Gabriele Cavaglion
Lentamente, il mondo ultra ortodosso, Haredi, si trasforma e si evolve nella società israeliana. Con ultra ortodosso faccio riferimento alla comunità Hassidica o agli oppositori di scuole talmudiche Lituane (Mitnagdim, Litaim), nonché a vari gruppi ortodossi sefarditi. A mio avviso il termine ultra è inappropriato poiché gli ultra ortodossi non sono necessariamente più osservanti degli ortodossi moderni. La differenza tra i due gruppi si accentuò con la nascita dello Stato di Israele, che portò a una frattura tra gruppi ortodossi moderni e sionisti più aperti al mondo circostante e gruppi chiusi in enclavi territoriali, come ad esempio Benè Berak o Me’a Shearim a nord di Gerusalemme, e più ostili alla modernizzazione della società che li circonda. La loro kippà, il cappello nero, e il loro modo di vestire, camicia bianca e veste nera, costituiscono un primo elemento di distinzione, che appare a molti come arcaico. Inoltre, esiste un grande divario nel loro sistema educativo, che mette in primo piano lo studio religioso e la loro attitudine in genere negativa verso le istituzioni dello Stato Laico. Non sono mai mancati scontri fra il mondo laico e il mondo Haredi, ultimo in ordine cronologico quello riguardante il servizio di leva obbligatorio, e i pessimisti vedono oggi due mondi che si allontanano sempre di più. Da qui l’espressione scontro di culture.
Negli ultimi due decenni, per svariati motivi economici, parte del mondo Haredi si è avvicinato con molta cautela ad alcune attività del mondo laico, fino ad allora viste come una minaccia per la pura osservanza e l’integrità di una comunità rigida, guardinga e appartata. Secondo varie ricerche il 30% dei poveri del paese è costituito da questa popolazione. Tra le ragioni di questo dato vi è il fatto che considerino come proprio fulcro lo studio religioso, biblico e talmudico, dall’asilo nido (heder) al seminario per adulti sposati (kolel), respingendo di solito tutto quello che riguarda lo studio laico, come la matematica o l’inglese. Questi ultimi sono studi cardinali (limude’ libba’) nel curriculum scolastico statale, che li avrebbero preparati a sbocchi professionali diversi da quelli pertinenti al loro mondo (maestri, rabbini, circoncisori, cantori, scrivani ecc.).
Da un profondo disagio di natura economica che vede la luce nei primi novanta, nasce la ricerca di nuovi sbocchi occupazionali sia per le donne (non solo maestre) che per gli uomini, che cercano alternative lavorative da affiancare allo studio religioso. Nel 2015 si contano 12 mila studenti Heredim, con affluenza maggiore nei collegi accademici (80%) rispetto alle università. Il 60% è composto da donne. Nello stesso anno l’80% degli Haredim laureati ha ottenuto una posizione lavorativa adeguata al proprio titolo, rispetto al 90% dei laici. Tuttavia, soltanto il 50% dei non laureati trova un’occupazione, in confronto all’85% dei laici non laureati.
Vorrei parlare della mia esperienza di professore ordinario coinvolto da dieci anni nell’accademizzazione di parte di questa popolazione, che per ovvi motivi ha visto nella laurea in Assistenza Sociale uno sbocco adeguato al proprio credo e stile di vita, grazie anche a una maggiore consapevolezza del fatto che i disagi sociali presenti anche nel loro mondo non possano più essere taciuti o risolti solamente tramite le regole ebraiche e le disposizioni rabbiniche.
Quando mi venne proposto un incarico di docente per questi studenti e studentesse presi la palla al balzo, vedendoci un’occasione per uscire dalla torre d’avorio accademica e contribuire nel mio piccolo a un avvicinamento fra culture e stili di vita distanti. Anche se avevo molti timori, sentivo che potevo essere parte di una missione più ampia, quella di avvicinare realtà diverse, aiutare ceti poveri a inserirsi nel mondo lavorativo incrementando la produttività di tutto il paese e offrendo servizi basilari ai bisogni della loro comunità, che non è esente da episodi di violenza domestica, difficoltà educative di natura psicologica, disagi giovanili e crimini di vario tipo. Allo stesso tempo volevo creare un dialogo pacifico, che mi ha portato a scoprire che universi morali apparentemente contrastanti sono molto più vicini di quanto gli stereotipi politici o mediatici vogliano farci credere parlando di divario culturale incolmabile.
Vorrei presentare alcune considerazioni maturate nel corso della mia esperienza di insegnamento di base (che include ad esempio corsi introduttivi alla psicologia, alla psicopatologia e alla devianza sociale) in classi di uomini e di donne (naturalmente separate).
La cosa che mi imbarazzò fin dall’inizio era il fatto che tutti gli studenti si rivolgevano a me in terza persona, usanza quasi inesistente nell’ebraico colloquiale e moderno, aggiungendo al mio cognome svariati titoli: Dottore, Professore e Suo Onore. Ancora oggi il mio tentativo di abituarli all’uso del mio nome proprio come consuetudine informale e amichevole presente anche nel mondo accademico ha raggiunto risultati parziali. Si tratterà forse di timore reverenziale. Anche durante le lezioni in classe un meccanismo interiore impedisce agli studenti ogni tentativo di discutere o confutare i miei argomenti. Con il tempo mi fu chiaro che per loro il solo porre domande rendesse sia lo studente ignorante agli occhi dei suoi compagni, in quanto non avrebbe capito come dovuto (in ebraico Boshet Panim), sia l’insegnante, in quanto non si sarebbe spiegato bene (in ebraico Halbanat Panim). Il diluvio di domande perviene poi per email, ovvero in privato, o dopo la lezione, quando specialmente gli studenti maschi osano confidarsi anche su problemi personali che non si sarebbero permessi di sollevare nemmeno nel loro ambito famigliare.
Per un certo periodo avemmo come responsabile della coordinazione di un programma accademico a Gerusalemme una dottoressa. Una sua visita come ispettrice nella mia classe lasciò gli studenti a mezz’aria. Da un lato era entrata un’autorità a me superiore, ma dall’altro si trattava di una donna. Intendo mezz’aria nel vero senso della parola in quanto gli studenti automaticamente si alzarono sull’attenti, come d’uso di fronte a un’autorità rabbinica, ma si fermarono a metà del movimento, piegati in avanti e appoggiati al banco. Va detto che per gli uomini gli insegnanti devono essere solo maschi, mentre per le donne i maschi sono accettabili preferibilmente se adulti e…sposati. Tale atteggiamento, visto come sessismo, ha generato una forma di boicottaggio da parte dello staff delle università di spicco del paese, che sostiene che le donne vengano viste come inferiori anche nell’ambito dello studio accademico. Sono completamente contrario a tale opinione, che denota totale insensibilità nei confronti di una cultura diversa e incapacità di comprendere che lo status della donna nel mondo ortodosso in generale non è inferiore ma diverso. Il boicottaggio non serve. Se si vuole creare un cambiamento tale da portare le donne a insegnare a studenti uomini bisogna agire gradualmente e dall’interno.
Il loro interesse per il mio titolo accademico e la carriera che ne deriva ritorna frequente durante tutti gli anni di studio. Chi vale di più, come si riceve una promozione, ma anche quale sbocco e quale titolo potrà migliorare il loro status nell’ambito della loro comunità? Molta è la curiosità su chi sia io, di che etnia, dove abiti e cosa pensi del loro mondo. Rispondo che sono italiano d’origine provenzale, cosa che li lascia spiazzati. Nella ricorrenza della dipartita dei miei Genitori z.l. viene fatto in classe un piccolo studio sulle mie origini e con gioia gli studenti aggiungono uno studio Misnaico che mi permette di dire in loro presenza il Kaddish.
Se con lo studente laico, anche nel corso di studi avanzati come il master, si assiste a un continuo mercanteggiare sulla quantità di testi da leggere, e il compromesso viene alla fine raggiunto con un accordo a loro vantaggio, con gli Haredim tale questione si pone in misura inferiore. Il libro in sé è un oggetto che attrae e la lunga concentrazione nella lettura rimane sempre attraente e piacevole. La loro capacità di studiare per ore e ore nelle scuole Talmudiche torna a loro vantaggio. È interessante notare che lo stesso metodo di memorizzazione della Gemara (Talmud) viene applicato allo studio del libro di testo. Durante gli esami gli studenti possono chiedere in che capitolo si tratti di tale argomento, in che paragrafo, in che pagina e alcuni anche se in alto o in basso. La memoria visiva è uno strumento utile per lo studio dei Testi Sacri e viene semplicemente trasferita in questa nuova sfera.
L’interesse per i libri deriva anche da una grande sete di sapere e di ampliare i loro orizzonti, limitati fino a poco tempo fa. Nei primi anni i libri di studio accademico non venivano portati a casa per non imbarazzare la famiglia. Armadietti con lucchetti venivano forniti appositamente dalla segreteria. Oggi sembra che ci sia un movimento più fluido, dato che alcuni studenti acquistano libri scientifici di propria iniziativa.
Alcuni studenti si consultano con alte autorità rabbiniche prima di intraprendere studi accademici. Di solito la loro risposta non sarà mai esplicita o scritta ma rimarrà sul vago con frasi come una persona deve ben mangiare, l’Assistenza Sociale non è diversa dalla confraternita di carità (Gmilut Hassadim), o anche non tutti devono studiare Talmud per tutta la vita. Da qui il giovane capirà il messaggio velato.
Con gli anni vedo meno diffidenza riguardo alcuni argomenti da loro considerati scottanti. Il tabù di Freud, in particolare l’eroticizzazione nello sviluppo del bambino, non viene affatto sorvolato, malgrado numerosi avvertimenti da parte dei miei colleghi. Con molta cautela tocco il tema alla fine del capitolo su Freud,quando gli studenti scoprono Il fatto che Freud fosse ebreo e avesse sposato una donna ebrea. Questa consapevolezza crea un certo sollievo, anche se mi viene domandato spesso che ne è stato dei nipoti?
Inoltre, argomenti come l’inconscio e i meccanismi di difesa non sono del tutto lontani da alcune fonti dei Maestri. Per esempio, parlando di regressione si può notare come le regole del lutto ebraico favoriscano questo sano meccanismo di difesa. Il detto di Hillel riportato nel Talmud Babilonese di non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, ci porta alla discussione su che cosa sia l’empatia terapeutica e sul meccanismo di proiezione. Il tema dell’erotismo, per loro scottante, posto alla fine del percorso di studi e visto anche in una prospettiva critica, permette agli studenti un apprendimento meno sulle difensive. Quello che li imbarazza maggiormente è il fatto che la coscienza morale, ovvero il super ego, sia per Freud qualcosa di acquisito negli anni del dramma edipico e non sia innata.
Lo stesso vale per il Darwinismo. Solo menzionandolo vedo negli studenti tensione e apprensione. Una barzelletta li tranquillizza, quella delle scimmie che loro stesse non sono d’accordo con la parentela con l’Homo Sapiens, in quanto quest’ultimo ha commesso i più gravi crimini contro la sua specie e la natura stessa. Detto questo ribadisco che ci sono tanti punti di vista, e conoscere la teoria Darwinista non richiede di essere per forza d’accordo con questa.
Nello studio dell’etica professionale non posso sorvolare su Ippocrate e rammentare che era greco e pagano (Che il Signore ci protegga, sento dalle quinte). Ma quando apprendono che la sua prima regola è non fare del male (primum non nocere) scoprono che esiste un parallelo con le Fonti che ribadiscono il non fare del male come Mitzvah precedente al fare del bene. Apprendono così che mondi morali e spirituali si sono creati anche al di fuori delle loro tradizioni.
Più volte mi chiedono cosa debba fare uno studente davanti a così tanti modelli e teorie psicologiche e rimangono stupiti quando ripeto che non devono applicarli immediatamente alla lettera (secondo il detto Naasè veNishmà). Possono ponderare col tempo quanto più si adegui alla loro attitudine. Questa libertà di scelta, che rende la terapia arte e non tecnica, si contrappone al consulto del rabbino (Sheelat Rav) che da autorità indiscussa presenta una visione più binaria e richiede una obbediente attuazione delle prescrizioni. Se Freud viene abbandonato in massa e messo nel dimenticatoio, notevole interesse viene dimostrato invece per Victor Frenkel e C. Gustav Jung, e correnti umaniste o esistenzialiste, gli studenti scorgono nelle loro teorie una spiritualità e un simbolismo a loro vicini. E se lo studio delle droghe illegali li lascia indifferenti, le orecchie si rizzano quando inizio a parlare di stati di coscienza indotti da allucinogeni, che portano alcune persone a una visione della realtà metafisica.
La loro attitudine verso il mondo digitale, mediatico, è svariata. C’è lo studente che vedendomi impacciato con l’uso del computer e del proiettore mi aiuta superando in pochi secondi e con maestria alcuni filtri imposti dall’istituto per non incappare in siti indecenti. Lo studente in questione diventa per la classe quasi un eroe e ogni suo successo viene seguito da un applauso gioioso. Ho anche avuto uno studente che a sorpresa mi ha chiesto con totale ingenuità cosa sia la pornografia. Mi sono districato dicendo che è una fruizione visiva di temi riguardanti rapporti carnali e abominevoli al di fuori del mondo coniugale a loro noto. Salvataggio in corner di sicuro, e un bicchiere d’acqua a Suo Onore Impallidito.
I risultati degli esami di studenti e studentesse sono simili, anche se la presenza e il coinvolgimento delle seconde lascia molto a desiderare. Sono più giovani dei maschi e prive di esperienza di vita. Sembra che non studino per vero interesse ma per ottenere una professione redditizia che permetta ai mariti maggiore tempo per lo studio religioso. La loro prima domanda riguarda quante assenze sia disposto a permettere loro durante un corso. Dietro la domanda si cela la priorità indiscutibile di esser per prima cosa mogli e mamme. Le loro lezioni sono un continuo andirivieni per telefonare a casa, per allattare il bambino o, se più giovani (intendo 18 anni), per rispondere subito a un messaggio riguardante eventuali canditati al matrimonio. Entrando in classe devo farmi largo fra un mucchio di carrozzine e scoprire che abbiamo sempre nuovi ospiti in classe. Il patteggiamento fra noi riguarda anche il livello di decibel permesso durante la lezione, se basso significa che il neonato è d’accordo con il tema di studio, se alto significa che la madre deve uscire rapidamente dalla classe. Nel caso delle studentesse non vengo mai seguito dopo le lezioni e pochi messaggi mi vengono inviati su posta privata. Penso che per molte donne tale interazione possa essere vista come eccesso di confidenza con un estraneo e mancanza di modestia da parte loro.
Fra i miei studenti, assieme ai Sefarditi e ai Lituani, ci sono Hasidim di varie corti: i Gur, Belz, Visznitz, Breslav, Chabad, e anche corti minori come i Biale, i Karlin e i Kotsk. La macchia d’olio sembra allargarsi col tempo e tutti traggono solo frutti positivi. Due miei ex studenti sono oggi impegnati nel dottorato di ricerca all’Università Ebraica.