insegnamento: costante, vicino alla gente, spesso lontano dai riflettori pubblici.
La sua formazione, più che da intellettuale accademico, è quella di insegnante: formatosi al Collegio rabbinico di Roma – sotto la direzione dell’allora Rabbino Capo di Roma Elio Toaff – dove era arrivato nel 1967 in fuga da una Tripoli oramai in pieno furore antisemita, viene chiamato quindi a Milano nei primi anni ottanta, dove inizia a lavorare in una Comunità dove da molti l’insegnante è visto come un rabbino “minore”.
Eppure questo rabbino sefardita di formazione italiana potrebbe risultare una scelta fortunata per Milano, dove convivono ebrei non solo di diversa provenienza ma anche con diversi orientamenti. Milano, infatti, è la città dalle diciotto sinagoghe dove convivono gli ebrei di rito italiano a fianco di quelli ashkenaziti, libanesi e persiani a fianco della setta chassidica Lubavitch, in una miriade di attività e di iniziative non sempre sotto il cappello della Comunità ebraica formale. Negli ultimi anni, infatti, questa si è indebolita, formalmente per problemi di bilancio, ma in sostanza per una leadership in difficoltà.
Per azzardare e tracciare le linee di orientamento ideologico del nuovo rabbino capo, dobbiamo necessariamente far riferimento alla sua tesi di laurea rabbinica, tutta incentrata sul movimento ebraico del Mussàr, una corrente ideologica sviluppatasi nell’Europa orientale dell’ottocento, che propone come prioritari, nella dottrina ebraica, il rispetto dell’altro e un profondo comportamento etico. Il Mussàr, infatti, rappresenta una novità assoluta nei confronti del più conosciuto Chassidismo (corrente religiosa tradizionalista nata alla fine del XVIII secolo a cavallo tra Polonia e Russia), ma anche degli studi talmudici, allora spesso fini a sé stessi.
Le lezioni del rabbino Arbib riflettono quindi questa sensibilità molto attenta alle molteplici e profonde manifestazioni dell’animo umano. Di tutti gli umani. Per Arbib dunque (citando un suo intervento sul problema della traduzione in greco della Torà – la Bibbia ebraica) il rapporto con l’ambiente circostante dell’ebreo (anche quello più attento ai precetti) non solo è inevitabile, ma deve essere attivo e fecondo, mantenendo però la propria coscienza di diversità. In termini pratici quindi non dovrebbe cambiare molto nell’impostazione dei rapporti con le altre religioni tracciata dal rabbino Laras nei lunghi anni del rabbinato precedente, se non una maggiore attenzione alle problematiche interne al mondo ebraico.
Tra queste la più pressante rimane quella dei matrimoni misti che sono allo stesso tempo sia la causa, sia l’effetto di un forte indebolimento dell’identità ebraica. Alfonso Arbib è da sempre un sostenitore della linea morbida ma decisa, lanciata dallo stesso Laras una decina d’anni fa e poi accolta da tutte le comunità ebraiche in Italia. Arbib, con la sua particolare formazione, probabilmente dovrebbe poter riuscire a dimostrare, se i responsabili della Comunità ebraica milanese saranno in grado di fornirgli i mezzi necessari, che mai come nel campo dell’educazione ebraica vale la regola che recita: prevenire è meglio che curare.
Direttore del sito www.morasha.it
Repubblica – 7 luglio 2005
Il posto di rabbino capo è per Arbib responsabile della scuola
Nel gennaio scorso la lettera a tutte le famiglie: lascio l´incarico dopo 25 anni. – Gli è stata offerta la presidenza del tribunale Comunità ebraica, il dopo Laras
ALESSIA GALLIONE – da Repubblica – 6 luglio 2005
Era gennaio quando la lettera spedita dal rabbino capo Giuseppe Laras arrivò nelle case degli iscritti della comunità. Facendo precipitare nella bufera gli ebrei milanesi. «Carissimi fratelli e sorelle della comunità, dopo attenta riflessione ho deciso che, nell´estate prossima, lascerò il mio incarico». Nessun ripensamento. Laras aveva deciso di andarsene dopo 25 anni. «Anche se oggi manterrà un incarico importante come presidente del tribunale rabbinico», spiega il presidente della comunità Roberto Jarach. Tutto sospeso in una lunga e difficile ricerca di un sostituto che, tra tensioni e polemiche, si è conclude solo ora. A pochi giorni dalla fine di giugno da quando, ufficialmente, Laras non è più la guida religiosa di via della Guastalla. Dopo una commissione incaricata di esprimere un primo giudizio vagliando candidature da Torino a Roma, tormentate sedute del Consiglio e un parere della consulta rabbinica presieduta proprio da Laras, la Milano ebraica nomina il suo nuovo capo religioso.
Alfonso Arbib, 45 anni, è responsabile per l´educazione delle scuole ebraiche della città. Una figura capace – raccontano in comunità – di riuscire a tenere insieme le diverse anime degli ebrei milanesi. Il microcosmo più composito in Italia: askenaziti, libici, laici, iraniani, hassidim, persiani…
Arbib è di estrazione sefardita (è nato in Libia, ma è arrivato in Italia dopo l´espulsione degli italiani decisa da Gheddafi) e di educazione italiana, chiamato a Milano anni fa come insegnante della scuola: una delle ragioni della scelta. «Dobbiamo guardare alle nuove generazioni – dice Jarach -.
Non sarà un passaggio facile. Dobbiamo ancora mettere a punto questioni tecniche e organizzative. Nessuno ha voluto prolungare i tempi: è stata necessaria un´analisi approfondita per la scelta più condivisa possibile. A differenza di Roma non avevamo un unico candidato. A questo si sono sommati elementi politici». Polemiche e divisioni, con lo stesso presidente che si è astenuto su una prima votazione: «Ma non riguarda assolutamente la persona», precisa. Un percorso sofferto, con molti che avrebbero voluto l´elezione di un rappresentante del movimento dei Lubavitch, molto influente in città con proprie sinagoghe e una scuola.
«Massima soddisfazione – racconta il portavoce Yasha Reibman – per aver messo le basi per la nomina di un nuovo grande rabbino e per non perdere il prezioso contributo di rav Laras come presidente del tribunale».
Un travaglio normale, però, per David Piazza, responsabile del sito ebraico Morashà: «Il ruolo del rabbinato sta cambiando – spiega – basti pensare al dibattito sulla procreazione assistita e all´importanza delle opinioni dei rabbini. Oggi, non sono solo funzionari, ma leader. Ecco, lo scontro è anche tra chi rifugge la figura di un rabbino forte e carismatico e chi vorrebbe accentuarla».
Il nuovo rabbino – Un´agenda per gli ebrei della città
DAVIDE ROMANO da Repubblica – 6 luglio 2005
Nel congedare e ringraziare il dimissionario rabbino capo di Milano Giuseppe Laras per il quarto di secolo dedicato non solo alla comunità ebraica ma anche alla nostra città nel suo insieme è opportuno stilare un´agenda delle sfide che dovrà affrontare il suo sostituto.
Come qualsiasi sacerdote dovrà prima di tutto occuparsi dei propri fedeli, e nella nostra città la sfida sarà assai impegnativa viste le diverse provenienze dei membri della comunità.
Sono infatti ormai migliaia gli ebrei milanesi provenienti da Paesi islamici, spesso fuggiti a causa di persecuzioni. Essi hanno arricchito culturalmente Milano nel corso degli anni e hanno creato le proprie sinagoghe (persiane, libanesi, libiche, eccetera).
ìIl nuovo rabbino capo avrà il compito di coinvolgere maggiormente questi e altri gruppi – come quelli provenienti dall´Europa orientale – nelle istituzioni comunitarie milanesi. In merito invece ai rapporti tra il futuro rabbino di Milano e il mondo non ebraico, il pensiero corre al dialogo interreligioso.
Negli anni passati il rapporto tra il cardinale Carlo Maria Martini e il rabbino Laras è stato molto fecondo, ma oggi serve andare ancora più avanti e con diverse modalità. E le chiare condanne dell´antisemitismo da parte delle gerarchie cattoliche sono certo positive, ma non bastano. E´ necessario fare azione preventiva a tutti i livelli.
Una di queste poteva essere quella di inserire nel nuovo Compendio del catechismo della Chiesta cattolica la condanna esplicita dell´antisemitismo presente nella Nostra Aetate del 1965 dove si dichiara che ogni elemento di antigiudaismo è contrario alla dottrina. Una richiesta che peraltro era stata fatta dall´ambasciatore israeliano presso la Santa Sede allo stesso – allora – cardinale Ratzinger già due anni fa, e che sembrava potesse essere accettata. Purtroppo così non è stato, e sarà compito del nuovo rabbino milanese anche quello di rilanciare – magari insieme al cardinale Tettamanzi, se lo vorrà – tale proposta.
Se c´è una cosa che la Chiesa può fare contro l´antisemitismo infatti, è proprio quella di far studiare ai propri fedeli e ai propri sacerdoti i testi che richiamano all´amore verso quelli che Giovanni Paolo II ebbe modo di chiamare «fratelli maggiori». Non dovranno poi mancare i rapporti con l´Islam già ben avviati dal rabbino uscente, anche in questo campo sarebbero utili proposte più coraggiose da entrambe le parti: una potrebbe essere quella di incoraggiare incontri periodici ebraico islamici – anche e soprattutto a livello giovanile – per far sì che tra le due comunità si possa costruire un dialogo volto a disarmare pregiudizi reciproci, a prescindere dall´emergenza terroristica.
Certo l´Islam milanese è assai variegato e qualche gruppo sicuramente non vorrà essere coinvolto, ma intraprendere una collaborazione per esempio con la sezione milanese dei giovani musulmani italiani, guidata dall´ottimo Abdallah Kabakebji, potrebbe rappresentare un buon inizio e fare da traino anche per altri in futuro.
Una mano in tal senso potrebbero darla anche le istituzioni cittadine che dovrebbero cercare, oltre che di isolare gli estremisti, anche di riconoscere un ruolo a quei gruppi che si spendono per il dialogo.