Tanta nostalgia per gli ebrei che vivevano nel silenzio del loro profondissimo spirito ebraico, che non necessariamente si traduceva né in militanza, né in osservanza
Luciano Bassani
Sono nato in una famiglia di ebrei italiani sia di padre che di madre.
La famiglia paterna Bassani /Limentani,di origini venete, si stabilì a Ferrara dove partecipò alla formazione di quell’ambiente intellettuale illuminato di inizio 900 a cui molti ebrei dell’epoca presero parte; il padre di mio padre professore di lettere, tutti i fratelli della madre di mio padre medici, filosofi, letterati.
Erano italiani, erano illuminati e avevano un grande senso di umanità, di filantropismo, di libertà e di tolleranza che rappresentava il loro modo di vivere un profondo senso di appartenza all’ebraismo che seppure non praticato non rinnegavano.
Essere ebrei era per loro un’ intima manifestazione del loro io più profondo che non sbandieravano ai quattro venti nè imponevano a chi li circondava in modo acritico e coercitivo
Quegli anni del primo novecento erano anni difficili, anni di transizione, di cambiamento, anni in cui già si intravvedevano nuvole nere all’orizzonte ma erano anche anni in cui queste grandi famiglie ebree, da non molto sdoganate dai ghetti e riammesse nella società italiana, potevano dare sfogo a quella brama di uguaglianza da tempo sognata, buttandosi a capofitto nei mestieri e nelle professioni liberali con intelligenza ed operosità.
Così scriveva mia nonna paterna vissuta fino all’età di cento anni
“Per i miei figli e nipoti desidero che i miei funerali siano quanto possibile modesti e puramente civili:”sono ebrea per ininterrotta ascendenza paterna e materna, sono ebrea per un insopprimibile legame di affetti e di pensiero”………………. ” della religione ebraica ammiro gli altissimi concetti, le nobili tradizioni, se spogli d’intransigenza, se animati da caldo spirito di fraternità per tutta l’umanità”……….”.e per onorarmi ricordardatevi degli alberi in Israele”…….. “ancora un tenero saluto e un caldo abbraccio da chi tanto vi ha sempre amato”
La famiglia materna Luzzati/ Momigliano di origini piemontesi, da Trino vercellese, prima città dove si insediò in arrivo dalla Spagna, si stabilì poi ad Asti a metà dell’800.
Se la famiglia paterna aveva più una connotazione intellettuale, la famiglia materna aveva più connotazioni rurali, dove le professioni più in auge erano legate alla compravendita di terreni, all’edilizia, al commercio seppure anche in questa casa non sono mancati artisti, critici e letterati importanti, lo zio Attilio Momigliano , il cugino Emanuele Luzzati.
In questa realtà rurale italiana, si viveva di rapporti di buon vicinato con le gente del posto da cui si era benvoluti e stimati e dove il fenomeno dell’integrazione nelle realtà locali conviveva con un ebraismo antico fatto di tradizioni, festività e specialmente di unità famigliare.
Era una vita ebraica semplice, fatta di gesti, di ricorrenze, di gioia di trovarsi e ritrovarsi; si era uniti a baluardo di una società aparentemente benevola e tollerante ma sempre infarcita di antichi pregiudizi che seppur sopiti potevano riaffacciarsi in qualunque momento.
Si viveva però in armonia con la gente con cui si lavorava e che in genere condivideva con gli ebrei italiani molte occasioni sia di lavoro che di festa.
In particolare il rapporto con le famiglie contadine era solido e talora quasi parentale.Essi trovavano nelle famiglie ebraiche un calore, una rettezza morale, una disponibilità all’ aiuto che li affascinava e che creava in loro un grande senso di stima e di rispetto.
Tutto questo avrebbe dato poi i suoi frutti di umanità e solidarietà che molte famiglie di ebrei avrebbero sperimenato durante le leggi razziali quando da queste stesse famiglie contadine furono salvati.
Sono dunque un ebreo italiano, figlio del dopoguerra, essendo io nato nell’aprile del 1954.
Ho passato un infanzia serena nel boom degli anni 60.
Mio padre, uomo d’ingegno e gran lavoratore, amante del bello, curioso per natura, sempre alla ricerca di nuove sfide e di nuovi obbiettivi, trovò nella medicina la via per superare gli anni di sofferenza e aiutare i bisognosi secondo un etica ebraica tramandata nei secoli.
Mia madre, donna buona e fragile, passò da una vita ebraica di provincia coi suoi ritmi e le sue antiche regole ad un mondo milanese più complesso e specialmente si scontrò o meglio fu investita dalla famiglia ebraica, intellettuale di suo marito, dove esistevano delle ferree regole matriarcali a cui bisognava sottostare.
Mia sorella ed io non frequentammo la scuola ebraica, forse perchè non si confaceva al pensiero illuminato di certo ebraismo italiano, ma frequentammo la scuola steinerina a quei tempi più consona al pensiero social chic della buona borghesia milanese.
Poi la scuola pubblica, in cui il proprio ebraismo ritornava nelle ore di esonero dalla religione e nella ricorrenza delle festività importanti.
Il primo contatto con Israele arriva con la guerra dei 6 giorni. Ricordo mia madre e mio padre attaccati alla radio , attanagliati dalla paura della fine imminente di quel piccolo paese apparentemente così fragile e indifeso.
Ricordo scarne immagini in bianco e nero di carri armati , ricordo i soldati israeliani trionfanti. Forse è li che nacque la mia passione e il mio amore per Israele, rinforzato da un successivo viaggio con l’ADEI nel 1968 che confermò questi miei sentimenti.
Gli anni passarono, mio fratello più piccolo approdò alla scuola ebraica, e questo portò in casa un vento nuovo e antico allo stesso tempo, un incontro con un ebraismo diverso ma complementare.
Cambiarono un po’ le frequentazioni o se ne aggiunsero di nuove; una nuova realtà ebraica mi si spalancò davanti,con nuove problematiche, nuove situazioni ma specialmente giovani che in parte condividevano con me una storia antica e problemi moderni.
La FGEI (federazione giovanile ebraica italiana) coi suoi campeggi , i nuovi amici e una bionda ragazza ebrea che non avrei più perduto di vista.
Questo nuovo mondo portò con se nuove realtà, la condivisione di tradizioni ebraiche differenti, portò un matrimonio ebraico e la grande passione per Israele.
Oggi che vivo una mia vita ebraica profonda, oggi che conosco di più la realtà comunitaria, oggi che sono coinvolto in tante attività ebraiche interessanti e per me irrinunciabili, qualche domanda incomincio a pormela nei confronti di questo ebraismo così variegato, multiculturale e iperconflittuale che mi circonda.
Infatti se la Comunità di Milano è uno spaccato della società italiana, se la composizione multietnica della comunità è simile alla multietnia della società italiana, perché assistere impassibili al manifestarsi di un integralismo e di un separatismo esasperato da parte di taluni che distruggono in un attimo quelle regole di solidarietà, di umanità, di “zedacà”cioè giustizia che da sempre hanno contraddistinto l’ebraismo
Perché entrare in certi ambienti ebraici ispira un sentimento di lontananza, di incomprensione, di distanza per il solo motivo che un certo modello di ebraismo non coincide con un altro.
Ma chi sono questi personaggi che si arrogano il diritto di giudicare una tradizione antica, un retaggio fatto di gente , di onestà e di cultura che ha partecipato a traghettatare nel bene e nel male l’ebraismo fino ad oggi?
Ebbene credo di poter dire che, specialmente oggi che viviamo in un mondo globalizzato e appiattente, specialmente oggi che i valori della cultura e della libertà sono con troppa facilità messi in discussione, tutti gli ebrei, di qualunque origine, ceto sociale o credo politico, sia quelli più osservanti le mizvot sia quelli meno osservanti, dovrebbero cercare rispetto reciproco , dovrebbero dare alla società che li circonda un immagine migliore di quella che spesso viene fornita.
Siamo un popolo antico, siamo un popolo unito da tradizioni tramandate di padre in figlio, ognuno di noi ha però dei retaggi culturali unici e particolari che dovrebbero essere salvaguardati e consegnati ai propri fratelli che a loro volta dovrebbero consegnare i loro; sarà solo così che tutto quello per cui per secoli si è lottato, quella fiaccola che nonostante tutto e tutti è ancora accesa, potrà continuare ad ardere
Shalom lecol ha Kehilà