Giuliana Limiti
La larga bibliografia sull’argomento richiederebbe un approfondimento assai più vasto di una lezione. Chi vi parla, discepola e figlia spirituale di Ugo Della Seta, il mazziniano romano intransigente che ha testimoniato, per tutto il periodo del fascismo, che l’etica ebraica e mazziniana costituivano un unicum ideale da salvaguardare per le future generazioni, si è occupata di queste problematiche sin dal 1945-46.
Come studiosa è del 1960 il mio saggio su Valutazione pedagogica del trattato ebraico Pirké Avoth (ne: I Problemi della Pedagogia, n.1, 1960, pp.365-380) che ebbe l’onore di una favorevole recensione del Rabbino Dante Lattes, dal quale molto ho appreso sull’etica ebraica.
Il tema si può affrontare da tre aspetti metodologici diversi. Il primo sarebbe di percorrere storicamente le tappe della persecuzione, della discriminazione anti ebraica e della sua emancipazione; il secondo sarebbe di cogliere il senso e l’apporto della partecipazione degli ebrei alla politica e alla storia d’Italia; il terzo, che cercherò di seguire, è l’influenza dell’etica ebraica nella politica italiana.
La mia lezione sarà centrata sul Risorgimento, perché da qui nasce la cultura politica italiana moderna ed il notevole contributo degli ebrei al processo di unità, di indipendenza, di progresso, di libertà, al riscatto nazionale che è coinciso, non a caso, con il loro riscatto.
Basti pensare cosa ha significato nel Piemonte, nel Regno di Sardegna, lo Statuto Albertino del 1848 che poneva gli ebrei, i valdesi, come “regnicoli”, in una posizione di eguaglianza di fronte alla legge, nonostante i molteplici concordati con la Chiesa Cattolica che avevano segnato la loro discriminazione ed umiliazione. Un eco di questo impatto lo si può ancora constatare nella visita alla Sinagoga di Torino ove il ricordo del Re Carlo Alberto è inciso nella intitolazione di stanze, di ricordi, di epigrafi. L’interpretazione evolutiva dello Statuto Albertino subito assunta dal Parlamento subalpino e da Camillo Cavour (che aveva un segretario personale ebreo) legò alla rappresentanza politica l’attuazione, con il Re, dei Principii dello Statuto stesso. Esso costituì l’intelaiatura costituzionale che caratterizzerà man mano la politica cavourriana fino alla unificazione italiana del 1861. Poi della conquista di Roma come Capitale d’Italia, nella legislazione statuale moderna che portò, nel 1876, alla parità del bilancio dello Stato. Questa intelaiatura costituzionale durerà fino al 2 giugno 1946, quando il popolo italiano sceglierà la forma istituzionale repubblicana e l’Assemblea Costituente discuterà la nuova Costituzione. Ma l’ictus operato dal fascismo, con l’accordo e la complicità del Re, allo Statuto Albertino, sia nel 1931 con la richiesta ai professori universitari del giuramento di fedeltà al fascismo, sia, soprattutto, nel 1938 con la legislazione razziale antiebraica, ruppe in modo ireversibile quella costituzionale intelaiatura, rinnegandola nei principi costitutivi di libertà. Per fortuna, nel 1946, il popolo italiano se lo ricordò e votò per la Repubblica.
Il principale contributo alla coscienza nazionale italiana, sul piano delle idee ed in particolare dell’etica, emerge nella figura e nel pensiero di Giuseppe Mazzini che nella religiosità del suo pensiero politico, nell’aspirazione alla libertà ed alla giustizia, pose la centralità della coscienza, per operare per il bene comune senza compenso, nell’uguaglianza di ogni uomo come creatura di Dio, nel quadro di una fraternità universale. Nell’educare al senso di appartenenza ad una identità comunitaria, ad una identità nazionale, europea ed universale, Giuseppe Mazzini operò nella doverosa memoria del passato e nella religione del dovere verso Dio, verso sè stessi e gli altri. Giuseppe Mazzini ebbe come amici, collaboratori e fratelli negli ideali ebrei come Elia Benamozek, la cui lettera a lui diretta orna l’ufficio romano del Rabbino Toaff, ove si parla della fratellanza con il popolo ebraico e la sua tradizione morale. Nella famiglia Nathan, Mazzini a Londra trovò ambiente fraterno ed amichevole (Ernesto Nathan sarà poi suo l’esecutore testamentario, discepolo, e continuatore ideale nel giornalismo mazziniano oltre che nel governo della cosa pubblica come Sindaco di Roma). La famiglia Rosselli imparentata con i Nathan, nella ospitale casa a Pisa, confortò Mazzini malato che morì il 10 marzo 1872. Quella casa (Domus Mazziniana) è ora la più grande biblioteca e il centro morale degli studi mazziniani.
L’influenza tra ebraismo e mazzinianesimo fu reciproca.
Infatti Teodoro Herzl, si richiamò a Mazzini, nell’elaborare l’idea di nazione ebraica. Lo Stato di Israele a questa tradizione politica, oltre che all’Olocausto, si è richiamato e si richiama.
Il Risorgimento italiano e il mazzinianesimo in particolare offrirono agli ebrei non soltanto il riconoscimento e il sentimento dell’eguaglianza, ma anche la piattaforma per la loro partecipazione politica. Cosa ha significato Daniele Manin a Venezia nel 1848 con il suo ministro delle finanze Maurogònato, nell’inalberare la fierezza della identità veneziana ed italiana (ed ebraica) nella lotta per la libertà e l’indipendenza; così come la Repubblica Romana del 1849 ed il Triunvirato, ove per la cui difesa Giacomo Veneziani moriva e Gustavo Modena e la moglie, insieme al fior fiore della gioventù italiana, dava l’esempio di come una Repubblica dovesse attuare in ogni suo atto, il principio della virtù e del progresso, l’attestano le storie e i sacrifici.
Fu nel periodo dell’unificazione italiana e del Risorgimento che Luigi Luzzatti e Sidney Sonnino divennero primi ministri, realizzando, nell’ottica del liberalismo sociale, il riscatto dei contadini, come nella tradizione ebraica, difendendo la piccola proprietà ed organizzando un sistema di banche popolari per il credito. Fu sotto la loro presidenza che fu realizzato, con leggi dello Stato ed azione pubblica, il principio dell’istruzione elementare obbligatoria, fortemente contestato e negato dalla Chiesa Cattolica.
Ernesto Nathan, mazziniano convinto, riprese durante il periodo del suo Sindacato di Roma, la battaglia della formazione “educativa dei giovani per preparare il cittadino cosciente della vita amministrativa e politica del paese: il soldato valoroso nella difesa della patria: l’uomo probo nella lotta contro il malcostume, l’alcolismo, il delitto: il contadino intelligente per il progresso agrario della nazione: l’operaio abile nella concorrenza internazionale della produzione e del lavoro”. (1)
- Ernesto Nathan, La morale nell’insegnamento pubblico. In Nuova Antologia, 16 luglio 1907, pag. 270.
Nathan, pur lottando contro la massima delle vergogne nazionali, l’analfabetismo, sposta l’ottica in una concezione dello Stato che, cosciente della sua missione civile, avoca a sè stesso il dovere di impartire l’istruzione e l’educazione elementare al fine di sviluppare e formare le facoltà individuali, colmando la sperequazione fra istruzione ed educazione, tra mente e cuore. In quest’ottica propone che, tra le altre materie, si aggiungesse l’insegnamento dell’etica professionale. Nell’illustrarla la definisce anche etica pubblica, tecnica, civile, affinché si chiarisca la discriminazione tra il lecito e l’illecito, nell’esercizio professionale di ogni mestiere, da quello artigianale, commerciale, industriale, alle professioni libere o dotte, nelle scienze naturali, nella letteratura, nella politica. Un insegnamento di etica che non coincida con la morale che si insegna nelle scuole e nelle chiese, ma che si fondi sui principi della rettitudine, della verità, dell’onestà, della precisione, dell’ordine, dell’assiduità, della solidarietà. Precisò Nathan: “non la morale cristiana, nè l’ebraica né la maomettana, né la buddista, – non la rivelazione cristallizzata in un libro sacro, sia di Rama, di Krishner, di Hermes, di Mosè, di Pitagora, di Platone, di Cristo o di Maometto; la morale, invece, che, filtrando attraverso i vari strati della civiltà, diffusa dalle varie rivelazioni religiose, sta a sé, patrimonio laboriosamente acquistato attraverso infinite lotte e sacrifici dalla umanità, e, come tale, dall’opera incessante degli uomini e dei secoli consolidata, diffusa, ingrandita, – la morale che al pensiero giusto associa l’azione giusta e cielo alla terra unisce, entrambi collegando in virtù della legge che governa l’essere e connette il finito coll’infinito, – la morale che nell’aspirazione al progresso e nell’opera individuale per conseguirlo ravvisa il premio e la pena, ora e poi, – la morale a tutte le fedi aperta, la lenta, quasi inavvertita crescita ed il risveglio graduale della coscienza umana attraverso i secoli, che dall’istinto gregario dei bruti, sublimato ed affinato nell’uomo in guisa da ispirare ad amore ed a fraternità i comuni rapporti, accetta consapevolmente a norma di vita il dovere, ispiratore del diritto, della sua legittimità arbitro e giudice” (op.cit.pag.277).
Era la realizzazione della dignità dell’uomo attraverso un lavoro onesto, non della volgare onestà che si astiene al portar via denaro o roba per timor del codice penale in questo o nell’altro mondo, ma della onestà vera, legata alla dignità personale e professionale, ad un’etica sociale che avrebbe consentito il progresso civile e l’esercizio della doverosità civile come uomo e come lavoratore. Si trattava, in un certo senso, di richiamare “moralità intravvedute e predicate dai grandi veggenti dell’umanità, divulgate e volgarizzate attraverso la successione delle forme religiose, penetrate nella coscienza civile, quali verità indiscutibili, inseparabili dalle condizioni di convivenza sociale, riconosciute come estrinsecazioni di una suprema legge — quelle, spogliate da ogni formale ritualità o individualizzazione religiosa, hanno eletto domicilio in terra e sono riconosciute parte integrante, necessaria dell’uomo, quella che esercita o dovrebbe esercitare influenza determinante in tutte le azioni della sua vita” (op.cit.pag.283).
E tale etica professionale delle varie specializzazioni è atta a plasmare ed indirizzare la formazione e i caratteri, a seconda degli uffici a cui ciascuno è chiamato “dal professore allo spazzaturaio, dal deputato esperto nei negozi politici al bottegaio esperto nei negozi commerciali”. L’etica è strettamente collegata ai doveri che la via prescelta impone agli individui e alla società.
Ernesto Nathan dichiarò che le idee su questi argomenti “non sono originali, farina del mio sacco; sono una piccola e semplice derivazione, applicata al fatto pratico, dei doveri dell’uomo di Giuseppe Mazzini. Fu egli — continua Nathan — ad affermare che per salire in cielo imposta santificare la terra; egli ad indicare come il diritto non sia che la conseguenza di un dovere compiuto; egli a riassumere la legge di eterno progresso che ci governa, nel motto “Dio è Dio, l’umanità è il suo profeta”; egli a dimostrare come sia sterile il pensiero senza l’azione, anarchica l’azione senza il pensiero; egli a voler equilibrio fra facoltà intellettuali e facoltà morali, fra mente e cuore; egli soprattutto a distinguere fra la religione eterna che sorge nel petto umano e le religioni che, compiuto il loro ciclo, adempiuto alla loro missione, lentamente si disfanno per confondersi colla polvere del tempo. Immedesimare negli insegnamenti quei fecondi pensieri, come gli altri più facili e diretti per le scuole elementari, è rendere il dovuto omaggio al pensatore, patriota ed educatore, per quanto non possa essere in armonia coi predicati, a suon di barricate e di rivoluzione, pronunciati da coloro i quali rivendicano il monopolio della sua successione educativa. E bisognava dirlo in omaggio alla verità ed al grande pensatore”.
Come si può notare la prosa di Nathan, nel ricordare Mazzini, assume afflati sentimentali di legame filiale, soprattutto sotto l’aspetto etico. E tuttavia quando due anni fa si è voluto ricordare il centenario di Nathan in Campidoglio, dal Comune di Roma, a trattare questo argomento il Comune chiamò un frate che di Mazzini non aveva capito nulla.
La derivazione mazziniana del Sindaco Nathan si concretò anche nella politica amministrativa a Roma (1) nei principi di giustizia tributaria fondati nel riconoscimento del diritto e della libertà della proprietà privata e nell’utilità pubblica. Si trattava di fare in modo che case fossero costruite negli spazi scoperti. Se i privati proprietari non volevano costruire non si poteva costringerli ma li si invitavano a valutare il terreno secondo il proprio criterio finanziario. Il Comune si riservava la facoltà di acquistare la proprietà privata al prezzo dai proprietari fissato. Se però intendevano tenere inoperoso il terreno e il Comune non ravvisava la convenienza di esercitare il diritto di opzione, si doveva pagare la tassa del 3% sul valore fissato dai proprietari: era il contributo da dare per non voler adempiere al dovere di edificare. Questo criterio di soddisfare i legittimi bisogni della collettività senza spogliare l’individuo costituì uno dei fondamenti mazziniani della riconosciuta funzione della proprietà privata e dei doveri che ad essa debbono accompagnarsi.
Era sindaco di Roma Ernesto Nathan il 17 marzo 1911, quando ricorreva il cinquantenario della proclamazione di Roma Capitale avvenuta per iniziativa di Cavour al Parlamento di Torino nel 1861. Si era deciso di organizzare una grande Esposizione d’Arte internazionale per una degna commemorazione della data. L’Esposizione, nella triplice manifestazione archeologica, architettonica e di belle arti, si svolse efficacemente sia sul piano del trionfo artistico che dell’affermazione dell’italianità e della libertà. Ancora oggi godiamo dei frutti cui diede vita quella Esposizione Artistica internazionale (Museo archeologico nazionale alle Terme Diocleziane, il Museo medioevale a Castel Sant’Angelo, il Monumento a Vittorio Emanuele II, il Museo d’Arte Moderna a Valle Giulia, la sala concerti all’Augusteo, il Ponte del Risorgimento, la ferrovia ed il pontile di Ostia, le borgate rurali con le costruzioni delle scuole e delle delegazioni rurali con i medici condotti, le municipalizzazioni della luce, dei trams, del frigorifero, delle affissioni, ecc.) Essa ebbe l’ostruzionismo e il boicottamento da parte Chiesa Cattolica che diffuse la notizia che il colera aveva colpito Roma e per dimostrare questa falsa notizia divulgava la fotografia degli operai che lavoravano al Monumento a Vittorio Emanuele II a Piazza Venezia distesi, nelle ore di siesta, per riposare, come persone morte di colera e là abbandonati… per scoraggiare la gente a venire a Roma! Il colera apparso in qualche caso, enormemente esagerato dai male intenzionati, e vigorosamente combattuto, circoscritto e domato dall’Ufficio d’Igiene.
- Ernesto Nathan, L’amministrazione popolare al Campidoglio. In: Nuova Antologia, 1 marzo 1914, 254, 36.
Ben diverso il comportamento del Governo italiano per il rispetto di eventi religiosi cattolici ieri e oggi!
Tutta l’azione amministrativa mirò all’applicazione della legge sull’istruzione obbligatoria ed alla fame delle popolazioni agricole per l’istruzione, nella impotenza dello Stato e dei Comuni. Si aprirono circa centocinquanta asili d’infanzia “per sottrarre i piccoli fanciulli dagli inconvenienti morali ed igienici derivanti dalla casa mal curata e dalla strada mal frequentata”, ai quali si somministrava anche la refezione scolastica. Il problema della scuola civile e laica si imponeva come una necessità primaria. Una scuola “laica per il profondo sentito rispetto alla religione, alle varie fedi religiose, alla libertà di coscienza, che impone la sottrazione di ogni insegnamento rituale dal potere pubblico affinché rimanga nel dominio assoluto dell’individuo e della famiglia a cui appartiene; civile perché la morale, il dovere personale, la virtù civica, sostrato comune a tutte le religioni, per quanto diversa si voglia l’origine, siano materie d’insegnamento educativo, e, nel campo del bene, uniscano insieme i seguaci di tutte le fedi, da quelle sorgenti in oriente, a quelle tramontanti in occidente”.
Quanto lontani da questi principii le cosiddette riforme scolastiche dei nostri tempi che hanno scacciato la cultura della scuola e dato alla Chiesa Cattolica finanziamenti che neppure i ministri della Pubblica Istruzione cattolici diedero.
In relazione al principio della libertà di coscienza che il 20 settembre 1870, con la breccia di Porta Pia e con Roma riconosciuta Capitale d’Italia, si rese possibile, è da notare il discorso che Nathan pronunziò a Porta Pia, nel 1910, per esprimere “il consenso, la soddisfazione, la gioia dei romani, espressi nel plebiscito, per la loro liberazione dal dominio Pontificio e la loro unione ai fratelli d’Italia”. Il Pontefice lanciò una formidabile scomunica quale risposta. Si poneva sempre più evidente il contrasto tra i doveri verso la Patria, il consorzio civile e l’avvenire e le pretese papali che ribadivano l’appello agli stranieri (alla lega austriaca in particolare) per rientrare in possesso del dominio temporale.
L’idea mazziniana della Terza Roma, dopo quella dei Cesari e dei Papi, si fondava su un processo di educazione civica e la cerimonia in Campidoglio, introdotta da Nathan, per premiare gli allievi più bravi delle scuole di Roma, nel giorno celebrativo dello Statuto Albertino, che ogni anno si svolgeva, costituiva una tappa di riconoscimento del ruolo della cultura nell’educare gli animi ad essere italiani. Ai giovani si regalavano libri, si davano attestati, li si riconosceva cittadini ai quali affidare i destini della Patria.
In questo processo di unione di libertà e di italianità, gli ebrei italiani si sentirono patrioti, integrati, italiani, partecipi dei comuni destini.
In questo contesto il completamento del Risorgimento nel processo di unificazione vene svolto nel 1915-1918 dalla chiamata alle armi nella prima guerra mondiale ove il popolo italiano tutto, i sardi di Lussu e gli alpini e i fanti di ogni parte d’Italia, i granatieri piemontesi, gli ebrei (che spesso erano andati volontari), si unificarono nel dolore e nella sofferenza. Se si riflette sul rapporto tra i morti, i feriti, le medaglie d’oro ed al valore presi, durante la prima guerra mondiale, dai cittadini italiani di religione ebraica, si noterebbe l’enorme contributo dato da questa minoranza d’italiani; il più alto rispetto alla popolazione.
La guerra mondiale contribuì all’unione spirituale degli italiani fondata sui sacrifici.
Gli errori dei socialisti massimalisti che, non compresero il ruolo svolto dalla guerra ed attaccarono i reduci come nemici e contribuendo a far in modo che il sentimento nazionale, degradasse in nazionalismo, portarono diversi ebrei a divenire fascisti…. ma il fascismo, se ne accorsero a proprie spese e vite, non era l’Italia.
La sintesi di questo percorso reciproco dell’impatto dell’etica ebraica nella politica italiana e della partecipazione degli ebrei ad essa è il testo “Ebraismo ed italianità di Nello Rosselli” scritto nel 1924 prima del delitto Matteotti. In questo testo Nello Rosselli rivendicò il suo essere ebreo in quanto intensamente assetato di religiosità, in quanto indistruttibile in lui la coscienza monoteistica ed il senso della responsabilità personale e quindi della ingiudicabilità da altri che dalla propria coscienza, perché considerò con ebraica severità il compito della nostra vita terrena e con ebraica serenità il mistero dell’oltretomba, perché ama tutti gli uomini come in Israele si comanda di amare, come anzi in Israele non si può non amare, perché ha un senso profondamente religioso della famiglia. Nello anche se non andava al tempio il sabato, se non conosceva l’ebraico e non osservava alcuna pratica di culto, teneva al suo ebraismo e voleva tutelarlo da ogni deviazione. Egli scrisse: “oggi, diciamo pur francamente quanto sta nel cuore di molti, la pratica della nostra religione si distacca continuamente dalla Nazione di cui ci sentiamo figli, anzi serve precisamente a questo. Noi vogliamo accordare la religione con la realtà della nostra vita; la realtà, questa realtà, per molti di noi è qui, non è fuori di qui, non può essere che qui. Bando agli equivoci dunque. Ciascuno interroghi se stesso e trovi la sua vita…. Gli ebrei integralisti trovano la loro pace, o cercano la loro pace in Sion. E anche noi, e anch’io, devo trovare la mia pace, la serenità della mia vita. Essa non può trovarsi che dove sono le fondamenta della mia individualità: nell’ebraismo e nell’italianità”.
Ebraismo ed italianità. Come nel Risorgimento. In Italia intanto il fascismo perseguiva con la complicità del Re, l’itinerario dell’antirisorgimento. L’anno della riportata dichiarazione di Nello Rosselli è lo stesso dell’assassinio di Giacomo Matteotti. La Chiesa Cattolica nel 1929 otterrà dal fascismo i Patti Lateranensi che affideranno allo Stato, tra l’altro, l’incarico di braccio secolare nei confronti delle persone dalla Chiesa condannate. E’ il caso dell’art. 5 di quei Patti che costringerà lo Stato a mandar via dall’Università o da altri uffici pubblici quei sacerdoti, come l’illustre storico del cristianesimo Prof. Ernesto Buonaiuti, che in quanto condannati dalla Chiesa non potevano avere più rapporti con i cittadini, anche se avevano vinto una cattedra universitaria. Nel 1931 con l’obbligo del giuramento di fedeltà al fascismo per i professori universitari in base al decreto legge 26 agosto 1931 n.1227, la cultura italiana, nella maggior parte mostrò mancanza di dignità e di carattere. Sia il Papa Pio XI, sia Benedetto Croce, sia Palmiro Togliatti, invitarono a giurare fedeltà al fascismo con la riserva mentale. Solo dodici professori ordinari e molti liberi docenti, tra i quali Ugo Della Seta, non giurarono. I loro nomi dovrebbero essere incisi in ogni Università dello Stato per richiamare alla eticità professionale e alla coerenza della dignità scientifica e personale. Essi furono: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Edoardo Ruffini, Francesco Ruffini, Lionello Venturi e Vito Volterra. Costoro salvarono la dignità della cultura italiana. Di questi cinque erano ebrei. La dignità della cultura nazionale si salvò anche per loro.
Nel 1937 vennero assassinati Nello e Carlo Rosselli, le cui vite erano ispirate all’etica ebraica, originando il secondo Risorgimento, in particolare il Movimento di Giustizia e Libertà: “Oggi in Spagna domani in Italia” rievoca l’augurio, l’anno prossimo a Gerusalemme, pronunziato spesso anche in condizioni di schiavitù.
L’Italia ufficiale rinnegava lo Statuto Albertino, l’eredità del Risorgimento, l’educazione mazziniana, l’apporto ebraico all’esistenza dell’Italia come Nazione e come Stato. Le leggi antiebraiche del 1938 costituirono la rottura e la smentita dell’intelaiatura costituzionale dello Statuto, il doloroso distacco dal tessuto vivo della Nazione di cittadini italiani ebrei che avevano onorato l’Italia in ogni campo. L’entrata in guerra dell’Italia nel 1939, accanto alla Germania nazista, completò il processo di allontanamento alle origini liberali della Nazione. Tra gli italiani esuli politici negli Stati Uniti d’America si costituì per volontà di Lionello Venturi (uno dei professori che non giurarono fedeltà al fascismo), di Gaetano Salvemini, di Max Ascoli, di Carlo Sforza, di Randolfo Pacciardi e di tanti altri illustri antifascisti, la Mazzini Society per ricostruire la piattaforma di riforme liberali e democratiche, una volta liberata l’Italia dal nazifascismo, per dare alle diverse matrici politiche italiane la possibilità di dialogo e di proposta. Non è un caso che lo stesso Don Luigi Sturzo, fondatore nel 1919 del Partito Popolare italiano, aderì ad essere tra questi italiani che non si davano per vinti, negli Stati Uniti.
Dal 1943 al 1945 assistemmo alla deportazione di migliaia di cittadini italiani ebrei condotti allo sterminio. Anche a Roma, il 16 ottobre 1943 la deportazione di vecchi e bambini, uomini e donne innocenti, colpevoli solo di essere ebrei, strappati alle loro case e portati nei campi dell’olocausto, si svolse nel colpevole silenzio di tutti, anche di Pio XII che poteva rivolgere almeno una preghiera, una solidarietà. Nulla disse! Il silenzio fu d’oro, come il pesce che è all’ingresso, a Gerusalemme, del Museo dell’Olocausto.
Quella tragedia è anche una tappa di riflessione etica.
Quando nel 1962 venni chiamata a Varsavia a fare la relazione sull’insegnamento della Resistenza, nel primo Convegno europeo delle Associazioni antifasciste, scrissi chiaramente che noi avevamo lottato il fascismo per essere liberi, per avere la possibilità della conoscenza della verità, nella dialettica delle idee, e mi dichiaravo contraria all’insegnamento della Resistenza come tale, staccato dal contesto della storia e dell’insegnamento di questa sulla base dei documenti e della scientificità dei suoi metodi e della sua ricerca. Avevamo lottato il fascismo per non avere una ideologia o storia di regime. Ma quella posizione, che ribadisco, si scontrava con una realtà europea divisa in due blocchi, ove il blocco comunista era portato ad esasperare un aspetto della lotta antifascista nella quale aveva partecipato, anche se non è da dimenticare che Stalingrado non annullava il trattato nazista-sovietico Molotov-Ribbentrop! Rimasi isolata allora. Oggi invece si richiamano quelle idee.
Affinché non si ripetano gli orrori del passato, occorrono non solo i giorni della memoria, ma la conoscenza e lo studio della storia e della filosofia che, purtroppo, recenti riforme scolastiche hanno, di fatto, bandito.
L’Italia che è profondamente cambiata nella pluralità religiosa, razziale, etnica, è tuttavia ancora legata a rapporti concordatari con il Vaticano che la cattolicissima Spagna, ritrovata la libertà dopo il franchismo, ha da tempo superato.
Assistiamo alle metamorfosi di una Chiesa Cattolica che da un lato con il Concilio Vaticano II annulla le mortificazioni, le condanne e le discriminazioni verso gli ebrei, da l’altro con nuove encicliche e richiami alla sua dottrina della fede, riporta all’egemonia cristiana che, non dimentichiamolo, fu all’origine dell’antisemitismo, nonostante le domande di perdono dell’attuale Pontefice.
Il tema dei rapporti dello Stato con la Chiesa Cattolica attraversa, come è noto, la storia d’Italia e resta come anacronistico fardello, in tempo di globalizzazione, per l’attuazione della libertà religiosa, della civile tolleranza e rispetto di ogni religione. Ricordiamo che fu Federico II (1194-1250) con le Constitutiones regni utriusque Siciliae (1231) che offrì la piattaforma di uno Stato (Monarchia assoluta e centralizzata) garante della tolleranza con ebrei ed arabi. Federico II venne dalla Chiesa Cattolica scomunicato e nella lotta che si accanì verso la sua tolleranza, si venne a creare il Partito Guelfo (Pars Ecclesiae) che lo considerava eretico e il Partito Ghibellino (Pars Imperii) per difenderne le ragioni di civiltà. E’ la dialettica che ha caratterizzato la vita politica in Italia per secoli evidenziando il ruolo di garanzia che lo Stato era chiamato ad assolvere. Quando l’attuale Papa Giovanni Paolo II entrò, per la prima volta, nella Sinagoga Romana, il Presidente della Comunità Israelitica italiana, Prof. Giacomo Sabban, nel salutarlo, ricordò con legittimo orgoglio che gli ebrei erano a Roma da oltre duemila anni avendo legato la loro sorte alle vicende dell’Impero Romano. I divieti nei confronti degli israeliti cominciarono quando l’Impero Romano divenne cristiano. Dapprima fu loro impedito di possedere schiavi cristiani, di contrarre con loro matrimonio, di rivestire cariche pubbliche, di esercitare l’avvocatura e il servizio militare. In tutto il medioevo, dovettero affrontare conversioni forzose, espulsioni ed altro, secondo le circostanze. Si aggiunse l’obbligo di un contrassegno giallo da portare sul petto (Concilio Lateranense IV del 1215) e l’obbligo di residenza entro il ghetto. Furono solo le necessità creditizie che spinsero quasi tutti gli Stati preunitari a concedere il diritto di soggiorno agli ebrei. Ciò nonostante gli israeliti, fedeli alla Torà, agli studi, continuarono, pur nelle ristrettezze di vita, a testimoniare la loro intelligente arte di saper vivere e sopravvivere nella lotta e nella speranza di libertà.
Riprendendo il filo del discorso, dopo l’Olocausto, dopo la fine della seconda guerra mondiale, il popolo italiano fu chiamato a scegliere la forma istituzionale e l’Assemblea Costituente per rinnovare il Patto Nazionale, infranto con le violazioni dello Statuto Albertino. Per la prima volta votarono anche le donne. Il popolo italiano scelse la forma istituzionale repubblicana sognata da Giuseppe Mazzini. All’Assemblea Costituente tre figure ebraiche possono essere viste come punto di riferimento etico. Dopo ventidue anni di carcere passati sotto il fascismo, Umberto Terracini, venne chiamato a presiedere l’Assemblea Costituente. Fine giurista, disse di lui Vittorio Emanuele Orlando, si dimostrò Presidente nato. Tornato dall’esilio, Emanuele Modigliani che nel 1924 nell’aula di Montecitorio rivolgendosi a Mussolini, per il delitto Matteotti, aveva gridato: “tace, è complice”, rimase testimone muto all’Assemblea Costituente per la malattia che non gli consentiva di parlare: la sua stessa presenza però richiamava quell’antica e vera accusa. Infine Ugo Della Seta, il mazziniano romano che scelse la solitudine e la povertà per non rinnegare i suoi ideali inviato all’Assemblea Costituente con un consenso di voti elevatissimo che difese la libertà di coscienza violata dai Patti Lateranensi, mostrando il carattere bifronte nei confronti di questa libertà che la Costituzione andava concretando. Egli fu la voce che smascherò gli equivoci di Patti innaturali che si andavano introducendo nella struttura costituzionale repubblicana.
Come ho detto all’inizio, sin da adolescente, accompagnando il mio maestro Ugo Della Seta, ho partecipato ad eventi che hanno segnato la mia vita. Ricordo ancora quando fu riaperta la Sinagoga per la prima volta dopo la deportazione. Officiava il Rabbino Prof. Prato. I presenti invocavano i nomi dei deportati, il Rabbino stesso quello di sua figlia. Sono momenti, sensazioni, che non si possono dimenticare! Così quando venne inaugurata la lapide, dettata da Ugo Della Seta che ricordava gli oltre duemila ebrei romani deportati il 16 ottobre 1943. E quando si passò sotto l’Arco di Tito con i soldati della legione ebraica e i sopravvissuti dalle persecuzioni. Secoli di storia rivivevano nei nostri cuori.
In questo clima si venne a costituire l’Associazione Italia-Israele, come libera volontà di amici, prevalentemente non ebrei, appartenenti ai partiti antifascisti, che intendevano seguire la formazione dello Stato di Israele. Essa costituiva una élite di persone che si assumevano il dovere morale di non lasciar soli i sopravvissuti. Il primo Presidente fu Luigi Einaudi che, assumendo nel 1948 la Presidenza della Repubblica, fu nominato Onorario. Poi vi furono Ferruccio Parri, il senatore Caleffi, il senatore Dal Falco, il senatore Cifarelli.
Non bisogna dimenticare che per molti anni, oltre la Chiesa Cattolica e la destra estrema, furono i sindacati e la sinistra a colpevolizzare lo Stato di Israele e la sua politica, nonostante il voto favorevole dell’URSS per farlo nascere. La logica della guerra fredda, l’anti americanismo, i legami strettissimi tra i palestinesi ed il mondo del terrorismo, la cieca passionalità di classe, portarono a manifestazioni violente di cui fu vittima, tra l’altro, il piccolo ebreo romano Tachè. Ci fu un periodo che anche coloro che si erano dichiarati amici dello Stato d’Israele, si defilavano. Quella dissennata politica della sinistra si ripercosse anche su taluni ebrei italiani. Umberto Terracini ed Eugenio Reale che avevano aderito all’Associazione Italia-Israele furono di fatto isolati. Mi sia consentito di ricordare l’opera costante che in questa Associazione di cui sono stata segretaria, ebbero il Prof. Aldo Garosci e la moglie e il Prof. Bruno Zevi. Man mano che montava il terrorismo e l’ostilità della sinistra nei confronti di Israele, con la nuova strategia dell’intifada palestinese, l’Associazione Italia-Israele trovava difficoltà ad operare. Parecchi si defilavano.
Sono lieta ed onorata di aver potuto ad Ancona, affrontare a viso aperto le insidie e le falsità di Mons. Capucci. Egli nonostante la generosità della grazia concessagli da Israele per la condanna del tribunale per i reati di commercio di armi e di denaro, sollecitata dal Papa Paolo VI con la promessa che si sarebbe ritirato a vita privata e non avrebbe più partecipato alla politica del medio oriente, andava in giro per l’Italia facendosi osannare da autorità e sindacati, in nome di una giustizia di cui era stato per primo il negatore. Fu dopo questo dibattito organizzato dal Rotary Club di Ancona che Mons. Capucci uscì dalla scena politica. La cassetta registrata venne mandata in Vaticano per dimostrare la mancata promessa! Capucci sfruttava una situazione politica italiana ambigua e metteva in discussione la stessa credibilità di un grande Papa quale fu Paolo VI.
Nel giugno 1983 la Fondazione Nansen di Oslo prese l’iniziativa di costituire un Comitato internazionale di esperti per un’indagine sull’antisemitismo. Venni invitata a svolgere la relazione su L’UNESCO e l’antisemitismo. Alla fine dei due giorni di discussione, venne redatta la Dichiarazione di Oslo del 1983, nella quale si precisava che se in passato l’antisemitismo era la lotta all’ebreo in quanto tale, ora l’antisionismo, forma moderna di antisemitismo, è lotta allo Stato d’Israele in quanto Stato ebraico. Quindi l’antisionismo è l’antisemitismo dei nostri tempi. La dichiarazione di questo principio, redatto dai relatori e dal loro Presidente Elie Wiesel, costituisce il documento conclusivo, sottoscritto dai capi gruppo parlamentari di ogni parte del Parlamento norvegese. In calce c’è anche la mia firma. Essa venne successivamente approvata da tutti i parlamenti dell’Europa del Nord.
Conosciuta in Italia, questa dichiarazione venne fatta propria da esponenti di tutti i gruppi politici antifascisti e l’On. Oscar Luigi Scalfaro, allora Vice Presidente della Camera dei Deputati, prese l’iniziativa di creare l’Associazione Parlamentare d’Amicizia con Israele nel cui Statuto è chiaramente scritto che il carattere d’amicizia dell’Associazione non implica l’adesione alla politica del Governo Israeliano. Si può essere contrari alla politica di quel Governo, ma non si mette in discussione il diritto dello Stato e alla sua politica di democrazia e di sicurezza. L’Associazione Parlamentare d’Amicizia, quando il Presidente Scalfaro venne chiamato alla Presidenza della Repubblica, venne presieduta dal Senatore Giuseppe De Giuseppe, Vice Presidente del Senato. Essa ha svolto delicate funzioni politiche. Nel viaggio fatto in Israele dalla Giunta e dal Presidente Scalfaro, si ebbe l’onore di un particolare saluto e riconoscimento del Presidente della Knesset, il Parlamento di Israele, che invitò i deputati d’Israele a rendere omaggio alla delegazione italiana presente in tribuna che la rappresentava.
A ricordo, quando il Presidente Scalfaro fu eletto Presidente della Repubblica, venne piantato nel giardino del Quirinale un albero di ulivo proveniente da Gerusalemme. Questa Associazione Parlamentare d’Amicizia con Israele continua ancora ed io ne sono la segretaria.
A conclusione di questo mio intervento desidero richiamarmi alle parole di Nello Rosselli che aveva rivendicato all’etica ebraica la caratteristica di legarsi alle cose più alte e più belle, anche nelle polemiche e nei contrasti. Sotto questo aspetto ancora oggi l’etica ebraica può dare supporti all’elevazione della vita politica italiana. E tutti siamo consapevoli che ce n’è bisogno.