Iaia Vantaggiato
Il premio assegnato l’altro ieri alla professoressa Vered Noam, della Chaim Rosenberg Shool for Jewish Studies and Archaeology di Tel Aviv, andrebbe dedicato a tutte le donne ebree che avrebbero voluto, potuto e forse dovuto studiare la Torah. Donne cui, però, l’accesso allo studio non è stato concesso. Se se ne dovesse indicare una la cui drammatica parabola le riassume tutte, quella sarebbe probabilmente Esther Kreitman, scrittrice il cui valore non è ancora abbastanza riconosciuto, sorella maggiore di due autori la cui grandezza è invece nota a tutti: Israel Joshua e Isaac Bashevis Singer.
Vered Noam, sessantenne, è la prima donna insignita dell’Israel Prize for Talmudic Scholarship. Il presidente della giuria, il rabbino e docente di Talmud Daniel Sperber, ha ricordato ed esaltato il contributo della professoressa Noam alla “comunità scientifica e al pubblico in generale”, sottolineando il suo ruolo “nel rendere la letteratura rabbinica e Talmudica accessibile a tutti gli studenti in Israele”. Sono spesso i particolari, gli eventi apparentemente meno clamorosi, a siglare e segnalare grandi cambiamenti e ad aprire nuove strade. Il premio assegnato a Vered Noam è uno di quelli.
Anche Esther Kreitman, scrittrice di talento, donna di gran carattere e spiccata intelligenza, innamorata dei libri e dello studio, avrebbe potuto meritare riconoscimenti simili, se non fosse nata nella Polonia ost-juden del 1891. Anche lei, come i fratelli minori, avrebbe voluto studiare e i suoi racconti martellano sull’emozione che provava quando – nel villaggio – arrivavano nuovi libri. Un’emozione e insieme un’aspettativa che finiva sempre puntualmente delusa. Lo studio della Torah non le si addiceva, non era materia di competenza delle donne. “Tu non sei niente”, le rivelò bruscamente il padre, un reb chassidico, quando la bimba chiese “Che cosa sarò io?”. La madre veniva da tutt’altra tradizione rabbinica – era figlia del rabbino di Bilgoraj, uno dei più importanti rabbini razionalisti del mondo ost-juden – ma anche per lei la pretesa della figlia di studiare Torah e Talmud evidenziava solo una punta di pazzia e, chissà, fors’anche di isteria. Il suo dovere, va da sé, era sposarsi ed è così che Esther fu costretta a contrarre un matrimonio senza amore a soli 21 anni.
E in fondo Esther può considerarsi a ragione il modello cui si ispirò il fratello Isaac per tratteggiare la protagonista di uno dei suoi racconti più famosi, Yentl, storia di una ragazza che per studiare si finge un uomo; racconto poi portato sullo schermo, nel suo primo e indimenticabile film come regista oltre che interprete, da Barbra Streisand. Come Jentl lei ce ne sono state tante e quasi tutte, alla fine, furono costrette ad accettare il destino che toccava in sorte alle donne: esiliate dalle yeshivòt, nate nel Popolo del Libro ma costrette a tenersi da quel Libro lontane. Quelle che, come Esther, si ribellarono, puntarono i piedi e scelsero di lavorare lo stesso con la penna e l’intelletto pagarono il prezzo salato di una vita infelice, spesso allontanate dalle comunità in cui erano nate e cresciute ma all’interno delle quali non avevano più un posto.
Non è una storia del mondo di ieri. Il comitato che ha assegnato L’Israel Prize a Vered Noam spiega infatti, motivando la propria scelta, che “l’esperienza fondativa di essere una giovane donna chiusa fuori dal beith Hamidrash ha poi determinato il modo in cui la professoressa Noam ha fatto in modo di aprire quelle porte a chiunque volesse entrare e imparare” tanto che è stata lei a dirigere a Gerusalemme uno dei primissimi beit Hamidrash ortodossi per donne. Per Esther Kreitman e per tutte le donne ebree come lei, il premio assegnato ieri è un riconoscimento postumo. E un riscatto.