Riccardo Pacifici, vicepresidente degli ebrei romani e simpatizzante radicale, spiega perché ha sottoscritto – a titolo personale – una dichiarazione di solidarietà a Rocco Buttiglione
È un simpatizzante del partito Radicale, è un ebreo osservante (vicepresidente della comunità di Roma e portavoce della medesima) che dice «noi ebrei siamo stati liberati da 400 anni di ghettizzazione forzata dai bersaglieri che il 20 settembre 1870 hanno aperto la breccia di porta Pia», eppure Riccardo Pacifici ha firmato convintissimamente la dichiarazione di solidarietà col papista Rocco Buttiglione che il quotidiano Il Foglio ha pubblicato nei giorni scorsi. «Perché siamo di fronte a un caso di isteria collettiva, siamo di fronte a un caso di integralismo laico», ribadisce deciso commentando quel che è accaduto al Parlamento europeo due settimane fa.
La lezione perversa di Chirac
Pacifici è un assertore intransigente della laicità delle istituzioni e fautore di una separazione netta fra Chiesa e Stato, fino al punto di dichiararsi favorevole alla rimozione dei crocefissi dai luoghi pubblici («anche se non ho apprezzato né condiviso il metodo col quale il signor Adel Smith ha condotto quella battaglia: non mi dà fastidio la presenza di un simbolo religioso cristiano, ma il fatto che debba essere tolto dovrebbe essere un atto di sensibilità della cultura di maggioranza») e a giustificare l’omissione delle radici giudaico-cristiane dal trattato costituzionale europeo («inserirle sarebbe stato assolutamente legittimo, ma in una fase storica come quella attuale, caratterizzata dalla frustrazione di una parte del mondo arabo-musulmano e dal suo antagonismo nei confronti della società occidentale, nel momento in cui stiamo discutendo l’ingresso nella Ue di 70 milioni di cittadini di fede islamica che vengono dalla Turchia, probabilmente un atto del genere avrebbe legittimato i gruppi estremisti islamici»). Ma il caso Buttiglione, secondo lui, è tutt’un’altra faccenda: «Sì, ci troviamo di fronte ad un esempio di integralismo laico, sul modello inaugurato dalla sciagurata decisione della presidenza Chirac di vietare nelle scuole pubbliche l’esposizione di simboli religiosi troppo evidenti: veli islamici, kippa ebraiche, croci cristiane. Siamo arrivati al punto che chi vuole portare un crocefisso al collo non può farlo in un luogo pubblico. Questa a mio avviso è una palese violazione della libertà religiosa. Il caso che ha riguardato l’on. Buttiglione è dello stesso genere: potrei non condividere nulla di ciò che ha detto e dei valori in cui crede, ma che comunque rispetto, però non si può pensare di tappare la bocca a chi vuole liberamente esprimere i valori nei quali è cresciuto e ai quali crede. Valori religiosi cristiani di cui la classe politica italiana si è alimentata attraverso la storia della Dc, del Partito Popolare, ecc. e che comunque fanno parte della tradizione del nostro paese. Attaccare Buttiglione su questo punto è stato a mio avviso un atto indecente; per questo ho deciso di firmare l’ottimo appello di Giuliano Ferrara. Proprio perché veniva da chi crede nei valori laici e liberali».
La democrazia e i Dieci Comandamenti
La sensibilità di Pacifici per la libertà religiosa di Buttiglione non nasce dalla lettura di Voltaire, ma dalla sua esperienza come membro della minoranza ebraica italiana. «Fino al 1985, in Italia i diritti religiosi di un ebreo militare, o di un ebreo studente, o di un ebreo lavoratore, erano di fatto una sorta di concessione che veniva fatta a seconda della sensibilità del caporale o del professore, o del preside, o del datore di lavoro. Ottenere un permesso il sabato o avere delle garanzie affinché uno studente non dovesse sostenere un esame proprio nel giorno di sabato o in occasione delle festività ebraiche dipendeva esclusivamente dal buon cuore dell’interlocutore. Con la firma dell’intesa fra lo Stato italiano e l’Unione delle comunità ebraiche nel 1985 le cose sono cambiate. Oggi fortunatamente l’Italia è un paese che ha fatto suoi alcuni princìpi di uguaglianza e di pari diritti per tutte le minoranze attraverso le intese, anche se non c’è ancora l’intesa con le comunità musulmane, perché non esiste un unico interlocutore nel mondo islamico, oltretutto credibile e moderato. Certo, esistono ancora nel nostro paese alcune storture per quel che riguarda la garanzia dei diritti religiosi legate alle modalità dell’ora di religione a scuola, al sostentamento del clero, ecc. Il cammino positivo sin qui percorso e questi problemi che ancora esistono mi fanno essere molto sensibile alla questione della libertà religiosa per tutti, non solo per gli ebrei». Il caso Buttiglione scandalizza anche perché svela clamorosamente l’ipocrisia della sinistra estrema circa la dimensione pubblica del magistero del romano pontefice: «Ma come fanno a non provare imbarazzo. Come fanno gli esponenti dell’estrema sinistra a esaltare il Pontefice per le sue posizioni riguardo al conflitto irakeno e poi subito dopo attaccare chi si ispira al Pontefice per questioni connesse ai valori religiosi. Questo è un esempio di demagogia che dovrebbe far riflettere. Coloro che hanno brutalmente aggredito l’on. Buttiglione sono gli stessi che per un anno e mezzo hanno citato le parole del Pontefice sul conflitto in Irak. Io invece personalmente non ho condiviso quelle prese di posizione, ma le ho rispettate, come rispetto coloro che hanno potuto pensare di combattere Saddam Hussein sfilando con le bandiere della pace e non destituendolo con la forza».
Qual è allora, secondo Pacifici, il contributo originale e insostituibile che gli uomini religiosi possono dare alla democrazia moderna, alle istituzioni liberali? «Non tutti nel mondo ebraico la pensano allo stesso modo. Rispondo a titolo personale. Io credo che nei sessant’anni del comunismo abbiamo visto a cosa porta l’esclusione programmatica della religione dalla vita civile e la sua sostituzione con l’ateismo, nuova religione di Stato. Coloro che in Unione Sovietica professavano una fede religiosa, si sono ritrovati nei gulag. E ha portato ad una società malata, retta da princìpi illiberali e dittatoriali. Anche in forza di tale esperienza storica, io credo che negare a chiunque, sia egli ebreo o cattolico, dentro ad una democrazia liberale di poter esprimersi e contribuire alla crescita e all’arricchimento della società civile, sarebbe un errore molto grave. In secondo luogo, non prendere atto che l’Europa stessa è nata sui princìpi religiosi sarebbe un’altra ipocrisia. E in realtà tutte le democrazie del mondo – non soltanto quelle europee – nei princìpi fondanti fanno riferimento allo spirito del monoteismo di Abramo, che accomuna l’ebraismo, il mondo cristiano e quello islamico. Tutti e tre questi mondi si ispirano ai Dieci Comandamenti, e i Dieci Comandamenti sono divisi in due parti: i primi cinque riguardano i rapporti fra l’uomo e Dio e l’uomo all’interno della propria famiglia; i secondi cinque riguardano i rapporti fra gli uomini: non rubare, non commettere adulterio, non uccidere. Negare che una democrazia sana debba basarsi su questi cardini, ai quali si ispirano le tre grandi religioni monoteiste, sarebbe un vero e proprio revisionismo storico».
Minacce europee sulla libertà religiosa
Pacifici è preoccupato che l’integrazione europea non finisca per restringere gli spazi della libertà religiosa anziché ampliarli. «Le differenze di noi tutti, non solo politiche ma culturali, sono la ricchezza dell’Europa. L’Unione che stiamo costruendo dovrebbe rispettare tutti, sia i non credenti, sia coloro i quali professano fedi o hanno tradizioni che possono apparirci assurde. Negli ultimi 4-5 anni abbiamo avuto delle proposte di legge – che in alcuni paesi europei sono già diventate norma – le quali considerano un atto di barbarie che non deve aver posto nella nostra civiltà la macellazione rituale, ebraica e musulmana. Io sono d’accordo che sulle carni devono esserci norme precise, controlli tecnico-sanitari finalizzati al rispetto di regole igieniche. Ma pretendere di stabilire che è più giusto uccidere un animale con un colpo di pistola alla tempia che non attraverso la macellazione rituale, e in base a questo conculcare il mio diritto alla libertà religiosa, lo trovo assolutamente illiberale».
Infine, i dilemmi in cui si trova l’uomo moderno richiedono un ruolo attivo da parte delle istituzioni religiose. «Il fatto che Stato e Chiesa siano separati non significa che non si debbano parlare o non debbano dialogare. Su tutti i temi bioetici troviamo scienziati che fanno valere le loro opinioni al riguardo. Credo che il parere degli uomini di religione non abbia meno diritto di cittadinanza. Su certi temi, per esempio il divorzio, la posizione del mondo ebraico è molto diversa da quella cattolica. Anche sulle questioni riguardanti l’embrione ci sono diversità: secondo la tradizione ebraica, se c’è a rischio una vita, per quella si può trasgredire tutto, compreso il sabato. Se attraverso una manipolazione genetica di embrioni un bambino si salva, come è accaduto recentemente, quello è un atto dovuto. Ma se la ricerca genetica deve servire per fare figli su ordinazione, biondi, alti e con gli occhi azzurri, questo fa rabbrividire e richiama concetti di triste memoria. A questa idea di manipolazione è collegata la morte di milioni di esseri umani nei campi di sterminio nazisti. E vorrei anche ricordare che la soluzione finale del problema ebraico è stata la conclusione di un processo che era iniziato nella società tedesca non contro gli ebrei, ma contro i portatori di handicap che non si volevano più nelle case. Poi da lì è nato quel che abbiamo visto». Non si dica, dunque, che Pacifici pensa solo ai suoi.
di Casadei Rodolfo
(c) 2004 – Editoriale Tempi duri s.r.l. – 4 Novembre 2004
Bravo Amos!
Cari Amici,
vorrei anche io partecipare al dibattito apertosi con le dichiarazioni al Corriere di Amos Luzzatto, anche se a suo tempo mi era sfuggito l’intervento.
Mi stupisco delle critiche alle critiche a Buttiglione, candidato infelice a Commissario europeo alla Giustizia.
Le sue dichiarazioni al Parlamento Europeo eccedessero la imprescindibile libertà di opinione in materia religiosa.
Egli veniva esaminato in sede politica quale è il Parlamento europeo, come previsto per essere valutato idoneo alla carica di Commissario, preposto al delicato settore della Giustizia (non della pesca o altre materie tecniche).
Ricordo da giurista che tra i compiti che attendono il Commissario alla Giustizia c’è quello di cui all’art.13 del Trattato sulla Comunità europea che prevede che la Comunità possa “prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le condizioni personali, gli handicap l’età o LE TENDENZE SESSUALI”
Ciò conformemente all’art.9 del trattato dell’Unione europea secondo cui ” L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”
Come poteva essere considerato idoneo tale a compito un candidato che si manifestava con posizioni da “integralista o fondamentalista cattolico” così come lo ha bollato – a ragione – un giornale come l’Economist? Non a caso giornali francesi (Libération) l’hanno definito “papista”. Si voleva mandare a Bruxelles un Commissario italiano o vaticano?
Come potremmo essere d’accordo noi ebrei, in quanto ebrei senz’altra etichetta, su simili posizioni “politiche” e non solo di “opinioni”? Pensiamo tutti cosa avrebbe potuto succedere se per di più ci fosse stato un riferimento alle “radici cristiane” nel Preambolo alla Costituzione, come voleva strenuamente la Chiesa, a servire da giustificazione a simili posizioni! Voremmo tornare ad essere una minoranza meramente “tollerata”, se non discriminata, come 200 anni fa?
Un approccio “liberale” mi sembra indispensabile ad un Commissario a tale portafoglio!
Bene ha fatto Amos ad esprimersi in proposito, in piena conformità alle reasponsabilità dell’Unione secondo l’Intesa oltre che secondo i valori costituzionali.
Giorgio Sacerdoti
PS Con preghiera di mettere questo mio intervento sul sito.