Rabbì Yossì bar Avìn e Rabbì Yossì bar Zevìda stavano discutendo animatamente di una regola di halakhà legata a un versetto della Torà, apparentemente molto semplice: “Se capiti vicino a un nido di uccelli e vuoi prendere le uova, dovrai prima scacciare la madre”. La regola in questione riguardava un’eventuale iniziativa del chazàn: infatti, se quest’ultimo inizia a recitare nelle sue preghiere la seguente richiesta: “O Dio misericordioso che hai avuto pietà del nido, abbi pietà anche di noi!” oppure dice “Modìm, modìm (Ti ringraziamo, ti ringraziamo)” Beh, un simile chazàn va subito zittito.
I due rabbini discutevano sul motivo di quella strana e forse rigida regola. Il primo sosteneva che questo fosse da attribuire al fatto che tale richiesta da parte di un chazàn poteva suscitare invidia tra le creature, dal momento che per la mucca, per esempio, non esiste una regola simile a quella del nido.
Il secondo, invece, sosteneva che la ragione del divieto fosse molto più semplice, in quanto quel chazàn considera le mitzvòt di Hakadòsh Barukh Hu come atti di bontà, mentre sono solo dei decreti: per questo motivo egli va quindi fermato.
Per i più piccoli – Che cosa impariamo dal Midràsh
1) La “mitzvà del nido” (Deut. 22, 6) sia applica sia per la madre che per i piccoli: se uno vuole prendere la madre, deve prima allontanare i piccoli. Viceversa deve allontanare prima la madre, se vuole le uova o i piccoli.
2) Legata a questa mitzvà vi è quella del divieto di uccidere nello stesso giorno genitore e figlio di un animale (Lev. 22, 28).
3) Numerose altre regole di kasherùt presuppongono il rispetto degli animali (dei quali possiamo cibarci, pur rispettandone la dignità): il divieto di coprire il sangue della scannatura, il divieto di mangiare assieme carne e latte (che secondo alcuni commentatori separa “l’omicidio”—carne dal “furto”—latte), la shechità (la macellazione rituale) che evita alle bestie inutili sofferenze.
Per i più grandi – Oltre il peshàt (significato letterale)
Nonostante le apparenze, il contesto della discussione del Talmùd è squisitamente teorico: qual’è il senso delle mitzvòt? A chi servono? Sono comprensibili all’uomo? Servono all’uomo ad essere più buono?
Innanzitutto i due Maestri citati sono entrambi d’accordo che chi recita una preghiera ripetendo la parola “modìm” va fermato. Perché è come se supponesse che esistano due regni da ringraziare, uno del male e uno del bene. Mentre è chiaro che è Dio solo il responsabile, sia del bene, sia del male, sulla Terra. Nella Mishnà è scritto infatti che bisogna benedire Dio sulle cose cattive così come su quelle buone (Berakhòt 9, 5). Il monoteismo ebraico non ammette dilazioni.
La regola del nido poi, pur essendo apparentemente, una semplice e comprensibile norma di comportamento pietoso, nei confronti dell’uccello madre, è pur sempre una mitzvà, un decreto divino e non sta a noi decidere quale mitzvà abbia gli attributi di misericordia e quale no. Che ne sarebbe poi delle mitzvòt più difficili (o impossibile) da comprendere come lo shaatnèz (il divieto di indossare assieme lana e lino) o le ceneri della vacca rossa (che rendevano puri gli impuri)?
In realtà entrambi i Maestri sembrano voler dimostrare che i criteri divini di bene e male non corrispondono necessariamente a quelli umani e che a voler compilare una classifica delle mitzvòt “buone” si corre il rischio di sminuire le altre. Senza contare che, se alcune mitzvòt sembrano dettate dalla bontà, e sono comprensibili e accettate da tutti gli uomini, che senso avrebbe imporle come obblighi?
Sullo Shulchàn Arùkh (Y.D. 292) troviamo un’altra spiegazione della banalità della “mitzvà del nido”. Perché è scritto “Quando ti capita…”? Per venirci a dire che le mitzvòt ti possono capitare anche per caso, che tutta la vita dell’ebreo è scandita da esse, anche quando meno se l’aspetta. Nel Talmùd è infine scritto (Chullìn 142a): “Se per una mitzvà così banale si viene premiati, a maggior ragione per quelle più complesse o difficili da mettere in pratica!”
T.B. Berakhòt 33b
David Piazza
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