Come acquisire l’umiltà e allontanare ciò che la ostacola
http://www.anzarouth.com/2011/01/mesilat-yesharim-23-acquisire-umilta.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Tutti questi pensieri sono veramente degli antidoti contro l’orgoglio e stimolano l’umiltà. Difatti, quando l’uomo osserva la sua modesta materia e la miseria delle sue origini, non ha più nessuna ragione di insuperbirsi e [dovrebbe] piuttosto arrossire e vergognarsi. Questo caso assomiglia a quello di un allevatore di porci che diventa re: quando gli vengono in mente le sue origini, non può insuperbirsi. E quando pensa che alla fine di tutte le sue glorie tornerà alla terra, in pasto ai vermi, a maggior ragione la sua superbia si inchina ed egli dimentica la sua potente supremazia.
Infatti, cosa c’è di bene e di grande in chi è destinato all’onta e alla vergogna? E quando ci pensa ancora e immagina il proprio ingresso nel grande tribunale della schiera celeste, quando si ritroverà davanti al Re, il Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia, perfezione di santità e purezza, e alla ristretta cerchia dei valenti servitori, agenti della Sua parola, privi di qualsiasi difetto; e lui, in piedi davanti a loro, misero, indegno e spregevole per via della sua natura, oltre che impuro e immondo per via delle sue azioni, potrà forse alzare la testa? Avrà qualcosa da dire? E quando gli chiederanno: “Dov’è la tua bocca? Dove sono la tua grandezza e gli onori di cui ti fregiavi durante la tua vita?” Cosa risponderà, cosa ribatterà a ciò che gli verrà rimproverato? Se l’uomo si raffigura nella sua mente questa realtà, dipingendola con tratti realistici ed efficaci, di certo tutto il suo orgoglio svanirà completamente per non tornare mai più[1].
Il secondo [argomento riguardo alla riflessione] è la volatilità degli eventi temporali e la moltitudine dei cambiamenti: il ricco può facilmente diventare povero, il dominatore trasformarsi in servo, chi è stimato venire disprezzato. E se l’uomo può così facilmente ritrovarsi in una situazione che oggi gli appare ignobile, come può allora inorgoglirsi per la sua posizione, che non gli è garantita? Quanti tipi di malattie possono colpire l’uomo, che D-o ce ne scampi, e costringerlo a supplicare personalmente qualcuno che può aiutarlo, sostenerlo o lenire parzialmente le sue sofferenze? Quanti guai possono bersagliarlo, che D-o ce ne guardi, costringendolo ad andare a cercare 4 molte persone – alle quali una volta disdegnava di porgere il saluto – affinché diventino ora i suoi salvatori? Vediamo queste cose quotidianamente con i nostri occhi: esse sono sufficienti a cancellare la superbia dal cuore dell’uomo e a vestirlo di modestia e di umiltà.
E quando rifletterà ulteriormente ai suoi doveri nei confronti del Signore benedetto[2], a quanto li abbia tralasciati e a quanto poco se ne occupi, certamente proverà vergogna e non orgoglio, imbarazzo e non superbia, come è detto (Geremia 31, 18-19): “Ho ben sentito Efraim lamentarsi […]; perché dopo aver fatto Teshuvà mi sono pentito, una volta presa coscienza mi son battuto la gamba, mi vergogno e mi avvilisco ecc.”. Che rifletta sempre a ogni cosa per prendere coscienza della debolezza della mente umana e delle sue numerose illusioni e fallacie: esse fan sì che sia sempre più probabile cadere in errore piuttosto che ottenere la vera conoscenza. Perciò bisogna avere un timore costante di questo pericolo, cercare sempre di imparare da ogni persona e di ascoltare sempre i consigli per non andare allo sbando, come dissero i Maestri di benedetta memoria nelle Massime dei Padri (Avot 4, 1): “Chi è saggio? Colui che impara da ogni persona[3]“. Come è detto (Proverbi 12, 15): “Chi ascolta un consiglio è saggio”.
Tuttavia, gli ostacoli a questa virtù sono l’abbondanza e l’appagamento nei beni di questo mondo, come il testo biblico dice esplicitamente (Deut. 8, 12-14): “Per evitare che tu mangi, ti sazi, […] e che il tuo cuore si insuperbisca ecc.[4]“. Perciò i devoti sono giunti alla conclusione che è bene affliggersi di tanto in tanto, per mortificare l’istinto d’orgoglio che cresce solo in mezzo all’abbondanza, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Berakhot 32a): “Il leone non ruggisce 5 da una cesta di fieno ma da una cesta di carne[5]“.
Gli ostacoli principali sono comunque l’ignoranza e la carenza di vera conoscenza 6. Infatti, si può notare che l’orgoglio abbonda proprio tra le persone più ignoranti. E i Maestri di benedetta memoria dissero (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 24a): “L’ignoranza della Torà è un segno di volgarità”. E dissero anche (Zohar, Parashat Balak – Vol. 3 foglio 193b): “La vanagloria è un segno di ignoranza”. E anche (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 85b): “Una monetina dentro una bottiglia fa tanto rumore”. E anche (Midrash Bereshit Raba 16, 3): “Chiesero agli alberi infecondi: ‘Perché si sente la vostra voce?’ Essi risposero: ‘Affinché almeno la nostra voce sia udita e ricordata’.” E abbiamo già visto che Mosè, il migliore di tutti gli uomini, era [anche] il più umile di tutti gli uomini 7.
Un altro ostacolo all’umiltà è la compagnia e la frequentazione di adulatori, i quali lodano e esaltano qualcuno per carpirne il cuore e trarne dei benefici, esagerando al massimo le sue virtù e inventandone altre che proprio non possiede. E anzi, a volte costui possiede [proprio le caratteristiche] opposte a quelle che vantano in lui. E in fondo l’animo dell’uomo è lieve, la sua natura è debole e si lascia tentare facilmente, a maggior ragione riguardo a cose cui già tende per natura. Perciò, quando ascolta quelle lodi da qualcuno in cui ha fiducia, esse penetrano in lui come un veleno e una tossina: e così finisce per cadere nella trappola della vanità e corrompersi. Si veda il caso del [re di Giudea] Yoash (Secondo Libro delle Cronache 24, 17 e Midrash Shemot Raba 8, 2), che aveva agito correttamente durante tutto il periodo in cui fu guidato dal suo Maestro, Yehoyadà il Cohen. Ma dopo la morte di Yehoyadà, i suoi sudditi andarono [dal re] e cominciarono ad adularlo e a proclamarne magnifiche lodi, fino a paragonarlo a una divinità e a questo punto il re li assecondò.
Vedi quindi chiaramente questo dato di fatto: la maggior parte dei governanti, dei re e dei potenti in generale, qualunque sia il loro livello, cadono e si pervertono a causa dell’adulazione da parte dei loro servitori.
Perciò, chi ha la testa sulle spalle deve fare attenzione e osservare il comportamento delle persone che vuole prendere per amico, consigliere o amministratore dei beni – ancora più di quanto scruti e osservi ciò che mangia e beve. Infatti, cibi e bevande possono danneggiare soltanto il suo corpo, mentre amici e intendenti possono corrompere la sua anima, le sue forze e tutto il suo onore. E il re Davide, la pace sia su di lui, diceva (Salmi 101, v. 6-7) 8: “Chi si comporta con integrità sia mio servitore. Che il truffatore non risieda a casa mia”. E non c’è di meglio per l’uomo che scegliere amici sinceri, che gli aprono gli occhi sulle cose che non riesce a vedere e lo rimproverano con affetto, in modo da salvarlo da qualsiasi problema[6]. Difatti, ciò che l’uomo non può vedere, perché non vede i propri difetti, saranno loro a vederlo e a capirlo; essi lo metteranno in guardia assicurando così la sua tutela. Così è detto (Proverbi 24, 6): “[Si ottiene] il successo con molti consiglieri 9.”
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Note del traduttore
[4] Il testo in ebraico usa una originale espressione tratta dal libro dei Proverbi 7, 15.
[5] Gioisce, perde la testa e provoca danni (Rashi). E lo fa solo dopo essersi saziato (quindi con la carne e non con il fieno, che non gradisce). Da qui il parallelo con gli esseri umani, anche loro più inclini a combinare guai quando sono satolli.
[6] La conoscenza della Torà (Roth), che guida l’uomo a una vita corretta.
[7] Lo dice la Torà stessa: Bamidbar 12, 3.
[8] Nelle edizioni del Mesilat Yesharim che abbiamo consultato i due versetti sono presentati in ordine inverso.
[9] Ovviamente in questo versetto il re Salomone si riferisce ai buoni consiglieri, i cui consigli sono impreziositi dalla loro integrità e sincerità, come esposto più in alto.
[1] Chi è superbo, evidentemente non ha ragionato a sufficienza su questo momento.
[2] In fondo tutto ciò che abbiamo non arriva altro che da un dono divino, e non deriva certo dai nostri meriti.
[3] Rashì riferisce questa espressione a coloro che non provano vergogna nell’entrare in un posto nel quale ci sono studiosi di Torah per imparare. Bertinoro invece spiega che, imparando da tutti, anche da coloro che sono più piccoli di lui, mostra che la sua sapienza è vera, e non è uno strumento per insuperbirsi e farsi bello.
[4] Come è risaputo la Torah non condanna la ricchezza, anche se può condurre alla superbia. Ma se l’individuo considera la ricchezza un dono divino e qualcosa di temporaneo, che oggi c’è e domani forse, questo pensiero non lo porterà ad essere superbo. Lo stesso può dirsi delle cariche onorifiche, che non devono condurre l’uomo ad insuperbirsi, perché il mondo è una ruota che gira.
[5] Il senso di questa affermazione è che non si pecca per via dell’ indigenza, ma per via dell’abbondanza.
[6] Ruach Chayim (Avot 1,6) spiega che il Pirqè Avot consiglia di avere un amico, perché questo non è dotato del nostro stesso istinto, e per questo può indicarci la via migliore nel servizio divino, perché, anche se ai tuoi occhi sei saggio, lo Yetzer ha-rà può accecarti.