Nella Creazione si parla di “Mikvè Hamayim — Raccolta delle acque”. La parola Mikvè (raccolta d’acque) ha la stessa radice di Tikvà (speranza).
Le acque si radunano per creare vita, e la speranza si raccoglie nel cuore per creare futuro. Come l’acqua disseta il corpo, la speranza disseta l’anima: è ciò che ci tiene vivi anche quando tutto sembra arido. Il Mikvè, ovvero la vasca rituale, ci purifica immergendoci nell’origine della vita e del mondo.
Lo stato di impurità di chi viene a contatto con la morte si dissolve nella limpidezza dell’acqua; e così anche chi sperimenta la morte dell’anima — il pensiero di non farcela — ha bisogno di immergersi nella Tikvà, ciò che purifica dal timore e riporta alla fiducia. La speranza non è illusione: è la certezza che la vita può rinascere ancora. La parola Maamin (“io credo”) ha la stessa radice di Amen (“così sia”), come a dire: “se ci credo veramente, così sarà”. Non a caso il canto che si eleva dal passato verso la visione finale del futuro è Ani Maamin, il canto di chi ha sconfitto la morte del mondo. E chissà, forse non a caso l’inno d’Israele si chiama “HaTikvà” – la Speranza, quel canto del popolo che ha attraversato tutti i diluvi della storia e ancora galleggia, portando la vita e la fede. Ma ritorniamo a Noach.
el tempo del Diluvio, il mondo intero divenne un Mikvè: le acque avvolsero la terra come in una grande immersione di purificazione. Quaranta giorni di pioggia, come i quaranta seà — la misura di un Mikvè kasher — misura precisa nel tempo e nello spazio, perché l’impurità del mondo potesse dissolversi e la Creazione potesse rinascere, così come si rinasce uscendo dalla vasca del Mikvè. Così si comprende anche il legame profondo tra microcosmo e macrocosmo, Uomo-Mondo. Nel libro mistico Shiur Komà si parla della “misura del corpo Divino”: non in senso fisico, ma come simbolo del legame tra le membra dell’universo e la manifestazione del Divino. In questo senso l’uomo è olam katan, un piccolo mondo, e il mondo è adam gadol, un grande uomo. Le stesse middot — le stesse energie che scorrono nel corpo umano — scorrono nella Creazione, e la pace è la circolazione armoniosa di questa vitalità. In mezzo a quella purificazione totale, un’unica cosa non affonda: la Tevà di Noach, l’Arca. Il termine Tevà in ebraico significa anche “parola”.
Essa non ha bisogno di essere sommersa per essere pura: è già costruita secondo le misure Divine, si libra sulle acque e diventa il luogo che custodisce la vita. È la lezione eterna: il mondo si purifica, ma la speranza non affonda mai. La Chassidut ci insegna a leggere “Bo el hatevà” – “Entra nell’Arca” – come “Entra nella Parola”, riferita alla tefillà e, più in generale, all’azione potente del dialogo con Hashem.
Le parole della Torà, della preghiera e del colloquio quotidiano con il Creatore diventano la nostra Arca spirituale: ci proteggono dal diluvio di rumori, paure e pensieri distruttivi che minacciano di travolgere l’anima. Anche la frase “Tzoar Taasè Latevà”, non letta come: “Farai un lucernaio per l’arca”, ma Tzoar letto come “Illuminazione”, o meglio Illuminerai la parola, pratica usata nelle meditazioni mistiche, ma anche letta come la “parola è illuminante”. Spiegano i Chachamim: Il Segreto dello studio è studiare a voce alta. Anche molti psicologi parlano del rapporto di fortificazione del pensiero attraverso la parola (cfr libro linguaggio e pensiero). In questo contesto La Torà ci rivela anche il segreto del versetto dei Salmi: “He’emanti ki adaber” – “Ho creduto, perché parlerò”. In altre parole: “Ho realizzato (Emanti – Amen) perché ho parlato”. Credere non è solo pensare: è parlare, dare voce alla fede.
Esiste una relazione indissolubile tra linguaggio e creazione: La parola stessa costruisce realtà, il termine tanto usato nei cartoni animati, “Abracadabra” va letto come “HAbarà KeDaberà-Ha creato quando ha parlato”…E D.o disse sia la luce e luce fu. Attraverso le parole quindi definiamo la nostra esistenza. Quando parliamo con Hashem, come insegnano i Chassidim nella Hitbodedut — la conversazione solitaria con il Creatore — non cambiamo solo noi stessi, ma anche il mondo intorno a noi. Ogni parola di fede è una goccia d’acqua che alimenta il grande mare della speranza universale. Come le acque di ogni sorgente confluiscono infine nel mare, così ogni preghiera, ogni ricerca sincera, ogni atto di bontà conduce al Mikvè, alla Tikvà, alla speranza comune che rigenera l’umanità.
La speranza è il mare interiore dove tutte le anime si incontrano senza annullarsi, come onde di uno stesso oceano che riflettono la luce del Cielo. E in ogni generazione, l’Arca della parola continua a galleggiare, ricordandoci che parlare con fede è costruire futuro — He’emanti ki adaber.
Shabbat Shalom
