In Germania la memoria del conflitto è appannata dal dibattito sul nazismo Al Museo israelitico l’omaggio a quanti nell’impero combatterono sui vari fronti
Nicolò Giraldi
Identificare il fronte occidentale con Verdun è semplice. Dopo tre notti e quattro giorni nei quali l’immaginazione della Grande Guerra viene retrocessa definitivamente, confermando in questo modo l’assoluta necessità dell’esperienza diretta, mi dirigo verso un luogo tedesco in terra francese. Strasburgo durante la pianificazione del viaggio, assume da subito i contorni di un ponte, di un insieme condiviso, una terra dipinta dall’occhio di un artista straniero, descrizione di uno sguardo mobile.
E Strasburgo si mosse. Un’altalena confusa tra il 1870 e la fine del disastro nazista, affermando per ben due volte la sua contrarietà alla reclàme tedesca. Fu territorio alemanno per tutta il conflitto. Con il trattato di Versailles e la forza dei vincitori, la Marsigliese, composta proprio qui il 25 aprile del 1792 da Claude Joseph Rouget de Lisle, ritornò a marciare nelle strette vie del centro. Il padrone della casa dove venne scritto l’inno era il sindaco Frédéric de Dietrich, dal cognome non propriamente francese. Ma la città alsaziana è confine tra due mondi, e la lettura diventa consapevole perché “el nostro dialetto” compare a casa di Barbara Morovich, antropologa e triestina di Strasburgo, la quale mi ospita per un paio di notti. “Qui le persone vanno a far la spesa in Germania perché costa meno” mi dice Barbara. “La de noi la costa cara” diventa così per me epifania, qualcosa di tangibile, l’ennesima dimostrazione che in fondo, Strasburgo, non è di nessuno bensì di chi, vivendola, trovi una ragione per non renderla esclusivamente pre o post Sedan.
Così il passaggio in Germania trasuda tutta la sua iniziale e teorica semplicità. Beata innocenza. Non sarà così ad Aichelberg, dormirò all’aperto, le campagne del Baden Wurtemberg mi faranno compagnia con gli oceani di alberi di ciliegie e Nellingen mi farà risentire il dialetto napoletano mischiato al tedesco.
Quando arrivo a Stoccarda il lunedì di Pentecoste trovo una città deserta, popolata solamente dai baristi di Starbucks e da alcune melodie dispari di fiati balcanici. Chiedo se posso far mia un po’ di quella musica che in fondo mi ricorda la mia vicinanza al confine e la stessa propensione ad est che Trieste sembra concretamente non possedere più da anni. Cecità delle amministrazioni, ritiro dorato per tutti quelli che han vestito l’est e che il destino li ha condannati a prendersela un po’ con le stelle rosse, un po’ con le maschere della Democrazia Cristiana. Finendola magari con la nuova discoteca in ghetto. Alla fine il dispari balcanico pretende dei soldi. In fondo mi ha riportato a casa per un attimo. E ricordato che la strada é ancora lunga e che in Germania ci son venuto con un’idea ben precisa cerco la memoria tedesca della Grande Guerra. “La mostra che abbiamo allestito è realizzata anche con l’intento di coinvolgere i giovani” mi spiega Thomas Schnabel, direttore della Haus der Geschichte, dove “La Guerra e i sensi” prevede un’ampia sezione sulla percezione sensoriale del conflitto. “Per la prima volta l’Europa si ritrova ad affrontare, tutta unita, un evento che la coinvolse cent’anni fa. Noi vogliamo dare il nostro contributo”.
Stoccarda si mostra diversa. Quando arrivo ad Ulm, la gente non risponde alle domande, chiede di non venir filmata perché “se dicessi quello che penso potrei rischiar grosso”, così un signore in bicicletta, oppure “non sappiamo molto”. Unica consolazione una coppia di giovani. “La prima guerra mondiale? La si salta, passando da Sedan al nazismo, considerandolo più importante. Noi sappiamo che dibattere della Seconda guerra mondiale è assolutamente necessario tuttavia crediamo che per quanto riguarda la Prima, a scuola non si faccia abbastanza “.
Ad Augusta la sensazione è molto simile. La Germania ha appena vinto una partita del girone in Brasile e le strade si colorano. “È l’unico momento in cui il popolo tedesco sembra non aver timore di mostrarsi con una bandiera sventolante” mi confida Irmgard Hoffmann, responsabile per “Die Kirchen und der Erste Weltkrieg” conferenza sul ruolo della chiesa di Augusta durante il conflitto. “La chiesa tentò di far sentire la propria voce sull’onda dei richiami di Roma, anche se non sempre ci riuscì”. Da Augusta riparto e vado verso Monaco di Baviera con la speranza di trovar qualcosa. Ed infatti mi rallegro che nella capitale della Baviera qualche segno del ricordo c’è. “Qui a Monaco ci sono diverse iniziative sulla Grande Guerra” mi dice Karolina Kühn, curatrice della mostra su Robert Musil e che verrà anche in Italia, più precisamente a Merano. “Vorremmo metterci in contatto anche con gli uffici del Comune di Trieste per capire se può interessare”. “Per Musil c’è sempre questa altalenante sensazione di euforia e depressione assieme. Sia quando si trovava sull’Isonzo, sia in Tirolo a Bolzano presso il comando austroungarico. I suoi diari e le sue testimonianze, anche se a volte sottovalutate, dimostrano come quella guerra fu un qualcosa di fortunatamente irreplicabile”. E mi saltano all’occhio le sue pagine riprese da Peter Englund in “La bellezza e l’orrore”, una sorta di testo sacro, regalatomi dal ricercatore triestino Diego D’Amelio, per lo studio della Grande Guerra.
Ulrike Heikaus è la curatrice della mostra messa in piedi dal Museo ebraico di Monaco sugli ebrei tedeschi che vestirono l’uniforme del II Reich e che partirà la prima settimana di luglio. “Per noi è un dovere ricordare come da sudditi dell’Impero migliaia di ebrei combatterono sui diversi fronti”. È un groviglio, forse comincio ad essere un po’ stanco, forse ho solamente voglia di mettere in ordine i chili di materiale che ho raccolto.
Quando da Monaco Marco Miloni, triestino e medico specializzando in Baviera, mi offre un passaggio verso le Dolomiti, non riesco a non pensare ai volti di quei soldati, compagni di trincea di chi quindici anni più tardi, li trasformerà in nemici da sterminare. (7. segue)
03 luglio 2014
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2014/07/03/news/monaco-ricorda-in-una-mostra-gli-ebrei-in-divisa-del-ii-reich-1.9532842#gallery-slider=1-9515307