Haaretz: antisemitismo in Francia e l’identità degli ebrei francesi : Presto in Italia?
Amiram Barkat
Il prof. Daniel Dayan racconta un aneddoto per spiegare la propria teoria sull’esclusione degli ebrei dalla società francese. Sono stati, dice, spinti fuori dal più generale “pubblico” francese. Questo senso di esclusione dai media francesi – che lo stesso Dayan afferma di aver sperimentato – può essere anche visto come una finestra sulle motivazioni nascoste dell’uomo, che confessa di non essere obiettivo e ammette di stare “creando un caso”.
“Un paio di anni fa fui intervistato da un settimanale popolare, Telerama.” dice Dayan “L’intervistatore prese a dialogare con me come esperto di media – e in effetti ero stato intervistato in tale qualità altre volte – e mi pose domande su questioni generali. Non ricordo bene come si arrivò all’argomento, ma ad un certo punto durante l’intervista osservai che, se l’opinione pubblica francese era così favorevole ad Israele, come si può spiegare l’uso del termine “intifada” senza riferimento all’equivalente ebraico, che certo esiste, per descrivere il conflitto? L’intervistatore fece un sorrisetto imbarazzato e disse “Beh, certo non potremo pubblicare questa osservazione” ma io insistetti. L’intervistatore parlò allora con il suo caporedattore e finalmente decisero di pubblicare la mia frase, ma aggiungendo al titolo “Esperto ebreo”.
Dayan si è specializzato in gioventù in semiotica, ed ha fatto il dottorato all’Accademia di Scienze Sociali di Parigi, con il filosofo Roland Barthés, uno dei maggiori studiosi di linguaggio e società della Francia del ventesimo secolo.
Acquistò familiarità con il mondo dei media in California, studiando cinematografia a Stanford. Lì incontrò lo storico Shaul Friedlander e, attraverso lui, il professor Elihu Katz, considerato un esperto delle relazioni tra media e società. Così iniziò una lunga collaborazione accademica, e la coppia produsse numerosi lavori.
Dayan, che negli anni ’70 ha studiato all’Università Ebraica [di Gerusalemme], lavora oggi come ricercatore esperto al noto Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) ed è lettore alle Università di Oslo e Ginevra
Afferma che iniziò ad occuparsi sulla visione di Israele da parte dei media francesi dopo la visita di Ariel Sharon al Monte del Tempio nel Settembre 2001, quando ebbe l’impressione che “i media francesi avessero incoronato Sharon Primo Ministro d’Israele” già a quel tempo.
Relativamente agli attacchi ad ebrei francesi che iniziarono dopo l’esplosione della intifada di Al Aqsa, Dayan si ritrovò con altri intellettuali francesi, la maggior parte dei quali ebrei nordafricani, come il sociologo Shmuel Trigano ed il regista Jacques Tarnero.
Indignazione condivisa
La loro indignazione sfociò nella formazione di un gruppo di lavoro, che intraprese una campagna mediatica per esporre la tendenziosità dei media francesi.Pietre miliari di questa iniziativa furono la pubblicazione, nell’Ottobre 2002, di “The French: Are they objective?”, un’antologia di articoli scritti da membri del gruppo, e del film Decryptage (Decrittazione) attualmente in diffusione a Parigi.
Settimana scorsa Dayan è intervenuto ad una conferenza su “antisemitismo e pregiudizio nei media contemporanei” organizzato dal prof. Robert Wistrich, direttore del centro Vidal Sassoon per la ricerca sull’antisemitismo dell’Università Ebraica. L’intervento riguardava l’analisi della “costruzione del pregiudizio” ai livelli alti dei media francesi in termini di atteggiamento degli stessi verso Israele negli ultimi due anni.
Dayan si rivolge soprattutto a Le Monde, il giornale che dice di essere “non solo la piattaforma principale per l’opinione pubblica francese, ma anche il cuore di una galassia di sbocchi mediatici da questo acquisiti negli ultimi anni, che ne articolano e diffondono le opinioni.”.
Atti non casuali
Negli ultimi due anni, Dayan ed i suoi colleghi hanno cercato di provare ciò che la stampa francese cerca di nascondere, e cioè che l’ondata di incidenti aventi obiettivi ebraici in Francia non è una sequenza di atti isolati e casuali, ma antisemitismo.
Dayan sostiene che oggi in Francia non esiste un’opinione pubblica, nel senso accademico del termine. Dice che la premessa per l’esistenza di un’opinione pubblica attiva è la disponibilità di informazione obiettiva attraverso i media. “In Francia, la pubblica opinione sul conflitto Israelo-Palestinese è morta, perchè i media francesi hanno fornito al pubblico della non-informazione.
Per non-informazione, Dayan intende quei giornalisti che esprimono la visione di una delle parti “Ovviamente quella Palestinese”, come se fosse la loro, o che scrivono sul conflitto stando comodamente a Parigi e parlano in nome di quella parte – “quello che chiamo karaoke”.
Secondo Dayan, la ragione di ciò va ricercata nel sentimento anti-israeliano dei francesi. Egli afferma che il conflitto Israelo- Palestinese è perfetto per il doppio senso di colpa dei francesi, uno nato dai fatti di Algeria e l’altro da Vichy. “Il conflitto Israelo-Palestinese è due volte funzionale al senso di colpa dei francesi, una volta perchè permette di dire che il popolo dell’Olocausto sta a sua volta perpetrandone uno,. E poi, permetten do di dire che gli israeliani sono colonialisti, e quindi odiarli è lecito e desiderabile, e non può essere definito razzismo”.
L’odio per Israele si generalizza nell’atteggiamento verso gli ebrei francesi, che non possono fare nulla contro di esso : “Se ti aggrediscono in strada, cosa puoi fare? Girare con un cartello ‘Io non c’entro?’ mostrare una bandiera? Portare un segno giallo?”
L’immagine degli ebrei, come è vista dal “pubblico” francese, arriva allo stesso, come già detto, attraverso gli occhi dei media. “Per definire l’atteggiamento dei media verso gli ebrei, si deve osservare chi è scelto a rispondere “in nome degli ebrei”, dice Dayan. “Ci sono persone aventi un ruolo ufficiale nella comun ità, e tre gruppi di intellettuali. Il primo gruppo si identifica automaticamente con Sharon; il secondo critica automaticamente Israele e ne nega l’esistenza, e il terzo gruppo, di persone come me, sostiene “Shalo Achshav” e si oppone ai sostenitori o detrattori automatici di Israele”.
Il primo gruppo, secondo Dayan, è rappresentativo della nuova identità dell’ebraismo francese. Dayan non vede antisemitismo nel generale ampio contesto del fenomeno ma piuttosto lo vede come espressione della ricostruzione delle identità all’interno della società francese, che può essere sintetizzata con la frase “Dentro i musulmani, fuori gli ebrei”.
“La società francese ha compiuto un passo gigantesco per assorbire gli immigrati musulmani. E’ cambiato il modello che aveva forgiato l’identità francese a partire da Napoleone. C’era un sistema educativo molto paternalistico, molto omogeneo nei valori, ma indifferente ai colori.
“Questo è lo stampo in cui è stata formata l’identità francese. Questo è lo stampo grazie al quale un figlio di contadini come Pierre Bordieu o un immigrato nordafricano come Jacques Derrida, o come me, possono diventare intellettuali riconosciuti. Questo è l’illuminismo che aveva attratto gli ebrei.
L’abbraccio ai musulmani
“Questa era la golosità, l’esca, la ragione per cuila gente amava tanto i francesi.Quando questo modello arrivò all’esame dell’assorbimento dei musulmani nella società francese, cominciarono a emergere dei dubbi.Il cui risultato fu il cambiamento cui mi riferisco. I francesi dissero ai musulmani ‘Vogliamo cambiare per potervi accettare’. In altri termini, vogliamo capirvi in modo da farvi sentire parte di noi”.
Capisco bene se dico che non ritiene questo atteggiamento negativo?
“Certo che no. Io ammiro lo sforzo fatto dai francesi. La loro volontà di apprendere sul Corano e sui simboli musulmani. La grande popolarità accordata ad ogni mostra di argomento musulmano che apra a Parigi. E’ vero che il tentativo dei francesi di integrasi con la comunità musulmana finora non ha avuto risultati, ma esiste, è reale, concreto, impressionante”.
“Il problema che mi disturba è che, in contrasto con la volontà di costruire una nuova identità francese – una di cui gli immigranti musulmani si possano sentire parte indifferenziata – è stato fatto uno sforzo nella direzione opposta, per rimuovere gli ebrei da questa identità e farli divenire un gruppo separato, un gruppo marginale. Perchè ci deve essere una tale asimmetria?”
Nella concezione di Dayan, gli ebrei del primo gruppo, quelli che sostengono Israele e Sharon istintivamente, sono perfettamente adatti alla nuova identità che la Francia vuole assegnare agli ebrei. Le loro posizioni sono viste come di parte, inaccettabili per la “pubblica opinione” e quindi essi sono collettivamente diversi, anormali.
Quelli del secondo gruppo, i cui membri disprezzano Sharon ed esprimono dubbi sul diritto dello Stato di Israele ad esistere, Dayan li vede come gli ebrei “desiderabili”, che si raggruppano in una comunità integrata nella nuova identità francese.
“Prendiamo ad esempio un ex-israeliano come Roni Brauman, che a suo tempo aveva affermato che il supporto dato ad Israele da parte della comunità ebraica era equivalente alla complicità in un crimine. Pochi mesi dopo, un certo mezzo di informazione lo contattò per intervistarlo sulla vita culturale futura degli ebrei francesi. La risposta di Brauman fu “Non ne so nulla, e la cosa non mi interessa” ma quando si opponeva al sostegno ad Israele da parte della comunità ebraica, parlava come ebreo”.
Il paradosso è che a Brauman fu trovato fin dall’inizio un posto nei media, per esprimere critiche alla comunità, con l’accordo implicito che egli sarebbe stato presentato come ebreo critico verso la comunità ebraica.
Il terzo gruppo, il gruppo di Dayan, che era ben coccolato ai tempi dell’accordo di Oslo, è divenuto nel periodo dell’intifada la tragica vittima dello sviluppo sociale interno alla Francia. “Negli ultimi tre anni, l’atteggiamento verso questo gruppo ha mostrato tre tipologie”, dice Dayan.
“Primo, accesso negato. Io, chevenivo richiesto per interviste, mi accorsi che non mi chiamavano più, e le mie lettere non venivano più pubblicate. La seconda fase fu la tribalizzazione, e cioè un ritorno alle caratteristiche tribali. Quando finalmente accettavano di pubblicare le mie opinioni, ci scrivevano sopra “ebreo”. Terza, la criminalizzazione – con cui intendo la pubblicazione di due libri, e un articolo su Le monde diplomatique, con ‘liste’che comprendono alcune tra le migliori teste francesi, denunciati come reazionari”.
Dice Dayan che ciò ha riguardato intellettuali come il filosofo Alain Finkelkraut, lo scrittore Pascal Bruckner, il filosofo Pierre-André Taguieff, l’unico non-ebreo della lista, che è divenuto famoso – tra l’altro – per il suo lavoro sull’Olocausto, il sociologo Trigano e il regista Tarnero.
E questa è una novità?
“Si. E’ una progressione che è iniziata lo scorso autunno. Secondo me, ha odore di maccartismo, ma questo maccartismo è diretto contro gli ebrei e i sostenitori di Israele”.