Gli elementi della devozione
http://www.anzarouth.com/2010/10/mesilat-yesharim-19-devozione-elementi.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
E anche il profeta disse (Isaia 51, 18): “Di tutti i figli che ha partorito, nessuno si occupa di lei; e di tutti i figli che ha cresciuto, nessuno la aiuta”. E disse anche (ibid. 40, 6): “Ogni corpo è come l’erba e tutta la sua bontà è come la fioritura del campo” e i Maestri di benedetta memoria commentarono dicendo (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 2b) che tutto il bene che costoro compiono è finalizzato al loro interesse, per il loro tornaconto personale, anziché anelare a questa intenzione ideale; e non cercano l’elevazione dell’onore del Popolo Ebraico né la sua Redenzione, eppure la gloria del Signore non può propagarsi senza la Redenzione degli Ebrei e l’elevazione del loro onore[1], che sono veramente indissociabili l’uno dall’altro, come detto nel Tana Devè Eliahu citato in precedenza (Raba 4, 12) “E sospira per l’onore del Santo, benedetto Egli sia, e per l’onore del Popolo d’Israel”.
Da qui impariamo che questo argomento 35 richiede due considerazioni: la prima è che l’intenzione nel compimento di ogni Mitzvà e in tutto il servizio di D-o deve essere rivolta a esaltare la gloria divina attraverso la soddisfazione che Gli recano le Sue creature. Inoltre, bisogna rammaricarsi 36 e anelare a questa esaltazione della gloria divina, che si compirà in modo ideale attraverso l’elevazione dell’onore degli Ebrei e il loro benessere. Ma c’è una seconda [finalità] sostanziale nell’intenzione del devoto: il bene della propria generazione, poiché si addice a ogni devoto, in ognuno dei suoi atti, di pensare al bene di tutta la sua generazione, per aiutarla e per proteggerla[2]. Come è scritto (Isaia 3, 10): “Lodate il giusto perché è buono: poiché essi mangiano i frutti delle loro azioni[3]“, cioè tutta la generazione fruisce dei frutti [della devozione del giusto]. E riguardo al versetto (Numeri 13, 20) “Verificate se [nel paese] ci sono alberi”, i Maestri di benedetta memoria dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Batra 15a): “Verificate se [nel paese] c’è qualcuno che difende la sua generazione 37 come un albero”.
E vedrai che questa è la volontà del Signore: che gli Ebrei devoti procurino meriti ed espiazione agli altri Ebrei di ogni livello. Ed è ciò che dissero i Maestri di benedetta memoria riguardo al Lulav e alle sue specie 38 (Vaykrà Raba 30, 12): “Che vengano questi e che espiino [le colpe] di questi altri”, poiché il Santo, benedetto Egli sia, non desidera la scomparsa dei malvagi; anzi, è imposta ai devoti la Mitzvà di darsi da fare per aiutarli e per condurli all’espiazione. E [il devoto] deve includere questi elementi nell’intenzione del suo servizio di D-o e anche concretamente nella sua preghiera, cioè deve pregare in favore della sua generazione per procurare l’espiazione a chi ne ha bisogno, condurre alla Teshuvà chi ne ha bisogno e prendere le difese di tutta la generazione[4]. E riguardo al versetto (Daniele 10, 12): “E io sono venuto a causa delle tue parole”, già dissero i Maestri di benedetta memoria (Ein Yaakov, Yoma, cap. 8) che l’angelo Gabriele non poté più uscire dall’interno della Cortina Celeste finché non prese le difese del Popolo d’Israel 39. E a Ghid’on (Gedeone) fu detto (Giudici 6, 14): “Va’ con questa tua forza[5]“, perché aveva esposto i meriti del suo popolo. Difatti, il Santo, benedetto Egli sia, ama solamente chi ama gli Ebrei. E più un uomo accresce il suo amore per Israel, più il Santo, benedetto Egli sia aumenta il Suo amore per lui.
Questi sono i veri pastori del Popolo Ebraico, quelli che il Santo, benedetto Egli sia, ama particolarmente; quelli che si dedicano al Suo gregge[6], cercano il suo bene e fanno di tutto per realizzarlo; quelli che nei momenti di crisi si alzano sempre a pregare per il popolo, affinché i decreti avversi siano cancellati e si aprano davanti a lui le porte della benedizione 40. A cosa ciò può essere paragonato? A un padre che si accorge che qualcuno nutre una amicizia fedele e sincera per suo figlio: egli amerà questa persona più di tutte le altre. La natura umana attesta questo fenomeno. Ed è a questo che ci si riferisce quando si parla (Talmud Bavli, trattato Makkot 11a) dei casi in cui un Cohen Gadol (il Sommo Sacerdote) avrebbe dovuto chiedere clemenza per la sua generazione e non lo fece. E dissero anche (ibid.): “Un tale fu sbranato da un leone a tre leghe di distanza da Rabbi Yehoshua ben Levi; [di conseguenza, il profeta] Elia non gli parlò per tre giorni 41.” Quindi i devoti hanno l’obbligo di chiedere [il bene] della loro generazione e di darsi da fare per ottenerlo.
Abbiamo dunque spiegato le principali componenti della devozione: i loro dettagli sono affidati a tutte le persone assennate e pure di cuore, affinché si comportino seguendo la retta via e secondo questi princìpi, ogni cosa a suo tempo.
Note del traduttore
[35] L’intenzione del devoto nel suo servizio di Hashem.
[36] Probabimente per il nostro esilio, perché anche la Presenza Divina è in esilio insieme a noi e lo sarà fino alla nostra imminente Redenzione, si veda per esempio Bereshit 46, 4.
[37] La frase è rivolta agli esploratori inviati da Mosè per esaminare la Terra Santa prima di entrarci con tutto il Popolo Ebraico uscito dall’Egitto. I Maestri propongono quindi una lettura allegorica del versetto: il compito degli esploratori non era solamente quello di accertare lo stato della vegetazione del paese, ma soprattutto quello di verificare le difese spirituali della popolazione locale, rappresentate dal valore morale della loro classe dirigente. Come è noto, il livello morale dei popoli cananei era fallimentare, ciononostante la missione degli esploratori (o perlomeno della maggioranza di loro) naufragò miseramente.
[38] Si tratta delle quattro piante che vengono unite durante la festa di Sukkot, ognuna delle quali rappresenta un tipo di ebreo.
[39] Questo Ein Yaakov è tratto dal Talmud Bavli, trattato Yoma, foglio 77a.
[40] E oggigiorno sarebbe bene che le domande sull’Ebraismo venissero poste a loro, i capi della nostra generazione. Se fossero loro a essere citati e intervistati, leggeremmo informazioni più precise e conformi al pensiero ebraico.
[41] La Ghemarà ci racconta che il Maestro della Mishna Rabbi Yehoshua ben Levi era solito parlare con Eliahu Hanavi. I più famosi di questi incontri sono narrati nel Midrash e nel trattato Sanhedrin del Talmud Bavli. Abbiamo già tradotto in italiano e pubblicato in questo sito uno dei più significativi di questi incontri con il Profeta Elia.
Commento
[1] Infatti si dice “non c’è re senza popolo”, e l’esilio costituisce pertanto una profanazione del Nome, perché si potrebbe pensare che il Signore non ha la capacità di redimere il Suo popolo.
[2] In massekhet Sukkah (45b) secondo la lettura di Rashì, Rabbì Shim’on bar Yochai afferma di essere in grado di difendere tutta la propria generazione dal giudizio rigoroso derivante dai loro peccati.
[3] In massekhet Yomà (38b) questo verso è riportato per insegnare che il mondo è stato creato anche per un solo tzaddiq. In massehkhet Chaghigah (12a) da qui si impara che la luce primordiale rimane nascosta per gli tzaddiqim nel mondo futuro.
[4] La ‘amidah è espressa al plurale, perché si riferisce all’intera generazione e non è una richiesta personale. Nefesh ha-Chayim (2,18) riporta quanto diceva l’Arì, di ricevere su di sé prima di pregare l’obbligo di amare il prossimo. La Torah si dilunga molto a narrare la storia di Avraham che prende le difese di Sodoma, e da questo atteggiamento dobbiamo trarre un insegnamento, perché la generazione nella quale viviamo, per quante storture possa avere, non sarà mai paragonabile a Sodoma.
[5] Midrash Tanchumà.
[6] Il Ramchal non si riferisce solo alla dedizione nell’ambito materiale, ma soprattutto a quella spirituale, secondo l’esempio di Mosheh Rabbenu, che disse ad H. di cancellarlo dal Suo libro se non avesse perdonato il popolo ebraico per il peccato del vitello d’oro, e come Mordechay, che per salvare i suoi fratelli rinunciò allo studio, inimicandosi anche parte del Sinedrio, come deduciamo dall’ultimo verso della meghillat Ester, secondo cui era “gradito alla maggior parte dei suoi fratelli” e non a tutti.