“Frugavo in quelle carte dimenticate”. Il volontario Giancarlo Spizzichino, 76 anni, ingegnere chimico in pensione e appassionato di storia. È stato lui a scoprire la storia del Ghettarello. I faldoni con le mappe erano rimasti chiusi dal 1929
Gabriele Isman
Mille faldoni e altrettanti registri, in larga misura ancora da scoprire. “Qui c’è davvero tanto da fare” dice Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento Cultura della comunità ebraica romana. Nelle stanze accanto alla sinagoga, lavorano l’archivista responsabile Silvia Haia Antonucci e il volontario Giancarlo Spizzichino, 76 anni, ingegnere chimico in pensione e appassionato di storia. È stato lui a scoprire la storia del Ghettarello, ma si schermisce quando qualcuno gli parla di “scoperta straordinaria”.
L’archivio è negli spazi attuali dal 1997 e inizialmente era aperto una volta a settimana. Nel 2001 la situazione cominciò a cambiare, e da 7 anni le stanze sono aperte tutti i giorni. “Il riordino dei materiali dice Silvia Haia Antonucci è quasi terminato, mentre per il restauro i fondi sono finiti da tempo: non erano pochi, ma c’era molto da lavorare”.
Inserito nel circuito degli archivi riconosciuti di notevole interesse storico, è visitabile su appuntamento e per chi fosse interessato i riferimenti sono all’indirizzo web romaebraica. it/archiviostoricoascer. “Siamo sopraffatti dalle richieste di appuntamenti, ma siamo sempre pronti a ricevere i visitatori” spiega l’archivista.
A pochi metri dalla sinagoga, gli scavi del Ghettarello: “La stragrande maggioranza dice Procaccia delle fonti sugli ebrei a Roma sono inesplorate e diffuse tra varie realtà: Vaticano, archivio storico capitolino, archivio di Stato di Roma e quello centrale dello Stato, senza dimenticare le varie biblioteche pubbliche.
E anche sull’archeologia c’è molto da fare: i 18 chilometri di catacombe sono ancora non scavate e inesplorate e i resti della sinagoga di Ostia sono difficilmente accessibili ai turisti e ancora poco studiati”.