Durissimo comunicato dell’Assemblea Rabbinica in risposta alla relazione conclusiva del presidente Ucei uscente, Renzo Gattegna
Nell’ultima riunione del Consiglio UCEI, il Presidente avv. Gattegna, al termine del suo mandato di dieci anni di presidenza, ha letto una relazione conclusiva. Desideriamo in primo luogo esprimere la nostra gratitudine per l’impegno disinteressato di tutti i Consiglieri e in particolare al presidente uscente, che non intende continuare la sua attività, per la sua lunga militanza disinteressata e appassionata a favore dell’ebraismo italiano. Il rispetto e la gratitudine sono fuori discussione ma questo non può cancellare opinioni e visioni anche molto diverse, valutazioni critiche di impostazioni e risultati che devono fare parte di un sano dibattito per il bene comune. È proprio quanto lo stesso presidente afferma nel suo invito al dialogo che deve essere condotto rifiutando estremismo, demagogia, provocazione e demonizzazione dell’avversario, regola che ovviamente deve valere per tutti.
Per questo spirito dialogico riteniamo che non possano essere passate sotto silenzio alcune affermazioni contenute nella relazione del presidente. Da questa sembra emergere, come punto centrale del messaggio, il rifiuto del l’isolamento contro “le forme di chiusura e ripiegamento in se stessi, adottate nei secoli scorsi dai nostri antenati per autodifesa ” e che, a detta del presidente, “appaiono superate, inutili e dannose in un mondo globale nel quale confini e barriere si sono fortemente affievoliti e non esistono più microcosmi impenetrabili e incontaminabili“. Desideriamo premettere che il giudizio espresso sulle strategie adottate in passato dai nostri Maestri per mantenere vivo e vitale l’ebraismo, preservando negli ebrei un’identità forte e una dignità tenace, ci pare approssimativo e fuorviante rispetto a quanto possiamo tuttora recepire del loro esempio e insegnamento. A parte questo punto preliminare, ciò che ci preoccupa nell’impostazione del messaggio del presidente uscente è prima di tutto la centralità di questo discorso, che sembra l’ unico tema programmatico. La realtà critica dell’ebraismo italiano che si contrae demograficamente ogni giorno dovrebbe essere al centro di una relazione presidenziale e di qualsiasi progettazione comunitaria e dell’UCEI. Spostare l’attenzione al confronto con l’esterno pone delle serie domande. E non si dica che la preoccupazione per il nostro interno e il nostro futuro è ovvia e implicita. O peggio che “l’uscita dal l’isolamento “, quando poi questo isolamento è solo un mito, rappresenti la cura del problema.
A parte la centralità del tema nella relazione, c’è da commentare anche nel merito dell’argomento. Che non ha niente di nuovo. Certe cose le hanno dette già ai tempi dello statuto albertino o quando i bersaglieri sono entrati a Porta Pia. Con quali risultati per la nostra sopravvivenza e con quante illusioni e tragiche disillusioni si può discutere. Lo schema e l’opposizione proposta dal presidente, tra chiusura e apertura, proprio alla luce della attualità e globalità è infondato, superato, banale e rischioso. Il confronto con il mondo non ebraico non è un obiettivo da ricercare così ansiosamente perché fa già parte della nostra realtà quotidiana, ci dobbiamo invece preoccupare di come fornire al pubblico delle Comunità ed ai giovani in particolare quelle esperienze di vita ebraica e quelle conoscenze di ebraismo che sono indispensabili, innanzitutto per l’esistenza stessa delle Comunità e in secondo luogo per affrontare con concretezza e consapevolezza il dialogo con l’esterno.
Vorremmo quindi ricordare a tutti che cosa tiene viva una comunità ebraica. Non la tiene viva, al contrario di ciò che sembra pensare il presidente, un dibattito pseudo-filosofico che riguarda poche persone che non incide sulla vita comunitaria. Ciò che tiene viva una comunità è l’educazione ebraica, la scuola, il Talmud Torà, il Bet Midrash. L’educazione ebraica potrebbe far fare un salto di qualità anche al dibattito permettendo, per esempio, di parlare di tradizione ebraica avendo conoscenza del testo e delle fonti. Una comunità è viva se ci sono Battè Kenesset funzionanti, se ci si occupa di chi è in difficoltà, se si ha un’idea di quale sia un possibile futuro delle attività giovanili. Abbiamo l’impressione che di tutto questo ci si occupi troppo poco. Pensiamo, nel pieno rispetto delle differenti opinioni e identità e senza ignorare il rapporto con l’esterno, alle nostre vere priorità, alla necessità di educare e investire nelle nostre Comunità e nel nostro futuro. Speriamo che il nuovo Consiglio dell’UCEI ribalti finalmente la prospettiva.
Rav Giuseppe Momigliano Presidente e il Consiglio dell’ARI
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