Esiste la possibilità di leggere i passi halakhici della Torah in chiave allegorica. Questo ci consente di scoprire il significato più profondo delle norme. E’ ciò che il No’am Elimelekh compie. I primi versetti della Parashah odierna, per esempio, sono relativi all’istituto della schiavitù che oggi non esiste più. Dandone una lettura simbolica, egli ha senz’altro il merito di riattualizzare e rendere rilevante anche per noi un aspetto della Torah che altrimenti rischieremmo di considerare superato. Il ‘eved ‘ivrì è la metafora di un Giusto. La parola ‘ivrì è interpretata come se avesse l’iniziale alef al posto della ‘ayin (le gutturali tendono a scambiarsi: cfr. R. Eli’ezer b. Ya’aqov in Berakhot 32a) e fosse dunque con essa con evrah che significa “ala”, come nel versetto be-evratò yasekh lakh: “(D.) ti proteggerà con la Sua ala” (Sal. 91,4). Ma può anche significare che l’ebreo è colui che sa “volare alto”. All’ala allude anche un’altra parola del nostro testo: gaf.
Il ‘eved ‘ivrì che serve il padrone per sei anni e il settimo esce in libertà è una metafora dell’Ebreo che serve il S.B. La nostra vita attiva, afferma il No’am Elimelekh, è secondo la Torah di sei decadi. Cfr. Giob. 5,26: tavò be-kèlach eley qàver: “entrerai nella tomba nella tua vecchiaia” e il valore numerico di be-kèlach è appunto 60. Con la settima decade gli interessi di questo mondo cominciano a sfuggirci ed è opportuno che ci si dedichi maggiormente al Servizio Divino e a concentrarci sul nostro destino. A partire da questa età la persona non è più soggetta alla pena Divina del karèt. Nel Talmud si racconta che per questo motivo quando Rav Yossef compì 60 anni fece una festa per tutti i Saggi (yomà tavà le-Rabbanan) dicendo: sono uscito dal Karèt (nefàqi li mi-karèt; Mo’ed Qatàn 28a). Lo si evince dal fatto che sui “morti del deserto” era stata decretata la morte dai vent’anni in su per quarant’anni, cioè fino ai sessanta (Tos. ad loc., s.v. U-mitah; a Shabbat 25a s.v. Karèt; Rashì a Bemidbar 14,33).
Nella Parashah si configurano tre diverse possibilità. La prima è che il Giusto sia tale dal ventre materno, cioè detenga il livello più alto (tzaddiq gamur me-rechem). Di questi il verso dice: im be-gappò yavò be-gappò yetzè: “se sarà giunto (in questo mondo) con la sua (sola) ala, con la sua ala uscirà (da questo mondo)”. Egli vivrà senza trasgressioni e senza inciampi. E’ l’eventualità più nobile, che tuttavia è riservata a pochi. La seconda possibilità è rappresentata dal servo “ammogliato”. La moglie rappresenta qui le attrattive terrene che accompagnano la persona in questo mondo. Non è per forza detto che tutto ciò sia negativo. Il versetto dice: im ba’al ishah hu weyatzeah ishtò ‘immò “se è già ammogliato, sua moglie uscirà con lui”. Spiega il No’am Elimelekh: se il Giusto saprà assecondare ai suoi desideri materiali nel modo giusto, saranno i suoi stessi meriti ad accompagnarlo nell’aldilà.
Infine, la terza possibilità è intermedia: quella del Giusto completo cui tuttavia il S.B. voglia offrire sporadiche occasioni di distrazione, affinché si rafforzi e faccia Teshuvah. Nel linguaggio dei versetti è questo il caso in cui la “moglie” sia offerta al servo dal Padrone stesso. Di questa “moglie” è detto: we-yaledah lo vanim o vanot: “ed essa gli partorisca figli o figlie”. Si tratta delle Mitzwòt che il Giusto compie in vita sua, come dice l’espressione: toladoteyhem shel tzaddiqim ma’assim tovim (Rashì a Bereshit 6,9): “ciò che i Giusti generano sono le buone azioni”. In questo caso le Mitzwòt ritornano a H. insieme alle occasioni che le hanno procurate, mentre il Giusto lascerà questo mondo indenne. C’è a questo punto un’ulteriore eventualità. Che il Giusto, prima di lasciare questo mondo, si innamori a tal punto del suo Padrone e delle Mitzwòt compiute in questo mondo da non volerlo lasciare. Sarà a questo punto il Padrone a vincolare il suo orecchio alle porte del Bet ha-Midrash affinché studi Torah tutto il tempo e ascolti le parole dei suoi Maestri wa’avadò le-‘olam: “e servirà il S.B. per sempre”.
Questo commento ci suggerisce due ordini di considerazioni: 1) Oggi viviamo mediamente più a lungo dei 70 anni preventivati nel testo. La “terza età” dura più di dieci anni, al punto che non si esita a parlare ormai di “quarta età”. Grazie a D. molti di noi giungono all’età della pensione con le forze ancora fresche. Mettiamo a frutto questa opportunità assai meno rara che in passato. Dedichiamoci a fare ciò che gli impegni di lavoro affrontati finora non ci permettevano di svolgere. Studiamo Torah. Partecipiamo al Minian nel Bet ha-Kenesset. 2) Questo impegno non comporta per forza una rinuncia ai beni materiali precedentemente acquisiti. Il No’am Elimelekh insiste particolarmente sul fatto che i beni materiali, se ben adoperati, sono essi stessi fonte di merito. A questo punto mettiamo tutta la nostra personalità, la nostra cultura e la nostra forza al servizio di H.