“E Noè trovò grazia agli occhi dell’Eterno. Questa è la storia di Noè, Noè fu uomo giusto, integro ai suoi tempi; Noè camminò con Dio” (Genesi 6:8-9).
Questa settimana la Torà racconta la famosa storia del diluvio che Dio mandò sul mondo per annientare tutti gli esseri viventi, risparmiando solo Noè e la sua famiglia e le diverse coppie di specie animale che andarono spontaneamente da lui.
La scorsa settimana, il brano della Torà si chiudeva con un verso di cinque parole e ci informava che, mentre il resto del mondo il resto del mondo sarebbe perito per la sua malvagità e immoralità, “Noè trovò grazia agli occhi di Dio”.
Il mistico Rabbì Moshe Alshich (1508-1593) trova significativo il fatto che quando la Torà parla di Noè che guadagna la grazia di Dio, usa il Nome tetragrammato che esprime l’attributo della misericordia divina. L’implicazione del versetto, spiega Alshich, è che Noè non meritava veramente la grazia di Dio e fu solo grazie alla grande misericordia di Dio che Noè fu giudicato favorevolmente e risparmiato.
Il motivo per cui Noè non meritava veramente di essere salvato, scrive l’Alshich, si trova nel verso di apertura del brano della Torà di questo sabato dove è scritto “Et HaElokim Hithalekh Noach/Noè camminò con Dio”. Noè agì giustamente, ma rimase “con Dio”, cioè non si è rivolto alla gente nel tentativo di influenzarla ed elevarla e magari salvarla. Noè si concentrò solo sulla propria devozione, sulle proprie conquiste spirituali, senza cercare di avere un impatto sui suoi contemporanei. Fu quindi solo grazie alla gentilezza e alla compassione di Dio che fu risparmiato.
L’Alshich, si inserisce sul solco di quei commentatori che interpretano negativamente l’espressione “tamim hayà Be’dorotav/era integro ai suoi tempi”. Noè era considerato in quel momento giusto solo per gli standard di giustizia del suo tempo. Se fosse vissuto ai tempi di Mosè o Samuele, commenta il Midrash, non sarebbe stato considerato giusto.
L’Alshich spiega che sia Mosè sia Samuele, lavorarono instancabilmente per insegnare e far elevare spiritualmente il popolo ebraico. Mosè trascorreva i suoi giorni con il popolo, che andava da lui per portargli le loro domande sulla Torà e le controversie da giudicare. Samuele, ogni anno, viaggiava attraverso il paese per offrire i suoi insegnamenti e la sua guida. Noè non fece nessuna delle due cose. La gente non andava da lui e lui non si rivolgeva alla gente. Era giusto solo per quanto riguarda la sua relazione con Dio, senza cercare di avere un impatto positivo sugli altri.
L’Alshich aggiunge che questo è il motivo per cui Dio decise che Noè sarebbe stato salvato trascorrendo un anno nell’arca. Questa fu una dura prova, poiché Noè rimase recluso per dodici mesi, incapace di uscire e persino di dormire, poiché era responsabile di nutrire gli animali che mangiavano in orari diversi.
L’Alshich scrive che l’anno trascorso da Noè nell’arca simboleggia i dodici mesi che i malvagi trascorrono nel Gehinam ricevendo la dovuta punizione. Questa simbologia trova conferma nel comando divino, dato a Noè per la costruzione dell’arca, di intonacare/wechafarta” l’interno e l’esterno con il catrame (Genesi 6:14). Questa parola ha il significato di “copertura” ma, nella stessa radice, troviamo anche quello di “Kaparà/espiazione.
La sofferenza che Noè sopportò durante tutto il periodo trascorso nell’arca, servì non solo a proteggere lui e la sua famiglia dal diluvio, ma anche a espiare il suo fallimento nel raggiungere le persone della sua generazione.
Il nostro ruolo in questo mondo non si limita solo a servire Dio per noi stessi, per un nostro esclusivo dovere, ma deve anche espandersi all’infuori di noi e cercare di avere un impatto benefico per chi ci circonda. Per influenzare e ispirare gli altri verso il bene, per fare la nostra parte nel condurre il mondo intero alla fede nell’unico Creatore e al compimento della Sua volontà, Shabbat Shalom!