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Mishnah 1
- Chi mangia un kezait (equivalente di un’oliva) di chametz durante Pesach è passibile della pena del karet (Es. 12,15). Questo riguarda solo il chametz vero e proprio, ma non del chametz che sia mescolato con altre cose (ta’arovet). Se però si mangia un ke-zait di chametz contenuto nel miscuglio nel tempo in cui si può consumare mezza pagnotta (l’equivalente di tre o quattro uova in base alle opinioni – kezait bikhdè akhilat peras, vedi Mishnah ‘Eruvin 8,2) trasgredisce al divieto “kol machmezet lo tochelu” ed è passibile di fustigazione. La mishnah elenca dei miscugli in cui è contenuta una quantità inferiore di chametz e dei tipi di chametz non commestibile. Secondo il Ran e Bertinoro la Mishnah intende insegnarci che anche se per mezzo di essi non si trasgredisce al divieto “bal yeraeh – non si veda”, è comunque necessario eliminare questo chametz alla vigilia di Pesach. Le Tosafot (Pesachim 42a) non sono tuttavia di questo avviso.
- Questa salsa è un miscuglio di siero di latte, briciole di pane secco e sale.
- Questa birra veniva preparata ammollando dell’orzo nell’acqua.
- In questa varietà di aceto è presente dell’orzo.
- Questa bevanda conteneva orzo, curcuma e sale. Le quattro bevande elencate sono chiamate “arba’ah minè medinah – le quattro specie nazionali”, che contengono del chametz, ma non in quantità tale da portare alla punizione del karet.
- I tintori usano nel lavoro questo miscuglio di crusca e acqua.
- Questo amido, derivante da grano non maturo, veniva usato per assorbire i residui di cibo.
- Questa colla, che veniva utilizzata per incollare i fogli, conteneva della farina. Le tre specie menzionate nella mishnah sono chiamate “sheloshah minè umanuiot – le tre specie professionali”. Si tratta di chametz non commestibile.
- La ghemarà ritiene che i “tachshitè nashim” siano delle spezie mescolate a farina usate a scopo depilatorio. Secondo R. Eli’ezer, al contrario dei chakhamim, è necessario eliminare anche un miscuglio non commestibile contenente chametz.
- Il chametz deriva dall’unione di uno dei cinque cereali con acqua, ma non con succhi di frutta (Bertinoro).
Mishnah 2
- Il caso di cui si parla è quello in cui il chametz serve a mantenere la struttura della madia o a tappare un buco. Se non svolge quella funzione, anche se è inferiore al volume di un’oliva deve essere eliminato, perché potrebbe dimenticarsi ed estrarlo di lì (Bertinoro). Secondo altri potrebbero esserci nella struttura varie piccole quantità di chametz e potrebbe raccoglierle (Meiri). Per quantità superiori ad un’oliva è necessario invece eliminarlo in ogni caso.
- Se c’è una quantità di chametz superiore al volume di un’oliva, avrà una propria importanza, ed entrando a contatto con qualcosa di impuro non trasmetterà l’impurità alla madia. Infatti “il cibo non rende impuro un recipiente”. Per una quantità inferiore ad un’oliva il chametz è considerato invece parte integrante della madia, e quindi le trasmette impurità.
- Negli altri giorni dell’anno, in cui il divieto del chametz non è rilevante, diviene determinante l’atteggiamento soggettivo del padrone rispetto ad esso: se vuole eliminarlo, non è da considerarsi parte integrante del recipiente, e quindi non trasmette impurità; se intende invece che rimanga lì sarà considerato parte integrante del recipiente ricevendo quindi l’impurità, indipendentemente dalla sua quantità.
- Si tratta di un impasto nel quale non sono riconoscibili i segni della fermentazione, simile a un sordo, che non risponde quando gli si parla e non ha alcuna reazione. Alcuni dicono che viene chiamato “impasto sordo” perché se lo si batte con la mano emette un suono sordo (Rambam); altri spiegano “impasto di coccio – cheres”, perché questo impasto è duro come il coccio e non si capisce se ha lievitato o meno.
- Se un altro impasto preparato assieme ha lievitato, anche l’altro impasto sarà proibito. Se non c’è un altro impasto, la ghemarà fornisce una misura, quella in cui una persona normale percorre un miglio (duemila cubiti), corrispondente, secondo il Rambam, a 2/5 di ora. Secondo un’altra opinione si tratta di 18 minuti. Se quindi è trascorso questo tempo dal termine della preparazione dell’impasto, quest’ultimo sarà proibito.
Mishnah 3
- Questa Mishnah affronta il tema del prelievo della challah per un impasto resosi impuro durante un giorno di Yom Tov di Pesach. Per un impasto puro, viene prelevata la challah e la si cuoce subito per il kohen, per non farla lievitare. Il kohen non può però consumare la challah impura, e per questo è vietato cuocerla di Yom tov, in quanto si tratta di una cottura inutile. Parimenti non è possibile bruciarla, perché non si bruciano cose consacrate di Yom tov. Non è permesso neanche smaltirla affidandola ad un cane appartenente ad un kohen, poiché non si eliminano cose consacrate di Yom tov. Inoltre non è concesso dare agli animali del cibo ancora commestibile per gli uomini (Ran, Meiri). In altri giorni festivi, si preleva la challah, per bruciarla all’uscita del giorno festivo. Questa modalità non è però considerabile per Pesach, perché in questo modo l’impasto lieviterebbe.
- Secondo R. Eli’ezer non si designa la challah sino a dopo la cottura; in questo modo la cottura di tutti i pani preparati risulta necessaria; terminata la cottura si designa la challah, che viene bruciata all’uscita del giorno festivo. La regola finale segue l’opinione di R. Eli’ezer (Bertinoro).
- Secondo R. Yehudah ben Beterà la parte di impasto prelevata viene immersa in acqua fredda, ed in questo modo non lievita. Secondo la sua opinione infatti la cottura dell’impasto che poi verrà considerato challah è inutile, perché non sarà consumabile. R. Eli’ezer non accetta questa idea, perché teme che non si faccia sufficiente attenzione e l’impasto lieviti (Tosafot).
- Secondo R. Yehoshua non ci si deve preoccupare, dal momento che quando la challah viene prelevata l’eventuale chametz non appartiene più al padrone, mentre è vietato tenere del chametz di propria proprietà durante Pesach, e non quello di altri. Al termine del giorno festivo l’impasto viene bruciato come negli altri casi.
Mishnah 4
- Anche se l’ultima donna dovrà attendere che le altre due terminino la cottura, secondo Rabban Gamliel non ci si preoccupa che l’impasto lieviti.
- Secondo R. Aqivà non tutte le donne sono ugualmente sollecite; ugualmente vi è della legna che non è adatta per la combustione e vi sono forni che si scaldano molto lentamente; è possibile quindi che per rallentamenti determinati da tali cause l’impasto lieviti. Per questo motivo è preferibile l’opinione dei Maestri; in questo modo infatti, occupandosi continuamente dell’impasto, anche per molto tempo, questo non lieviterà.
- Battendo l’impasto con le mani dopo averle bagnate in acqua fredda, il processo di fermentazione si interrompe.
Mishnah 5
- Il consumo di un impasto non completamente lievitato durante Pesach non comporta la pena del karet, poiché si tratta di chametz non commestibile. Secondo Rabbì Yehudah questo impasto è riconoscibile perché ha delle fenditure simili alle antenne di una cavalletta, una da una parte e una da un’altra, che non si incrociano (Rashì). Quando le fenditure si incrociano il processo di lievitazione è in uno stato più avanzato, e il consumo dell’impasto comporta la pena del karet. Secondo i chakhamim in entrambi i casi si è passibili di karet, come se si mangiasse del chametz vero e proprio. La presenza di fenditure visibili rivela infatti la presenza di altre fenditure nell’impasto.
- Secondo i chakhamim il segno per esentare chi consuma l’impasto dalla punizione del karet è che questo è bianco, come una persona alla quale si rizzano i capelli per la paura. La regola finale segue l’opinione dei Maestri (Bertinoro).
Mishnah 6
- Dal momento che di Shabbat è proibito bruciare il chametz, se il 14 di Nissan capita di Shabbat sarà necessario eliminare il chametz in precedenza, lasciando in un luogo nascosto quello necessario per i pasti sabbatici sino a quando sarà consentito mangiare il chametz.
- Secondo i Maestri è possibile smaltire il chametz durante lo Shabbat, dandolo da mangiare ad altri e agli animali sino a quando è consentito.
- Secondo R. El’azar c’è una differenza fra la Terumah e il resto del cibo, perché la prima può essere consumata solamente da pochi soggetti. La regola finale rispecchia questa ultima opinione.
Mishnah 7
- Quando si celebrava un fidanzamento l’uso era quello di organizzare un pasto festivo in casa del suocero.
- La mishnah fissa una differenza fra azioni che costituiscono delle mitzwot, per cui se vi è il tempo di eliminare fisicamente il chametz e compiere la mitzwah ci si comporta in questo modo, e azioni che presentano pericoli di vita; in tal caso è sufficiente annullare il chametz in cuor proprio, senza tornare ad eliminare fisicamente il chametz. Secondo la Torah infatti l’annullamento mentale è sufficiente.
- Se il motivo per cui stava andando non era legato ad una mitzwah, ad esempio se stava andando per fare l’eruv techumin, e potersi spostare per ulteriori duemila cubiti durante il giorno festivo non a scopo di mitzwah, dovrà tornare immediatamente a casa per eliminare fisicamente il chametz. Se lo scopo per cui stava facendo così invece è una mitzwah, ad esempio visitare delle persone in lutto, il caso è assimilabile ai primi riportati nella mishnah (Bertinoro).
Mishnah 8
- Alcune categorie di sacrifici, definite qodashim qalim, possono essere consumate in tutta Yerushalaim, e non solamente all’interno del Santuario. Uscendo da Yerushalaim tali sacrifici vengono invalidati e devono essere bruciati. Il limite in questo caso è costituito dalle mura della città (Bertinoro).
- Secondo Rashì si tratta del nome di un’altura da cui è visibile il Tempio, secondo Tosafot Yom Tov e Tiferet Yisrael si tratta dei monti che circondano Yerushalaim, dai quali è visibile la città. In tal caso non si costringe chi è uscito a ritornare al Tempio (Bertinoro).
- Il termine birah può essere riferito al cortile del Tempio o al Monte del Tempio.
- Secondo vari commentatori è necessario infatti bruciare i sacrifici invalidati nel luogo in cui sarebbero dovuti essere mangiati. Secondo alcuni viene detto di tornare al Santuario dal momento che il soggetto di cui si parla non ha della legna propria, in quanto non vive a Yerushalaim.
- Secondo R. Meir la quantità di carne o di chametz necessaria per tornare si impara dalle regole di purità. Del cibo, per trasmettere impurità, deve avere il volume di un uovo. Per quantitativi inferiori, per il chametz è sufficiente l’annullamento mentale, mentre la carne viene bruciata sul posto.
- Secondo R. Yehudah il criterio non è quello della trasmissione dell’impurità, ma quello della misura che comporta la trasgressione del divieto, in entrambi i casi l’equivalente del volume di un’oliva.
- Secondo i Maestri c’è una differenza fra la carne, che ha una regola più rigorosa, e si deve tornare per l’equivalente di un’oliva, e il chametz, che ha criteri meno stringenti, e si deve tornare per l’equivalente di un uovo. La regola finale segue l’opinione dei Maestri.