Come acquisire l’umiltà e allontanare ciò che la ostacola
http://www.anzarouth.com/2011/01/mesilat-yesharim-23-acquisire-umilta.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
I fattori che educano l’uomo all’umiltà sono due: l’abitudine e la riflessione. L’abitudine consiste nell’accostumarsi a poco a poco a comportarsi con modestia, come abbiamo spiegato 1: sedendosi nei posti più umili, camminando in fondo al gruppo e vestendosi con abiti modesti, cioè dignitosi ma senza sfarzo. Infatti, prendendo queste abitudini, l’umiltà si fa strada nel proprio cuore un po’ alla volta[1], finché non acquisisce il posto stabile che le spetta[2].
Poiché la natura del cuore dell’uomo è di insuperbirsi e di darsi importanza, è difficile per lui estirpare del tutto questa tendenza innata, se non attirando un po’ per volta questa attitudine dentro di sé, dove non ha molto controllo, attraverso azioni esterne che sono invece nelle sue facoltà, come abbiamo spiegato nel discorso sullo zelo 2, dicendo che tutto ciò è incluso nel detto dei Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Berakhot 17a): “L’uomo deve sempre agire con astuzia [per procurarsi] il timore di Hashem[3]“, cioè deve sempre cercare degli espedienti per contrastare la propria natura, fino a che riuscirà a sottometterla.
La riflessione consiste invece in diversi argomenti. Uno di essi è quello evocato da Rabbi Akavia Ben Mahallalel nelle Massime dei Padri (Avot 3, 1): “Sappi [tre cose,] da dove vieni: da una goccia putrefatta[4]; dove vai: verso un luogo di polvere, di larve e di vermi[5]; e davanti a chi dovrai rendere conto[6] 3: davanti al Re, il Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia[7]“.
Note del traduttore
[1] Nel capitolo precedente sull’umiltà.
[2] Nel capitolo 7, in fondo. La traccia non era molto precisa, ma abbiamo trovato facilmente il punto esatto grazie a una nuova edizione del Mesilat Yesharim, pubblicata da Rav David Zvi Hoffman con il suo commento “Orot Ghenuzim”: questa edizione è interessantissima perché commenta tutto il Mesilat Yesharim seguendo le parole di Rabbi Yerucham Leibovitz : “Il libro Mesilat Yesharim è costruito su tutti i libri che il Ramchal ha scritto sulla Kabbalà, pur abbassandone gli argomenti e avvicinandoli alla nostra lingua, al punto che studiandolo immaginiamo che questa materia sia alla nostra portata.” Per via dell’approccio particolare di quella edizione, non abbiamo potuto ovviamente tenerne conto in questa presente traduzione, che vuole essere di livello accessibile a tutti e non solo agli studiosi (che comunque non hanno bisogno delle nostre traduzioni); tuttavia, abbiamo voluto menzionare questo Orot Ghenuzim perché offre una edizione particolarmente ben curata e originale del Mesilat Yesharim.
[3] Delle tue azioni, delle tue parole e dei tuoi pensieri.
Commento
[1] Il Ramchal sottolinea che si tratta di un processo graduale perché il non riuscire ad affrontare una prova nasconde dei rischi enormi, come già affermato nel cap. 15. Procedendo gradualmente è possibile tramutare certi comportamenti in un atteggiamento naturale. Il voler effettuare un cambiamento radicale porta ad avere un risentimento nei confronti di H. per via dei propri insuccessi, sebbene sia lui il primo responsabile.
[2] Quanto scritto qui sembra essere in contraddizione con quanto si legge nel capitolo precedente, dal quale emerge che vi sono due stadi, l’uno conseguente all’altro, dove il pensiero precede sistematicamente l’azione. E’ possibile però dire che quanto è descritto qui segue il momento del pensiero.
[3] Così come è detto nel libro di Yiov (28,28) “Nel timore del Signore consiste la sapienza e l’allontanarsi del male è l’intelligenza”.
[4] Quanto affermato non è valido per gli tzadiqim, per i quali la goccia, se possibile arriva direttamente da H., ai quali si applica quanto detto nel primo capitolo del libro di Geremia (1,5): “quando non ti avevo ancora formato nel ventre di tua madre, ti avevo designato”.
[5] Questo pensiero, approfondito nel libro di Qohelet, distacca l’uomo dai godimenti di questo mondo.
[6] L’espressione ebraica è din wecheshbon – il Gherà spiega che din si riferisce alle trasgressioni commesse; cheshbon alle mitzwot non compiute.
[7] Nel Talmud Yerushalmi (Sotah 2,5) questi tre concetti vengono spiegati a partire da un verso del Qohelet 12,1: “ricorda il tuo creatore – boreekha”, da intendersi come beerekha, il pozzo, il posto da cui sei arrivato, borekha, la fossa, il posto dove andrai, e boreekha, il tuo creatore, Colui al quale dovrai rendere conto.