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Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Commento di Rav Somekh
Un altro gruppo si trova a un livello vicino al loro, pur non essendo esattamente come loro: essi ingannano con i loro discorsi e con le loro parole, nel senso che il loro sistema non è quello di inventare storie e fatti che non sono mai successi, ma quando raccontano qualcosa condiscono il loro racconto con frottole che passano loro per la testa. Essi si abituano a farlo al punto che questa diventerà per loro una cosa naturale. Questi sono i millantatori, alle cui parole non si può dare nessun credito come nel detto dei Maestri di benedetta memoria (ibid., trattato Sanhedrin 89b): “Questa è la punizione del millantatore: perfino quando dice la verità, nessuno lo ascolta“, perché ormai si sono assuefatti al brutto vizio al punto di non riuscire più a pronunciare con la loro bocca parole prive di inganni. È di questo che si rammaricava il profeta dicendo (Geremia 9, 4): “Hanno insegnato alla loro lingua a dire menzogne; si stancano a fare il male“.
Altri ancora, il cui difetto è più lieve dei precedenti, sono coloro che non sono altrettanto assuefatti alla menzogna, però non si preoccupano di allontanarsene e quando capita ne dicono una. A volte la diranno per scherzo e così via, senza cattive intenzioni, tuttavia il saggio33 ci ha fatto sapere che tutto ciò è il contrario della volontà del Creatore, benedetto Egli sia, e della virtù dei Suoi devoti, come è detto (Proverbi 13, 5): “Il giusto odia ciò che è menzogna“. E a questo proposito viene il monito (Esodo 23, 7): “Allontànati dalla menzogna“. Come vedi, non è detto “Stai attento alla menzogna” bensì “Allontànati dalla menzogna”, per ricordarci l’enorme distanza e la grande fuga che sono necessarie per sfuggirle. E già disse [il profeta] (Zefania 3, 13): “I superstiti del popolo ebraico non commetteranno iniquità, non diranno cose ingannevoli e non si troverà nessun imbroglio nelle loro bocche“. E dissero i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Shabbat 55a): “Il Sigillo del Santo, benedetto Egli sia, è ‘Verità’.” E se la verità è stata scelta come sigillo dal Santo, benedetto Egli sia, il suo contrario [la menzogna] deve certamente essere abominevole davanti a Lui. E il Santo, benedetto Egli sia ha messo solennemente in guardia riguardo alla verità, dicendo (Zaccaria 8, 16): “Ditevi la verità l’un l’altro“; e fu detto (Isaia 16, 5): “E un trono verrà approntato con la clemenza e si siederà su di lui in verità?”; e fu detto (ibid. 63, 8): “E disse: ma essi sono il Mio popolo, figli che non mentiranno“; da cui si impara che una cosa dipende dall’altra. E fu detto (Zaccaria 8, 3): “E Gerusalemme venne chiamata ‘città della verità’“, per accrescere la sua importanza. E riguardo al versetto (Salmi 15, 2) “E dice la verità in cuor suo” già dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Makkot 24a): “Come Rav Safra34 ecc.” per dire quanto sia grande l’obbligo di dire la verità. E già proibirono al Talmid Chakham di rimangiarsi la parola, fatta eccezione per tre casi; e uno dei pilastri sui quali poggia il mondo è la verità, perciò chi mente è come se portasse via le fondamenta del mondo, mentre il contrario è vero per chi presta attenzione a [dire solo] la verità, è come se sostenesse le fondamenta del mondo.
E già raccontarono i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 97a) del luogo in cui la gente prestava la massima attenzione alla verità35: lì, l’angelo della morte non aveva potere. E poiché la moglie di Rabbi Ploni modificò la sua parola, malgrado l’avesse fatto con buone intenzioni attirò in questo modo su di loro l’angelo della morte, finché la mandarono via per questo motivo e tornarono alla tranquillità. E non c’è bisogno di dilungarsi su questo argomento che la ragione comanda e la mente impone.
Anche gli aspetti della profanazione del Nome [di D-o] sono numerosi e importanti, perché l’uomo deve avere molta cura dell’onore del suo Creatore e qualunque cosa si faccia bisogna osservare e riflettere per evitare di provocare qualcosa che possa recare offesa all’onore del Cielo, che D-o ce ne scampi. E già abbiamo studiato che (Massime dei Padri 4, 4): “La profanazione involontaria del Nome [di D-o] è [punita] come quella volontaria“. E i Maestri di benedetta memoria dissero (Talmud Bavli, trattato Yoma 86a): “Qual è un esempio di profanazione del Nome [di D-o]? Disse Rav: come se io comprassi carne senza pagarla immediatamente. Rabbi Yochanan disse: come se io camminassi senza Torà e senza Tefilllin36.” L’idea è che ognuno, secondo il proprio livello e la propria reputazione, deve riflettere per evitare di fare qualcosa che non si addica a qualcuno del suo rango: infatti, quanto più è saggio e importante, tanto più dovrà prestare attenzione al suo servizio [di D-o] e alla precisione con cui lo svolge. E se non lo fa, il Nome del Cielo viene profanato per causa sua, che D-o ce ne scampi. Infatti, l’onore della Torà richiede che chi studia molto faccia anche prova di grande rettitudine e di ottime maniere. E in chi abbonda nello studio, la carenza in quelle [virtù] disonora il suo studio e provoca, che D-o ce ne liberi, una profanazione del Suo Nome benedetto, che ci ha dato la Sua santa Torà e ci ha comandato di studiarla e di pervenire grazie al suo studio al nostro perfezionamento.
Anche il rispetto dello Shabbat e delle feste è importante poiché numerose sono le leggi al riguardo e infatti dissero [i Maestri] (Talmud Bavli, trattato Shabbat 12a): “La normativa sullo Shabbat è abbondante” e perfino i decreti [chiamati] ‘Shvut37, pur essendo norme rabbiniche, ne sono una componente essenziale. E dissero anche (ibid., trattato Chaghiga 16b): “Non considerare mai la Shevut come una cosa di poco conto, perché [anche] l’imposizione [delle mani sull’animale] è una Shevut e cionondimeno al suo riguardo i più grandi Maestri della generazione avevano pareri discordanti“. E comunque i dettagli delle regole nelle loro partizioni sono spiegati nei libri dei Poskim: tutti sono ugualmente obbligatori e richiedono la stessa attenzione da parte nostra. E il motivo per il quale la gente trova difficile rispettarlo è [l’obbligo di] astenersi dall’attività lavorativa e dal parlare del proprio commercio, benché questo divieto sia spiegato nelle parole del profeta (Isaia 58, 13): “E lo onorerai astenendoti dal seguire le tue vie, dall’occuparti dei tuoi affari e dal parlarne nelle conversazioni“. La regola generale dice che è vietato occuparsi e parlare [durante lo Shabbat] di attività che è vietato svolgere di Shabbat. Perciò è stato vietato esaminare i propri beni al fine di verificare ciò che si ha da fare l’indomani38 oppure avvicinarsi ai limiti della città, per arrivare più in fretta ai bagni una volta giunta la notte39. Ed è [anche] vietato dire: “Domani mi occuperò di quella cosa” oppure “Domani comprerò quella merce” e tutto questo genere di discorsi.
Fin qui abbiamo parlato di alcune Mitzvot riguardo alle quali vediamo la gente cadere spesso in errore: da queste possiamo trarre [simili conclusioni] riguardo a tutti gli altri divieti, poiché ogni divieto ha partizioni e dettagli, alcuni gravi e altri meno. E chi vuole essere integro, deve esserlo in tutti e puro da tutti e già dissero i Maestri di benedetta memoria (Midrash Shir Hashirim Raba 6, 6): “[Impariamo dal versetto] (Shir Hashirim 6, 6) ‘I tuoi denti sono come un gregge di pecore’: così come la pecora è modesta, anche il popolo ebraico fu modesto e integro durante la guerra di Midian. Rav Huna spiega a nome di Rav Acha, che il motivo fu che nessuno pose i Tefillin della testa prima di quelli del braccio, perché se perfino solo uno di loro avesse invertito l’ordine Moshè non li avrebbe elogiati e non sarebbero ritornati incolumi“. E anche nel Talmud Yerushalmi dissero: “Chi parla [tra le preghiere di] Yishtabach e Yotzer commette un peccato sufficiente a farlo rinviare dal fronte40“. Vedi quindi fin dove debbano arrivare la vera meticolosità e la vera integrità nelle proprie azioni.
E così come bisogna essere integri nelle proprie azioni, bisogna esserlo altrettanto nel carattere. E un temperamento integro è quasi più difficile da acquisire che un comportamento integro, perché la natura [dell’uomo] ha più influenza sui tratti che sulle azioni, per via del fatto che l’indole e il carattere sono loro direttamente favorevoli o contrari. E ogni battaglia che si combatte contro la propria natura è aspra, come spiegarono i Maestri di benedetta memoria con il loro detto (Massime dei Padri 4, 1): “Chi è forte? Colui che domina il proprio istinto“. E infatti i tratti caratteriali sono numerosi, perché se tante sono le azioni che attengono all’uomo in [questo] mondo, altrettanti sono i tratti che lo inducono a commetterle.
Perciò, allo stesso modo in cui abbiamo parlato delle Mitzvot che più richiedono di ripulirsi, nel senso di [evitare] gli gli ostacoli in cui la gente ha l’abitudine di inciampare, parleremo ora in dettaglio dei vizi più importanti, perché sono frequenti. Essi sono: l’orgoglio, l’ira, l’invidia, il desiderio. Tutti questi sono brutti difetti la cui malvagità è nota e riconosciuta, tanto da non richiedere alcuna prova: sono dannosi di per sé stessi e hanno anche pessime conseguenze, perché sono tutti estranei alla ragione e ognuno di essi è sufficiente per condurre l’uomo a commettere gravi peccati.
- Riguardo all’orgoglio, c’è un versetto esplicito che dice (Deut. 8, 14): “E il tuo cuore si inorgoglirà e dimenticherai il Signore tuo D-o“.
- Riguardo all’ira, dissero i Maestri di benedetta memoria (si veda Talmud Bavli, trattato Shabbat 105b): “Considera chi si arrabbia alla stregua di uno che rinnega i princìpi [della Torà]“.
- Riguardo all’invidia e al desiderio fu già insegnato esplicitamente (Massime dei Padri 4, 21): “L’invidia, il desiderio e gli onori accorciano la vita dell’uomo“.
E infatti l’osservazione necessaria è che bisogna evitare questi [difetti] e tutti i loro derivati, poiché sono tutti rami distorti di una vite corrotta41. E ora li discuteremo uno a uno.
Il principio dell’orgoglio è che l’uomo ha una grande stima di sé stesso e immagina in cuor suo che a lui spettano le lodi. Tuttavia ciò può essere la conseguenza di numerosi e diversi ragionamenti, perché alcuni si ritengono intelligenti, altri si compiacciono del loro bell’aspetto, altri pensano di essere onorevoli, altri si compiacciono delle loro ricchezze, altri si considerano esperti. In regola generale: chi pensa di possedere una qualunque delle cose buone di questo mondo rischia di sprofondare nel pozzo della superbia. Inoltre, una volta che l’uomo si è fermamente convinto di essere importante e degno di elogi, questo pensiero non conduce a una unica conseguenza, bensì ne genera molte, diverse tra di loro e a volte addirittura opposte, benché tutte derivino dalla stessa radice e abbiano la stessa finalità.
Note del traduttore:
[33] Il re Salomone.
[34] Un cliente avvicinò Rav Safra mentre questi leggeva lo Shemà e non poteva rispondere alle sue sempre crescenti offerte. Alla fine Rav Safra gli vendette il prodotto al primo prezzo proposto (rinunciando a tutte le proposte successive), perché già a quel momento aveva deciso in cuor suo di vendere.
[35] Questo episodio è citato anche nello Shaaré Kedushà di Rabbi Haim Vital.
[36] Va precisato che pur trattandosi di cause di forza maggiore, gli osservatori esterni non lo sanno e ciò non si addice a Rabbi Yochanan (si veda Rashi).
[37] Decreti rabbinici sullo Shabbat, appunto.
[38] Talmud Bavli, trattato Shabbat 103a.
[39] Talmud Bavli, trattato Eruvin 39a.
[40] Solo chi è senza peccati può combattere: la legge ebraica esenta gli altri perché è troppo pericoloso andare in guerra quando si è pieni di colpe.
[41] Espressione tratta da Geremia 2, 21.
Commento al capitolo 11 (terza parte)
Allontanati dalla menzogna: In tutto il libro di Bereshit la parola sheqer (“menzogna”) non è mai adoperata. Segno che i Patriarchi ne stavano debitamente lontani. Il primo a usarla è il Faraone: “Sia appesantito il lavoro a carico degli uomini e lo eseguano, così che non indulgano in cose menzognere” (Shemot 5,9).
Ma essi sono il Mio popolo, figli che non mentiranno: solo nella misura in cui gli Ebrei si asterranno dalla menzogna potranno essere chiamati popolo di H.
Rabbì Plonì (“anonimo”) …malgrado l’avesse fatto con buone intenzioni: il Rabbino aveva sposato una donna del luogo, che gli aveva dato due figli. Un giorno una vicina aveva bussato alla porta di casa cercando sua moglie. Dal momento che sua moglie era in bagno, il marito preferì mentire e dire che in quel momento non era in casa. Avendo mentito, l’Angelo della Morte intervenne e i due figli morirono.
Profanazione del Nome: incorriamo nel Chillul ha-Shem tutte le volte che diamo l’impressione di venir meno ai principi della Torah. Ramchal spiega inoltre che questa trasgressione è commisurata allo status della persona: da uno studioso di Torah ci si attende ovviamente attenzione maggiore. Il Talmud afferma che per il Chillul ha-Shem non è sufficiente la Teshuvah: solo la morte espia. Tuttavia per Rabbenu Yonah da Gerona esiste una via d’uscita anche in vita: alla profanazione si contrapponga la santificazione (Qiddush ha-Shem)! (Sha’arè Teshuvah III, 158). E come si santifica il Nome di D.? Ci sono molti modi. Commentando il famoso versetto dello Shemà’: “e amerai il S. tuo D.”, il Talmud si domanda: come si può amare il S.D.? Facendo in modo che Egli sia amato dagli altri per merito nostro. Ogni giorno dobbiamo comportarci in un modo che rechi onore al D. d’Israele. Se cederemo all’anziana signora il posto a sedere sull’autobus che cosa risponderà? “Grazie mille! E’ così raro al giorno d’oggi vedere dei giovani così bene educati! Che educazione hanno ricevuto gli Ebrei!”. E la nostra Torah sarà esaltata. Così Maimonide ritrae l’Ebreo ideale: “Se un Ebreo che abbia studiato Torah si rivolge agli altri in modo gentile e garbato, li accoglie con volto sereno, non li offende neppure se viene insultato, onora anche coloro che lo beffano, agisce onestamente negli affari, non siede a lungo alle feste e ai ritrovi degli ignoranti ma si mostra costantemente occupato nello studio della Torah con il Tallit e i Tefillin addosso, e se per di più si comporta sempre al di là della lettera della Legge (lifnim mi-shurat ha-dìn), questo Ebreo santifica davvero il Mio Nome. Di lui è detto: “Voi siete i Miei servi, Israele, tramite i quali Io sarò glorificato” (Is. 49,3; Maimonide, loc.cit.).
La normativa sullo Shabbat è abbondante e la punizione per chi lo profana è pesante. Non è pensabile di osservare lo Shabbat come si deve senza uno studio approfondito e continuativo di tale normativa.
L’imposizione delle mani sull’animale: La regola vale per i sacrifici privati e non per quelli pubblici. Essa prevede che colui che offre un sacrificio prima di macellare l’animale deve “imporgli” con forza le mani sulla testa (Wayqrà 4,29). Dal momento che nei giorni festivi è proibito maneggiare gli animali per disposizione rabbinica, Bet Shammay e Bet Hillel discutono se la Semikhah può essere eseguita. La questione è portata qui a esempio di quanto persino una prescrizione di natura rabbinica sia rilevante al punto di suscitare una discussione comportamentale.
…e dal parlare del proprio commercio: La Halakhah proibisce di Shabbat non solo di eseguire determinate azioni, ma anche di parlarne se questo porta a pianificarle per l’indomani. Il Messillat Yesharim non si rivolge a coloro che profanano lo Shabbat, bensì a quelli che lo vogliono osservare, ma non riescono a trattenersi dal parlare di argomenti proibiti.
Nessuno pose i Tefillin della testa prima di quelli del braccio: l’ordine stabilito per indossare correttamente i Tefillin consiste infatti nel mettere prima quelli del braccio e poi quelli della testa, come nei versetti della Torah. Il Midrash racconta che per essere sicuri che le trasgressioni dei combattenti non facessero perdere la guerra, i 12.000 uomini inviati contro Midian (Be-midbar 31,4) furono scelti tra quelli dotati di un livello spirituale tale che non avrebbero mai commesso neppure una trasgressione apparentemente così lieve come invertire l’ordine dei Tefillin.
Chi parla fra le preghiere di Yishtabbach e Yotzer: anche questo è un esempio di trasgressione cui si tende a non dare importanza. Dopo aver recitato Barukh she-Amar all’inizio dei Salmi introduttivi (Pessuqè de-Zimrà) del mattino chi prega non può più intercalare parole estranee finché non abbia terminato lo Shemoneh ‘Esreh. In mezzo vi è un’interruzione fra Yishtabbach, che conclude i Pessuqè de-Zimrà e le Berakhot dello Shemà’ che cominciano subito dopo. Molti approfittano di questa interruzione e credono di poter parlare in mezzo, senza avvedersi che ciò è vietato.
E così come bisogna essere integri nelle proprie azioni, bisogna esserlo altrettanto nel carattere… perché la natura dell’uomo ha più influenza sui tratti che sulle azioni: Qui Ramchal dalle Mitzwòt passa a parlare delle Middot. La difficoltà posta da queste rispetto alle prime nasce dal fatto che mentre le azioni si prestano più facilmente a essere corrette grazie all’esercizio del proprio libero arbitrio, nel caso dei tratti caratteriali è giocoforza intervenire direttamente sulla propria natura. Non si tratta qui di ignoranza halakhica, né della spinta provocata da fattori esterni. Il nemico di questa guerra è il mio ego. Per Ramchal la “natura” si identifica con lo Yetzer ha-Ra’: mentre rispetto alle azioni l’influenza dello Yetzer ha-Ra’ è evidente, rispetto ai tratti del carattere lo è assai meno. Ramchal nota che Ben Zomà nei Pirqè Avot non definisce il forte come colui che si trattiene da certe azioni, bensì come colui che domina il proprio istinto. Controllando l’istinto, l’uomo si mette in condizione di dominare anche il desiderio di compiere determinate azioni: ciò risolve il problema alla radice, ma nello stesso tempo richiede una forza che davvero non tutti hanno.
Essi sono: l’orgoglio,… il desiderio: il qabbalista R. Chayim Vital metteva in relazione quelli che al suo tempo erano considerati i quattro elementi fondamentali del cosmo con altrettante Middot: il fuoco con l’orgoglio, che genera l’ira; l’aria con la gelosia, l’acqua con il desiderio e la terra con la pigrizia, che è fonte di tristezza. Ramchal non menziona queste due! Peraltro Rav Nachman di Bratslav considera la tristezza un prodotto dell’allontanamento dell’uomo moderno da H.: da qui l’accento posto da lui e da tutto il movimento chassidico sulla gioia.
L’invidia, il desiderio e gli onori accorciano la vita dell’uomo: da giovane l’uomo si misura con l’invidia degli amici; una volta che è più maturo si misura con il desiderio e da vecchio si misura con gli onori.
Perché sono tutti estranei alla ragione: In questo Ramchal è in linea con Maimonide. E’ peraltro da notare che a differenza di Maimonide, condannando l’orgoglio Ramchal non loda qui il suo contrario, l’umiltà. In generale Maimonide sostiene l’etica del giusto mezzo fra i due estremi, secondo la dottrina aristotelica. In Shemonah Peraqim 4 sostiene però che il rapporto fra orgoglio e umiltà fa eccezione, perché la tendenza all’orgoglio è più forte: per controbilanciarla è dunque necessario puntare a un eccesso di umiltà. Ramchal invece sostiene che la ragione non porta mai al giusto mezzo, bensì sempre ad un estremo. Egli parlerà dell’umiltà solo molto più avanti: per raggiungerla occorre prima aver approfondito la conoscenza del rapporto dell’uomo con D.
Il principio dell’orgoglio è che l’uomo ha una grande stima di se stesso: l’orgoglio è un fraintendimento della propria vera natura. Pensare di essere sempre perfetto e di avere sempre ragione può addirittura sfociare in una forma di idolatria di sé: “a proposito di ogni uomo superbo, dice H.: Io e lui non possiamo convivere nel mondo” (Sotah 5). Paradossalmente è proprio l’orgoglio a svelare le debolezze di una persona: il superbo non è per lo più disposto ad ascoltare le idee altrui per il timore di scoprire di avere sbagliato.