Poiché la nuvola dell’Eterno stava sul Tabernacolo durante il giorno; e di notte vi stava un fuoco, a vista di tutta la casa d’Israele durante tutti i loro viaggi” (Esodo 40:38). Questo sabato, a conclusione del secondo libro della Torà, leggeremo della “nube” della Gloria Divina che scenderà e avvolgerà il Tabernacolo che Mosè ha appena innalzato. La nube della Gloria Divina, che si era distaccata dal popolo a causa del peccato del vitello d’oro, torna a farsi vedere ed essere di nuovo il segno a cui gli “occhi” dei figli d’Israele devono far riferimento per i loro spostamenti durante il viaggio nel deserto.
Il maestro padovano Mosè David Valle (1696-1777) mette in relazione il sostantivo ענן/nube con il verbo תעוננו/te’onènu del precetto di “לא תעוננו/non praticate magia/illusionismo” (Levitico 19:26).
Il collegamento tra la magia e la nube della gloria divina sta nel fatto che se non abbiamo un corretto e saldo punto di riferimento nella nostra identità ebraica, siamo soggetti a subire l’influenza delle illusioni. Così come accaduto ai figli d’Israele quando il miscuglio di pagani che si unirono a loro quando uscirono dall’Egitto, li indussero alla costruzione del vitello d’oro e a fargli commettere la grave colpa di idolatria.
La frase ambigua fu proprio “questo è il tuo D-o Israele che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto” (Esodo 32:3). L’espressione “tuo D-o” e non “nostro D-o”, “ti” ha fatto salire e non “ci” ha fatto salire, fa capire che il soggetto che parla non è un membro del popolo ebraico, ma un estraneo.
Purtroppo la debolezza degli ebrei in quel momento non gli fa distinguere il vero dal falso, la realtà dall’illusione, anzi gli fa perdere il punto di riferimento principale che li porta a non comprendere che quello che stanno facendo è sbagliato.
La Torà chiama quel miscuglio di pagani “Erev Rav/ערב רב”.
Questa definizione non è casuale, perché se commutiamo le lettere ebraiche con il sistema “ATBaSH-אתבש” (sostituire una lettera con la sua opposta: la prima con l’ultima, la seconda con la penultima ecc.) diventano זגש גש, due parole che anche se non hanno un significato letterale, il loro valore numerico è 613, quanto il numero dei precetti della Torà. Un’illusione può nascondersi dietro un qualcosa che pare abbia senso, mentre la realtà può apparirci intellegibile e richiede per questo una nostra ricerca più approfondita per comprenderla.
Le illusioni, sia che siamo noi a crearle sia che siano gli altri a farlo, non ci permettono di riconoscere più quali siano i nostri doveri che, come insegna Mosè Chayym Luzzatto (1707-1746), non sono percepibili più da noi sostanzialmente per due motivi: l’ignoranza e il confondimento. Non sappiamo riconoscere nelle nostre azioni ciò che è giusto e ciò che è sbagliato oppure ciò che è giusto lo riteniamo sbagliato e quello che è sbagliato lo consideriamo giusto.
Il Tabernacolo ripara la colpa del vitello d’oro e la nube che torna, non solo rappresenta la protezione che D-o ci fornisce, ma è soprattutto un costante punto di riferimento per i nostri occhi, affinché sappiano dove guardare per discernere il bene dal male, la realtà dall’illusione.
La qualità del discernimento è fondamentale, affinché quella “nube” che traccia una via da seguire, non sia trasformata da noi in una “nebbia”, in una cortina di separazione tra noi e il Creatore, tra noi e la realtà in cui siamo stati immersi, tra noi e il percorso che dobbiamo compiere, Shabbat Shalom!