Intervento alla presentazione del volume – “ Di casa in casa – Sapori kasher dal mondo in Italia – Asset – 24/5
Il desiderio del cibo è uno dei bisogni centrali e più forti dell’uomo. Da una parte presenta la capacità di asservirlo a sé e mortificarlo, dall’altra può elevarlo e indirizzarlo eticamente.
Non è un caso che le prime parole che D. rivolga all’uomo nella Genesi (1,29 “ D. disse: Ecco, Io vi do tutte le erbe che fanno seme, che sono sulla faccia di tutta la terra, tutti gli alberi che danno frutto d’albero producente seme; vi serviranno come cibo”), il primo comandamento (2, 16-17 “Mangia pure di qualsiasi albero del giardino; ma non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, perché nel giorno in cui tu ne mangiassi, moriresti), e la prima colpa riguardino il cibo. Nuovamente, dopo il diluvio universale, troviamo una regolamentazione relativa all’alimentazione (Gen. 9,3-4): “Ogni essere che è vivo, vi servirà di cibo; come le verdure io vi do tutto; Non mangiate però carne mentre ha la sua vitalità, il suo sangue”. Nel primo brano che segue l’inaugurazione del Tabernacolo nel deserto, troviamo nuovamente dei comandamenti riguardanti l’alimentazione, con la classificazione degli animali permessi e proibiti. E’ noto come vi sia secondo gli interpreti un parallelismo abbastanza evidente fra i primi capitoli della Genesi ed i brani relativi alla costruzione e all’inaugurazione del Tabernacolo. Nuovamente troviamo una regolamentazione di questo bisogno fondamentale.
Dalle storie bibliche possiamo ricavare alcuni elementi importanti circa la dieta che veniva seguita anticamente. Ogni giorno venivano consumati due pasti; quello principale era alla sera, mentre il pranzo veniva consumato nelle campagne. L’ingrediente fondamentale nella dieta delle fasce meno abbienti era sicuramente costituito da farinacei e legumi. Il pane era il cibo più consumato in assoluto, e per mezzo di quel termine in talune occasioni ci si riferisce all’intero pasto. I frutti principali che si consumavano erano i sette per cui la terra di Israele veniva lodata: grano, orzo, uva, fico, melograno, oliva, dattero. Il consumo di verdure, esclusi aglio e cipolla, non era frequente. Era diffuso l’olio di oliva, che faceva parte della dieta. Si mangiava carne solo in occasioni particolari, come ad esempio il contesto sacrificale.
L’accoppiamento più frequente nella Bibbia, quando ci si riferisce al cibo, è pane e acqua, più raramente pane e vino.
La terra di Israele viene lodata in quanto terra stillante latte e miele.
Il periodo del deserto è molto istruttivo circa il rapporto con il cibo. In Num. 11,5 troviamo una lamentela indicativa circa il ricordo del periodo che il popolo ebraico passò in Egitto, quando mangiavano gratuitamente cocomeri, meloni, porri, cipolle e aglio, non esattamente dei manicaretti. L’attenzione dei commentatori viene incentrata sul termine gratuitamente. Il cibo scarso e poco saporito che ricevevano in Egitto non richiedeva un impegno di ordine morale, al contrario del cibo straordinario che caratterizza la permanenza del popolo ebraico nel deserto, senza il quale non avrebbero avuto speranza di sopravvivere, la manna. La manna nascondeva una prova micidiale, perché non era consentito raccoglierne in quantità superiore allo stretto necessario. Nessuno poteva essere certo che domani vi sarebbe stata della manna, perché richiedeva l’adeguamento a determinati standard morali.
Il modo in cui una persona mangia è indicativa circa le sue predisposizioni naturali. I Maestri (TB ‘Eruvin 65b) affermano che l’uomo è riconoscibile bikisò(la sua tasca), bokosò (il suo bicchiere) uwka’asò (la sua rabbia). Qui il kos (bicchiere) può essere inteso non solo come alcol, ma come cibo in genere.
Il modo in cui si mangia può essere istruttivo circa la personalità e la statura morale di un individuo.
In un famoso brano Maimonide nella sua introduzione alle Massime dei Padri, conosciuta come gli Otto capitoli, pone un principio fondamentale: l’anima dell’uomo è una. Le implicazioni etiche di questo assunto sono notevoli: i vari ambiti della vita umana, fra cui quello del soddisfacimento dei bisogni naturali e dell’alimentazione, sono legati fra di loro, non esiste una scissione fra di essi.
Varie culture dell’antichità vedevano nel cibo un valore. Nell’ebraismo il cibo è anzitutto una necessità. L’uomo ha un’anima e un corpo, e quest’ultimo deve necessariamente essere sostenuto adeguatamente per adempiere al servizio divino. L’alimentazione in questo senso esprime la capacità di elevare l’uomo. Se perde il posto che le compete e si trova al centro, può corrompere moralmente l’essere umano.
Nella tradizione ebraica vi sono vari indirizzi volti a scongiurare questa eventualità. Anzitutto le numerose norme della kasherut, che perseguono principalmente la distinzione del popolo ebraico; in questo modo una necessità biologica assume una valenza culturale. In secondo luogo il prelievo delle offerte da destinare a sacerdoti, leviti e ai poveri; in tal modo si diviene consapevoli della fonte del proprio benessere e di chi sia il vero padrone di quanto mangiamo. Per questo prima di mangiare qualsiasi cosa recitiamo la relativa benedizione, che costituisce una presa di coscienza di come stiano le cose. Ciascun ambito all’interno dell’alimentazione ha la sua benedizione specifica. Le benedizioni hanno il compito di elevare gli aspetti più materiali ed inferiori all’interno della realtà e portarli ad un livello superiore.