MariaRosaria Previti Natoli
“Noi lasceremo, e per sempre, queste terre dove siamo nati, dove sono nati i nostri padri, dove la nostra nazione ha inteso meno che altrove il dolore dell’esilio“.
Così, secondo W. Galt, si sarebbe lamentato il rabbino Mosè Abbanascia annunciando alla comunità ebraica di Palermo l’editto d’espulsione dell’intera popolazione ebrea di Spagna e dei suoi domini, Sicilia compresa. Il 31 marzo 1492 i cattolicissimi re e regina Ferdinando e Isabella posero fine, con un atto di inaudita violenza e arbitrarietà, alla presenza ebraica che aveva caratterizzato per più di mille anni la popolazione siciliana. Spettò a Don Ferdinando de Acugna, conte di Buendia e vicerè di Sicilia, che in quel periodo risiedeva a Messina, la promulgazione e la successiva applicazione dell’editto, che dava tempo tre mesi alla comunità israelitica per lasciare l’isola, pena la condanna capitale e la perdita dei loro averi. Nel frattempo in linea con la tradizionale rapacità del regio erario, furono messi sotto sequestro tutti i loro beni mobili e immobili; così su iniziativa de Consiglio Generale la Camera Regia e la Camera Reginale incassarono rispettivamente 100.000 e 20.000 fiorini, oltre uno speciale donativo per il vicerè di 5000 fiorini per ottenerne successivamente il dissequestro. (La comunità di Messina dovette versare all’erario 5.500 fiorini).
Messina fu il luogo prescelto per concentrare tutte le comunità ebraiche siciliane, in attesa della definitiva partenza dalla Sicilia: una volta pagate le somme stabilite per ciascun gruppo, fu loro intimato di lasciare la località di residenza e di raggiungere Messina. Gli ambasciatori delle comunità siciliane arrivarono a Messina dove costituirono un fondo di emergenza che fu depositato nel banco degli ebrei Muxa e Aron Compagna, per essere usato secondo le eventuali necessità: il fondo fu costituito versando un tarì per ogni casa ebraica. L’inviato della città di Palermo, Pier Antonio Imperatore, assieme allo Stratigò e ai Giurati di Messina chiesero inutilmente al vicerè de Acugna una sospensione del termine dei tre mesi.
Al momento dell’espulsione Messina contava 2400 ebrei; precedentemente nel 1453, le famiglie israelite erano 180 (il tre per cento della popolazione complessiva), raccolte nel quartiere del Paraporto, tra il Duomo e il Torrente Portalegni (ancora non deviato dal suo alveo primitivo) che aveva come asse portante la via della Giudecca (successivamente divenuta con vari sventramenti via Cardines), che partiva dalla porta sud della città, conosciuta come Porta di Siniscalco, del Gesù o della Giudecca. Il quartiere si trovava fuori le mura quattrocentesche e fu inglobato solo successivamente dentro le mura nel cinquecento, probabilmente dopo la deviazione del Portalegni nell’alveo artificiale, che corrisponde all’attuale via T. Cannizzaro.
All’archivio di Stato di Messina è conservata, tra le carte delle corporazioni religiose soppresse, una pergamena che documenta l’esistenza nel 1385 di una contrada indicata con il nome di Giudaica. La più antica notizia documentata con certezza sulla comunità ebraica di Messina risale ai tempi di San Gregorio Magno, Sommo Pontefice, ed è contenuta in una lettera del 594 indirizzata a Cipriano, Diacono e Rettore del patrimonio di San Pietro in Sicilia. A Messina gli ebrei combatterono a fianco dei mussulmani per difendere la città assediata dai normanni nel 1061, ed alcuni di loro vi morirono, come testimonia una lettera di un ebreo tunisino rinvenuta nella Geniza del Cairo, pubblicata dal prof. Goitein. Questo fatto testimonia che la comunità ebraica era, probabilmente, pienamente integrata nella società dei musulmani di Sicilia.
Successivamente, in epoca normanna (1129), il re Ruggero dispone in un editto che ebrei e cristiani di Messina potessero accedere alle cariche pubbliche purchè non avessero “parlato malamente della patria”. Ruggero, sfruttando le divisioni tra i musulmani, stabilì di gettare una testa di ponte nel Nord Africa per trarne vantaggi dal punto di vista economico e strategico; così dopo aver conquistato Jerba, successivamente nel 1148, si impadronì di Mahdia, di Susa e di Sfax in Ifriqija (l’attuale Tunisia). E originario di Mahdia è Abraham Ben Yijù, mercante ebreo che si trasferisce in India, a Mengalore, per i suoi commerci; due suoi fratelli vengono deportati dopo la invasione normanna in Sicilia, come la maggior parte di quella popolazione ebrea. Mubaschir venne a Messina, Yusuf con la moglie e i figli Surur, Shamwal e Moshe a Mazzara del Vallo. Ora noi sappiamo queste notizie della famiglia di Ben Yijù, grazie alle carte ritrovate nella sinagoga di Ben Ezra, a Fustat (il Cairo) in Egitto e studiate dal prof. Goiten. Tra la comunità ebraica di Fustat vigeva l’usanza di conservare tutti i documenti scritti in cui fosse presente in qualsiasi forma il nome di Dio; così per oltre otto secoli all’interno della sinagoga in delle stanze conosciute con il nome di Geniza furono conservati documenti di ogni tipo. Tra di loro sono state trovate varie lettere di Ben Yijù, scritte ai fratelli in Sicilia. Come quella arrivata a Messina nel 1149 per mano di Suliman ibn Satrun al fratello Mubaschir. E una seconda indirizzata al fratello Yusuf in cui propone il matrimonio tra la propria figlia e il nipote Surur. Il viaggio per l’Egitto di Surur, accompagnato dal fratello Moshe, inizia con una prima tappa da Mazara a Messina della durata di nove giorni; il percorso fu compiuto in barca, in cambio di 3\8 di dinaro come tariffa pattuita, fino alla lanterna del faro del porto di Messina. Qui i due fratelli incontrano lo zio Mubaschir (1154).
Della comunità di Messina parla anche Beniamino di Tudela, ebreo spagnolo, che al tempo di Guglielmo II (1171) ne valuta la consistenza nel numero di 200 famiglie. Al ritorno dal suo viaggio in oriente così scrisse della città e della sua comunità ebraica: “…a Messina , che è l’inizio della Sicilia …abitano circa duecento (famiglie di) ebrei. E’ una terra piena di ogni bene, con giardini e piantagioni. Qui si riunisce la maggioranza dei pellegrini per imbarcarsi per Gerusalemme, perchè è il miglior luogo d’imbarco.“