Un amore che dura da 50 anni Il grande direttore indiano apre il 3 e il 4 a Milano e Torino il Festival MiTo con la «sua» orchestra, straordinario esempio di convivenza in nome della musica.
Valerio Cappelli
Una mappa geografica delle emozioni, di mondi che si incontrano, di identità culturali e appartenenze: quest’anno il tema di MiTo, trova il suo zenith carico di simbologie ai concerti inaugurali del 3 e 4 settembre con Zubin Mehta alla guida della Israel Philharmonic Orchestra (ISO), per la Sinfonia Fantastica di Berlioz e per il Concerto n 2 di Beethoven con Martha Argerich al piano. Ultima tappa italiana della tournée con cui il maestro indiano concluderà una storia d’amore cominciata, da direttore musicale, nel 1977 – ma è direttore onorario a vita-, e come consigliere musicale nel 1969, 50 anni fa.
In uno dei suoi primi concerti con la Israel, Mehta volle proporre un repertorio che non faceva parte dell’orchestra, i Sei pezzi per orchestra di Webern e la Nona di Bruckner. «A quel tempo – ha detto Mehta – avevo una mentalità profondamente apolitica, e non ero veramente consapevole della particolare situazione di Israele. Inoltre gli unici ebrei che conoscevo erano dei miei compagni di scuola, ma erano originari dell’Iraq e non ci capivamo molto, perché parlavano arabo».
Ci sono già i primi semi del meticciato culturale. Israele, Iraq, India. E Italia. Infatti, il primo concerto della Filarmonica di Israele fu diretto, il 26 dicembre 1936, da Arturo Toscanini. Accettò a due condizioni: sarebbe andato a Tel Aviv a sue spese, e senza percepire alcun cachet. Era stato invitato dal violinista Bronislaw Huberman, una sorta di Oscar Schindler della musica: salvò molti musicisti di fede ebraica dalla morte nei lager nazisti. Li convinse a trasferirsi nella Terra dei padri, fu lui a fondare la ISO, che allora si chiamava Orchestra di Palestina – divenne Filarmonica di Israele dopo l’indipendenza del 1948. Le principali lingue di quei 75 musicisti ebrei erano il tedesco, il polacco, l’ungherese, il russo e per una piccola parte l’ebraico.
Albert Einstein, amico di Huberman, ebbe un ruolo attivo nella creazione dell’Orchestra; dagli Stati Uniti dove era esule, scrisse una lettera a Toscanini (che avrebbe annullato le sue presenze a Bayreuth): «Sento il dovere di dirle quanto la ammiri e la veneri… L’esistenza di un simile contemporaneo cancella molte delle delusioni, che si devono continuamente subire da parte delle specie minorum gentium».
Negli scorsi decenni l’Orchestra si è alimentata dell’ondata migratoria dai paesi dell’Est, soprattutto dalla Russia. Oggi tra le sue fila si trovano, più numerosi, musicisti nativi di Israele, e molti americani e sudamericani.
L’oboista Bruce Weinstein viene da New York, il contrabbassista Carol Patterson da Toronto, la violinista Sivan Maayani da Londra, mentre il primo violino Yigal Tuneh è nato in Israele. Sotto la stessa casa convivono pacifisti e ortodossi di destra. L’orchestra tiene 150 concerti l’anno, in ogni angolo del paese: nei kibbutz, a Cesarea nell’anfiteatro romano costruito durante il governo di Erode, a Masada, il luogo della resistenza all’esercito romano, dove il celebre violinista Isaac Stern arrivò a indossare durante la guerra del Golfo la maschera antigas.
Il cuore dell’attività è all’Auditorium Charles Bronfman, un uomo d’affari il cui nome campeggerà sulla facciata per altri 4 7 anni perché ha donato una cifra enorme all’Orchestra, che viene tenuta segreta. Prima di lui, l’Auditorium si chiamava Fredric Mann, altro benefattore, fu lui a porre fine ai primi 21 anni itineranti della ISO, dando una casa permanente.
Dallo Stato arriva il 10% dei 23 milioni di budget, il resto da sponsor, privati (40%) e botteghino (50%). Per questo motivo i biglietti sono cari: in media 80 euro. I soldati in uniforme (il servizio militare obbligatorio è di tre anni per gli uomini e di due per le donne) entrano gratuitamente; molti solisti, nella storia della ISO, si sono esibiti senza cachet, da Arthur Rubinstein a Henrik Szering e Itzhak Periman, fino ai nomi di oggi, Yefim Bronfman, Shlomo Mintz, Gil Shaham.
Senza dimenticare Leonard Bernstein (che diresse 318 concerti della IPO), tante cose oggi rimandano a Zubin Mehta, perfino sul podio compare il suo nome. Il suo rapporto con l’Orchestra cominciò quando si mise a disposizione per sostituire l’austriaco naturalizzato Usa Erieh Leinsdorf, che durante la guerra dei Sei giorni diede forfait e fuggì da Israele. Mehta si trovava a Porto Rica per il Festival Pablo Casals. «Capii che dovevo subito tornare in Israele. All’interno dell’aereo non si stava comodi. Prima dell’atterraggio venni a sapere che ero seduto su un sedile contenente una cassa di munizioni. L’intero apparecchio ne era zeppo».
(Corriere della Sera, 2 settembre 2019)