Gli ebrei a Livorno: una panoramica storica su questa città che ne accolse una “nazione” assai numerosa. Finirono col rappresentare il dieci per cento della popolazione locale. Ma dopo il 1830 i traffici furono messi in crisi e la comunità iniziò a decadere
Gabriele Bedarida
La Nazione Ebrea (si usa il termine Nazione nel senso di rifugio per un gruppo perseguitato) fu senza dubbio la più numerosa e la più importante economicamente e culturalmente, fra le varie Nazioni che risiedettero a Livorno. La presenza ebraica crebbe lentamente fra la fine del sec. XVI e l’inizio del XIX fino a rappresentare circa il 10% della popolazione totale della città. Gli Ebrei svolgeranno a Livorno il commercio di intermediazione e di deposito fra gli scali di Levante e le piazze d’Italia e del Nord Europa valendosi dei privilegi accordati dal governo mediceo alla città.
Piazza di riferimento
Nel corso del sec XVIII, col mutare della situazione politico-economica nel Mediterraneo, i traffici acquistarono un andamento più marcatamente nord-sud, fra la sponda italiana e quelle nordafricane: Livorno divenne piazza di riferimento per gli scambi col Maghreb, in gran parte in mano agli ebrei che importavano cereali, corallo, pellami, piume di struzzo, ed esportavano tessuti e manufatti vari. Dopo il 1830, anche per effetto dell’occupazione francese di Algeri, i traffici della città accentuarono il loro declino e con essi decade la Nazione Ebrea.
Costituzioni
I larghissimi privilegi elargiti con le “Costituzioni Livornine” del 1591 e 1593 e dirette a richiamare a Livorno gli ebrei ispano‑portoghesi che erano stati espulsi dalla penisola iberica alla fine del sec. XV permisero a questi ultimi di raggiungere a Livorno una floridezza economica e culturale raramente eguagliate in altre comunità del Mediterraneo: v’era garanzia per i marrani (o cripto‑giudei) di praticare liberamente l’Ebraismo senza venir inquietati dall’inquisizione; v’era libertà di studiare e conseguire titoli accademici, di possedere beni immobili, di risiedere in quartiere aperto (a Livorno non vi fu mai ghetto), di stabilirsi in città e liberamente partirne con i propri beni, di stampare libri ebraici, di amministrare autonomamente la giustizia nelle cause fra ebrei. L’istituto della beliottazione, e cioè l’approvazione da parte dei Massari della Nazione dei nuovi arrivati che ne facevano richiesta, conferiva ipso facto la qualifica di suddito toscano e permetteva di fruire all’estero della protezione diplomatica. Ciò spiega il gran numero di ebrei in tutto il bacino del Mediterraneo che furono o sono tuttora registrati come “livornesi”.
Rabbini e studiosi
Il clima di tolleranza e relativa libertà instaurato con tali privilegi favorì la fioritura degli studi ebraici per cui Livorno divenne famosa per almeno tre secoli: rabbini e studiosi accorrevano a Livorno ove trovavano un ambiente favorevole, mecenati disposti ad aiutarli ed a finanziare studi e pubblicazioni, istituti d’istruzione ed accademie talmudiche fornite di ragguardevoli biblioteche. Famosi, tra i rabbini che abitarono o soggiornarono a lungo a Livorno furono, tra gli altri, Malachì Accoen, Abrani Isaac Castello, Jacob Sasportas, David Nieto, Chaim Josef David Azulai, Israel Costa e Elia Benamozegh. Accanto al Talmud Torà frequentato da numerosi alunni, parecchi dei quali fruivano di borse di studio, fiorirono varie accademie talmudiche e letterarie private. La struttura comunitaria, passata attraverso complesse e spesso burrascose vicende, si stabilizzò dopo la riforma di Cosimo III del 1715 in una costituzione essenzialmente aristocratica: da un corpo di 60 Governati, che si trasmettevano la carica ereditariamente, venivano scelti dal Granduca 5 Massari, l’esecutivo, e le altre cariche della Nazione. L’intento di una simile costituzione era di conservare la direzione della cosa pubblica nelle mani dell’élite portoghese che aveva costituito il nucleo originario della comunità ed era ora minacciata nella sua preponderanza dall’afflusso di ebrei maghrebini ed italiani. Alla fine del sec. XVIII ed ancor più dopo le riforme napoleoniche e la Restaurazione del 1814, tale struttura non si poté più mantenere ed a tutti i mercanti di qualunque origine fu permesso l’accesso alle cariche pubbliche della Nazione. Tuttavia, il carattere portoghese di questa si mantenne nel rituale, rimasto invariato fino ad oggi, nella lingua, appunto il portoghese, che si parlò e si scrisse fino all’inizio del secolo scorso. In questa lingua si pubblicavano, dalla tribuna della Sinagoga, i decreti dei Massari e si tenevano i sermoni dei rabbini.
Rete di opere
L’organizzazione interna della Nazione, retta con mano di ferro dai Massari che disponevano della facoltà di comminare multe, scomunica ed esilio che la forza pubblica era tenuta a far eseguire, era volta ad assicurare il culto con tutto il fasto che la tradizione spagnola ed il gusto del tempo richiedevano, a permettersi la più ampia diffusione dell’istruzione (furono ebraici i primi istituti di educazione pubblica della città), ad assistere i bisognosi con una rete di opere di beneficenza pubbliche e private che assicuravano ai correligionari indigenti sussidi in denaro, biglietti di pane, abiti, cure mediche, etc.
Inizia la decadenza
La decadenza di Livorno come piazza di commercio internazionale, accelerata dalla bufera napoleonica e dal venire meno dei traffici di deposito e di intermediazione, coinvolse la Comunità Ebraica, che vide decrescere costantemente tra il XIX ed il XX secolo ed in quello attuale la propria importanza e la propria consistenza numerica, e quindi la funzionalità delle istituzioni. Gli ebrei livornesi, abbandonato il grande commercio, si dettero alle vendite al minuto, alle professioni liberali ed apportarono il proprio valido contributo alla cultura cittadina e nazionale. Ci piace segnalare, tra gli altri, i pittori Serafino De Tivoli, Vittorio Corcos, Ulvi Liegi ed Amedeo Modigliani, l’educatore Sansone Uzielli, il commediografo Sabatino Lopez, illetterato Alessandro D’Ancona, i politici Giuseppe Emanuele Modigliani, e Dario Cassuto, il matematico Federico Enriquez. I segni della grande stagione ebraica livornese sono oggi assai scarsi dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale che vide la scomparsa della magnifica Sinagoga monumentale e di gran parte dei suoi arredi e l’ulteriore declino della popolazione ebraica che conta oggi circa 700 persone. La nuova Sinagoga, opera dell’architetto romano Angelo Di Castro, nel suo spazio interno arditamente moderno, ospita una bella arca lignea barocca proveniente da Pesaro e due splendidi parati antichi. Un piccolo museo, aperto nell’Oratorio Marini in via Micali n° 21 contiene una splendida arca lignea cinquecentesca proveniente forse dalla prima Sinagoga aperta nella via Ferdinanda dai profughi ispano‑portoghesi, ed altri cimeli fortunosamente salvati dalle rovine della guerra. Un ricco archivio storico è poi a disposizione degli studiosi. Alcuni toponimi (Via di Franco, Via del Tempio, Largo Attias) attestano dell’ampiezza e dell’importanza dell’insediamento ebraico a Livorno.
La Voce Repubblicana 2/9/2010