Dal numero di gennaio di Shalom: Che futuro per l’informazione ebraica in Italia?
David Piazza
È curioso osservare come l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, quando decide di muoversi dal suo immobilismo, spesso riesca ad andare in controtendenza.
Sono mesi che si agita lo spettro di un giornale ebraico nazionale che a molti piace chiamare, chissà perché, “unico”. Uno dei sostenitori più convinti di questo progetto, il mio amico Guido Vitale, giornalista e consulente per la comunicazione all’Ucei, mi ha elencato i possibili vantaggi: l’ottimizzazione delle risorse economiche che le diverse Comunità certo non lesinano, l’autorevolezza di una voce ebraica unitaria, la possibilità di dedicarsi a temi di respiro nazionale che spesso le testate locali rischiano di non avere. Fin qui Vitale.
Sarà utile ricordare che operazioni come quella appena esposta, cioè di fusione tra soggetti diversi per un bene riconosciuto come superiore, per poter riuscire debbono basarsi su un fattore imprescindibile che è la fiducia reciproca tra i soggetti stessi.
Avanziamo qualche moderato dubbio che sia sempre questa l’atmosfera che si respira all’Ucei. Intendiamoci, a livello personale l’attuale Consiglio dell’Unione, sotto la pacata guida di Gattegna, sembra saper lavorare bene e in armonia, affrontando tematiche rimaste disattese per anni. Tuttavia quando si parla di budget e di ripartizione è chiaro che, sotto sotto, ogni consigliere tiene bene in mente la Comunità di provenienza, ed in fondo è giusto che sia così, se no che rappresentanza sarebbe?
Ebbene in virtù di quale ragionamento le Comunità (ognuna con le proprie specificità) dovrebbero abdicare dal loro diritto-dovere di informazione verso i propri iscritti in favore di un nuovo soggetto editoriale in balia di dinamiche politiche non direttamente controllabili? Si ripete da tempo il mantra che l’Ucei non dovrebbe certo essere la 22ma Comunità in Italia in virtù del fatto che riceve i soldini dell’8 x 1000, ma solo un’istituzione di raccordo tra le Comunità e di rappresentanza nei confronti dello Stato. Eppure ogni tanto salta fuori l’idea che recita: “ragazzino, fatti da parte che ora giocano i grandi”.
Certo, se nasce il giornale nazionale le redazioni locali continuerebbero a fungere da sezioni decentrate, ma le redini editoriali sarebbero saldamente centralizzate da una direzione che risponderebbe al Consiglio dell’Ucei
Basta tuttavia osservare dove va l’odierna editoria per capire come il progetto del giornale “unico” potrebbe nascere tecnicamente vecchio e inadeguato e quindi nella controtendenza con cui avevamo iniziato.
Internet infatti offre a ogni singolo utente di PC (o del Mac) la straordinaria capacità di poter diffondere, in assoluta gratuità, immagini e testi che, se ritenuti validi e se opportunamente veicolati, possono essere letti da migliaia di persone. Lo strumento blog, nella sua mostruosa facilità d’impiego, permette, per citare un esempio concreto, ad un abile e pericoloso arruffapopoli come Beppe Grillo di minacciare addirittura la stabilità del sistema politico italiano. Un PC, una testata.
Aggiungerei a questo la notizia che alcuni esperti valutano che il prestigioso e autorevole New York Times possa cessare la pubblicazione della sua versione cartacea entro il 2013, dedicandosi alla sola versione internet, che sembra oramai in grado di sostenersi economicamente visto che i suoi contenuti sono da poco accessibili a tutti e gratuitamente (il sito del Wall Street Journal dovrebbe a breve imitarlo)
Noi ebrei in Italia invece decidiamo di puntare quello che è per noi un bel gruzzoletto su che cosa? Udite, udite, su una nuova rivista cartacea patinata!
Mi sembra però doveroso a questo punto osservare come il futuro dibattito sull’informazione nazionale ebraica (pare che i delegati all’ultimo Congresso Ucei verranno convocati a primavera a Firenze per discuterne) ancora una volta soffra di un vizio tutto italiano: parlare di forma per non parlare di contenuti.
Quello infatti che potrebbe, a mio modesto parere, costituire veramente “un salto di qualità” per l’informazione ebraica in Italia sarebbe da una parte occuparsi maggiormente della nostra identità e dall’altra, sfuttando le capacità di internet, sprovincializzare il piccolo ebraismo italiano.
Per il primo obiettivo si potrebbe quindi iniziare a parlare meno di Shoah e cioè del male che altri hanno fatto a noi e più invece di valori positivi che possiamo come ebrei offrire agli altri; forse anche parlare meno di Israele come Stato e più di Israele come la ormai più grande comunità ebraica del mondo con i suoi mille e contraddittori esempi identititari.
Per il secondo potremmo aiutare maggiormente i nostri iscritti a superare le barriere linguistiche e portare finalmente le voci e le infinite realtà delle Comunità ebraiche nel mondo che spesso si confrontano, o si sono già confrontate in passato con quelle che sono in fondo le stesse problematiche delle Comunità italiane, quelle legate alla delicata costruzione di un’identità di minoranza continuamente minacciata da sollecitazioni esterne culturali, religiose e etiche maggioritarie e quindi più difficili da contrastare. Possibile che per leggere certi dibattiti all’interno dell’ebraismo americano dobbiamo leggere il Foglio di Ferrara?
C’è veramente molto da fare in queste due direzioni. E che ci siano all’opera sei testate giornalistiche o una sola testata potrebbe essere del tutto irrilevante per il nostro futuro di ebrei italiani.