In anteprima per Kolot, un brano dal libro tradotto da rav Colombo: “Seminare e costruire nell’educazione” di rav Shlomo Wolbe, un educatore di grande sensibilità. Il libro verrà presentato giovedì a Milano nell’ambito del Progetto Kèsher
Rav Shlomo Wolbe
Se guardo il Tuo cielo, opera delle Tue dita, la luna e le stelle che Tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché Te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché Te ne curi?34 (Salmi 8, 4, 5)
Quando il re Davìd guardò l’immenso Creato chiese con stupore: “Quali meriti ha mai l’uomo perché il Signore lo abbia tanto in considerazione e lo reputi degno di un ruolo sì importante da affidargli un pikadòn – un pegno?”
Il pegno che il Signore dà all’uomo non è altro che un figlio. Quando un uomo diventa padre deve rendersi conto che ciò è una dimostrazione di fiducia da parte del Santo, benedetto sia, che crede in lui e per questo gli ha affidato un bambino da custodire e curare.
Chi allora dice: “Io ho un figlio”, pronuncia parole dal senso improprio perché i bambini non sono veramente suoi, essendogli stati solo affidati per accudirli e custodirli.
Se qualcuno pensa di dover crescere dei figli per essere curato quando diventerà anziano o per avere qualsivoglia vantaggio, beh, costui si sbaglia perché non è per questo che Dio gli ha dato dei bambini. I figli sono solo in consegna e dobbiamo averne cura, con grande responsabilità e professionalità.
Nella prima parte del nostro lavoro abbiamo ricordato le basi essenziali dell’educazione: la “fioritura” e la “costruzione”. Per fioritura s’intende la crescita spontanea del bambino. Il nostro Maestro Moshè dice: Stilli come pioggia la mia dottrina, scenda come rugiada il mio dire come scroscio sull’erba del prato, come spruzzo sugli steli di grano (Deut., 32, 2-3). La Torà è paragonata alla pioggia che irrorando la terra permette al seminato di maturare spontaneamente. Anche un bambino è una creatura che deve crescere naturalmente. Certamente dobbiamo coltivarlo, prestargli le dovute cure affinché cresca in modo corretto, ma lo scopo educativo deve essere quello che nella sua vita egli sappia prendere da solo delle iniziative e che desideri istintivamente crescere nel suo rapporto con la Torà.
Il Rambàn35 esprime bene questo concetto paragonando le parole delle prime due parti dello Shemà Israèl. Nel primo brano è scritto: insegnerai queste cose ai tuoi figli e tu ne parlerai (Deut., 6, 7). Un docente, un padre o un Maestro deve parlare com’è detto: tu ne parlerai. Nel secondo brano invece è scritto: insegnerete queste cose ai vostri figli affinché loro ne parlino (Deut., 11, 19). Si deve insegnare ai figli le parole della Torà al punto che siano poi essi a volerne parlare. Nel primo stadio di formazione è il padre a dover parlare di Torà ma questo non è lo scopo ultimo bensì quello iniziale. La fase racchiusa nel versetto del secondo brano dello Shemà: insegnerete queste cose ai vostri figli affinché loro ne parlino, si riferisce a figli desiderosi e capaci di trattare spontaneamente i temi sacri e questo è lo scopo educativo per eccellenza.
Un’anima deve fiorire costantemente, non lo dobbiamo mai dimenticare, perciò è nostro preciso dovere considerare le capacità del bambino nel corso delle nostre attività formative.
La “costruzione” dell’uomo invece è frutto dell’abitudine ad un comportamento solido e onesto dettato dall’osservanza dei precetti e da una intensa vita ebraica.
Le due cose assieme, la fioritura e la costruzione, l’anima e l’abitudine all’azione, costituiscono una sana educazione.
Note
34 Tifkedènnu – il termine può essere tradotto in vari modi: a) Te ne curi; b) attribuisci all’uomo ruoli importanti; c) gli dai in possesso un pegno (pikadòn). Rav Wolbe sceglie quest’ultima possibilità. Noi abbiamo qui tradotto il versetto nel senso più comune.
35 Moshé ben Nahmàn Girondi, noto come Nahmanide o Rabbi Moses ben Nahman Girondi o Bonastruc de Porta o ancora col suo acronimo Rambàn (1194 – 1270) è stato un rabbino, commentatore della Torà e del Talmùd, filosofo e medico spagnolo vissuto principalmente a Girono.