Ancora sull’articolo di rav Di Segni che rispondeva a Guido Fubini su Hakeillah:
Emanuele Calò
L’interessante scambio d’idee fra Rav Riccardo Di Segni e Guido Fubini merita l’inserimento di un terzo, et pour cause. Quest’ultimo lamenta che l’ebraismo italiano s’allontani dalle idee dei suoi grandi uomini del passato, imbevuti, in modo diverso ma tutti a grandi livelli, di spirito democratico ed antifascista. Il primo, invece, fa notare, non senza ragione, che anche gli importanti personaggi del passato chiamati in causa da Fubini si erano allontanati dall’ebraismo, sottovalutando le conseguenze dell’allontanamento dai precetti.
Questo alto dibattito sarebbe ancor più completo se includesse le considerazioni, non dico dei laici, ma di chi non osserva tutti i precetti, ossia, della maggioranza dell’ebraismo, italiano e non.
I personaggi del passato che si sono allontanati dall’ebraismo, quelli d’alto profilo intellettuale, per intenderci, non lo hanno fatto soltanto perché sottovalutavano la rilevanza dei precetti. Il loro distacco dall’ebraismo è forse da attribuire al fatto che consideravano che ogni aspetto vincolato all’ebraismo (compresi i profili identitari) potesse essere felicemente risolto per la via maestra della confluenza in valori più alti: l’illuminismo, il socialismo, l’eguaglianza, e così via. Le dispute fra i fratelli Sereni, Emilio ed Enzo, non riguardavano di certo l’osservanza dei precetti, ma la salvaguardia dell’ebraismo. Tant’è che mi piacerebbe tanto ricordare all’ottimo Fubini che certe posizioni nei riguardi di Israele (non certo le sue, beninteso) fanno pensare che nell’intimo molti vogliano dire: sì, sono ebreo, ma di quelli buoni, che criticano Israele. E con ciò torniamo al punto di partenza, al problema che, ahimè, non è solo religioso, ma è anche sartriano, di quel Sartre delle “Riflessioni sulla questione ebraica” che disquisiva con successo sull’ebreo inautentico: perché ce ne siamo dimenticati?
Con ciò non voglio sminuire la centralità della religione, voglio solo dire che l’ebraismo si permette di essere ancor più ricco, in quanto combina ricchezza religiosa e ricchezza laica. Posso esserne fiero?
Infine, mi piacerebbe che il dibattito investisse anche la fuga dall’ebraismo da parte di ceti autoreferenziali e sedicenti intellettuali, una fuga sulle cui cause sarebbe utile ragionare, perché investirebbero le occulte barriere che l’Italia ha in serbo (ancora) per i suoi figli ebrei.
Vogliamo poi dimenticare i molti matrimoni contratti da ebrei col c.d. privilegio paolino, col quale si ipoteca il futuro della famiglia, impegnandosi in sostanza a NON far seguire ai figlioli la via dell’ebraismo? Ora, privilegio, secondo il dizionario, sarebbe la “posizione giuridica di vantaggio che veniva attribuita con legge o con atto sovrano a un soggetto o a una categoria di soggetti, in deroga alla disciplina comune legislativa o consuetudinaria: privilegi nobiliari, ecclesiastici | il documento attestante tale posizione..” Alla luce di queste definizioni, vien da domandarsi quale vantaggio possa esservi nel consentire a un ebreo di contrarre matrimonio con una persona non ebrea, quando l’ebreo si obbliga a far seguire ai figli una religione che non è certo la sua. Se fosse per davvero una questione meramente terminologica proporrei di sostituire il termine “privilegio” con quello di “resa incondizionata”; se non altro sarebbe più aderente alla realtà.
Insomma, come si potrà agevolmente vedere, i problemi sono un po’ troppo complessi per poterli confinare nella sola dialettica precetti vs. berlusconismo. Da buon ebreo, vorrei andare più in profondità. Magari trovo l’acqua.
Elena Loewenthal
Grazie a Rav Di Segni per questa meditata e anche sofferta risposta – o meglio riflessione a margine della nostalgia pessimistica espressa da Fubini. Condivido in pieno i dubbi, le considerazioni. Perché noi che abbiamo avuto la fortuna di nascere o vivere da adulti e consapevoli in un’epoca storica diversa da quella cui si rifà Fubini, dobbiamo subìre come un handicap il nostro appuntamento mancato con la storia? Quell’ebraismo là era certamente glorioso – venato forse di una distanza (dall’ebraismo appunto) che gli anni e i ricordi sfuggenti hanno ridotto nelle sue dimensioni. Ma il fatto che fosse glorioso sminuisce automaticamente il nostro?
Non credo, e se mi posso permettere una nota personale, continuo a considerare una fatica improba l’essere ebrei. Una fatica benedetta ma tale. A me, personalmente, è costata anche una fatica – non meno immensa – recuperare le trame di una storia di famiglia e un’appartenenza che quegli anni gloriosi avevano sfilacciato – con amarezza tremenda -. perché la lotta per la sopravvivenza, che fosse combattuta in montagna (mio padre) o nascosta in una cantina della Padania (mia madre), era pur costata loro qualche cosa, dopo. Anzi, tanto: la rinunzia volontaria e sommessa, ma non per questo meno dramamtica, a una buona fetta della propria identità. Anche questo, in fondo, faceva parte di quell’ebraismo glorioso.
E noi che siamo venuti dopo, già carichi di non vorrei dire complesso di colpa, ma certo della consapevolezza di non poter condividere con i nostri genitori e nonni il dolore di quel che avevano passato loro – E NON NOI -, dovremmo ora farci carico anche della pochezza di un ebraismo riconquistato con fatica, con benedetta fatica?
Mi spiace no. Sento la mia vita e il mio percorso ebraico come un percorso di gratitudine verso chi mi ha preceduto nella catena delle generazioni nonché di rispetto verso i miei figli. Non vedo perché dovrei avvertire tutto ciò come la spensierata agonia di ciò che ho di più caro. Questa nostalgia presunta per un presunto ebraismo che non c’è più e al suo posto è venuto un fantoccio di ebraismo (IL MIO! l’unico che possiedo, che ho riconquistato e riconquisto ogni giorno), ebbene malgrado la mia affezione per la nostalgia… non mi convince affatto.
Piero Abbina
Premesso che concordo con quanto dice Rav Di Segni credo che un’altro ebraismo sia morto ma già dal congresso precedente.
Sarebbe interessante comprendere e sapere quanti e quali esponenti del nostro ebraismo hanno tratto vantaggio dal fatto di essere membri di del Consiglio UCEI o di altri consigli comunitari.
Vedo che soggetti che non avevano incarichi professionali, accademici o di qualsiasi altro genere dopo una cura di quattro anni di consiglio hanno ricevuto qualcosa e come sicuramente molti hanno lavorato per solo spirito di servizio.
L’ebraismo dei vari Sergio Piperno, Fernando Piperno, Umberto Nahum, Pietro Blayer, Tullia Zevi e tantissimi altri purtroppo non esiste più. E non si tratta solo di tempi che mutano ma sono mutati i modi e lo spirito con cui ci si avvicina alle cose comunitarie.
Grazie per la vostra lettera che leggo sempre con piacere e con l’occasione vi invio il mio cordiale shalom.
Settimio Di Porto
Come al solito il NOSTRO Rav ha espresso con incisività i veri valori ed interessi di chi si sente EBREO nella pienezza della parola e chi fa del suo ebraismo un mezzo per polemizzare a tutti i costi con parole ed atteggiamenti pieni solo di “vuoto a perdere”
Riccardo Hofmann
Trovo il commento di Rav di Segni acuto ed ironico, non pretende di dare risposte, ma cerca di fare luce sulla Storia dell’Ebraismo Italiano Contemporaneo.
Ritengo infatti occorra considerare chiusa l’epoca dell’Ebreo buono necessariamente progressista, detto ciò per me la condanna del Fascismo è assoluta e poco importa che prima del 38 c’erano simpatizzanti o attivisti. Il Fascismo come e più del Comunismo è da condannare come forma di Totalitarismo indipendentemente dalla sua evoluzione ,quale negazione dei diritti del’uomo e dei postulati dell’Ebraismo , a mio modesto parere.
Credo che gli Ebrei della Golà abbiamo oggi un’occasione storica, cadute per il momento le ideologie, di confrontarsi sulle Identità Ebraiche, ciascuno con la sua Storia, Origine e grado di osservanza alle norme, per dare risposte efficaci ai problemi dell’omologazione e dell’assimilazione.
http://www.hakeillah.com/4_06_15.htm