Qualche riflessione sulle conversioni da fonte ben informata
Gilberto Bosco
Gli appassionati lettori di Ha Keillah avranno visto che da qualche tempo compaiono su queste pagine, forse con più frequenza del solito, articoli che affrontano tematiche religiose; in particolare viene dibattuto il tema se sia giusto chiedere a chi vuole convertirsi di “accettare e rispettare tutte le mitzvot” (da qui in poi mi riferirò a questa domanda con le parole “la nota questione”). E a leggere le nostre pagine potrebbe sembrare che su questo punto esista un vasto dibattito, e che tutti o quasi gli iscritti al Gruppo di studi e alla Comunità torinese siano contrari alla domanda e se ne preoccupino molto. Dalla seggiola su cui sono seduto devo dire che non mi pare che questo sia un tema molto sentito; non solo, mi stupisce che in tale dibattito siano praticamente assenti quelli che ne sanno di più in proposito: i convertiti. Insomma, se si vuol discutere di un problema di bridge, forse è meglio dar la parola a chi si è seduto davvero al tavolo di gioco. Ecco perché prendo la parola. (Ho diviso, per fare chiarezza nella mia testa, il mio articolo in paragrafi; e, last but not least, vorrei precisare che non voglio convincere nessuno: esprimo una opinione, che ha diritto di essere conosciuta quanto altre opinioni, diverse o contrarie.)
Continuità – Ebbene sì, sono un convertito, e sono tra coloro, pochi o tanti (nel GSE, a Torino e altrove) che credono che sia giusto mantenere la domanda e chiedere ai convertendi di rispondere SÌ. Questa formula ha funzionato in passato e funziona piuttosto bene oggi. Oggi funziona: dai tribunali rabbinici italiani continua a uscire, ogni anno, un piccolo gruppo di gherim, piccolo ma costante; un rivolo di acqua fresca che non si è mai interrotto; certo, non un torrente in piena, ma l’ebraismo ha rinunciato al proselitismo da quasi 2.000 anni! E sappiamo che questa domanda ha funzionato benissimo in passato, garantendo uno dei valori più importanti dell’ebraismo, la continuità di una prassi e il passaggio di valori tra una generazione e l’altra. Quando nell’Ottocento il terribile scontro con la modernità spinse molti gruppi di ebrei ad allontanarsi dal mondo ebraico tradizionale, rinunciando a molte cose ed anche ad una puntuale osservanza di molte mitzvot, essi credevano, in perfetta buona fede, di mantenere le nuove comunità unite una volta e per sempre. Se si deve credere alle statistiche che circolano nei paesi di lingua inglese, le comunità che hanno scelto di essere poco o molto lassiste sul problema delle mitzvot stanno perdendo iscritti ancora più velocemente delle comunità rimaste ortodosse; anche dalle nuove comunità i giovani scompaiono, si sposano con tutti i riti possibili ma raramente in sinagoga, i nuovi iscritti dopo poco tempo non li vedi più: quelle comunità sopravvivono solo grazie ai grandi numeri di ebrei presenti in USA o in altri paesi anglosassoni. Insomma, pare che la continuità non si garantisca facendo degli sconti sulle mitzvot, quindi rinunciare alla domanda sulla nota questione non serve a questo scopo, o comunque non servirebbe in un paese come l’Italia.
Regola del congiuntivo – In un salotto, sarebbe il primo degli argomenti contro la nota domanda. “Ma se la quasi totalità degli ebrei non rispetta le mitzvot, perché i gherim dovrebbero osservarle?” É un poco come dire: “Dato che la quasi totalità degli italiani non usa correttamente il congiuntivo, perché non smettiamo del tutto di insegnarlo?”. Certo, se vuoi diventare ministro in Italia puoi anche sbagliare il congiuntivo ogni volta che parli. Ma se vuoi superare decentemente un esame di italiano, se vuoi diventare un professore di italiano, il congiuntivo devi saperlo e magari anche applicarlo, un poco come le regole sul latte e sulla carne…
Programma libero – I pochi che sono sopravvissuti al mio articolo e ancora stanno leggendo se lo immaginano uno studente che ad un esame di matematica dica ai professori “Interrogatemi su tutto, ma lasciamo perdere quella storia dei numeri irrazionali: io sono una persona razionale”. (Ahahahah. Faccine faccine faccine.) Dopo qualche sorriso un professore lo accompagnerebbe gentilmente alla porta. Perché per un esame con i rabbini dovrebbe essere diverso? L’ebraismo è meno importante della matematica?
Matrimoni – Ma immaginiamo per un momento che i rabbini italiani decidano improvvisamente di abolire la nota domanda. Evvai, tutto risolto? Temo di no. Un giovane gher accettato con questi “sconti” va a studiare a Parigi o a Gerusalemme, si innamora perdutamente; e scopre che nessuna sinagoga del paese in cui sta studiando accetta di sposarlo (perché il suo ghiur non è riconosciuto), e che la famiglia dell’amata, se moderatamente osservante, considera tutto il problema come un “matrimonio misto”. Insomma, le difficoltà non sono state risolte, sono state soltanto spostate avanti di qualche anno, in un contesto un poco più difficile.
Regole del gioco – Ogni gioco è bello perché ha delle regole; a rubamazzetto con un sei non posso rubare un mazzetto con il sette. Se voglio giocare in una squadra di calcio, non posso impadronirmi della palla con le mani e andare, sempre con le mani, a depositarla in rete. Non è un gol. È riuscito solo a Maradona; ma ho il sospetto che Maradona non sarebbe un buon acquisto per una comunità ebraica… (Ahahahah. Faccine faccine faccine.)
Gilberto Bosco
Ci risulta che sia proibito ricordare a una persona il suo ghiur. A maggior ragione, riteniamo, non sarebbe lecito pubblicare interviste in cui si rivolgono alle persone domande esplicite sulla loro conversione. Questo è il motivo per cui su Ha Keillah non si trovano interviste a ebrei definiti esplicitamente come convertiti. HK