CAPITOLO III: I valori fondamentali dell’ebraismo
3.1. Il fondamento dei valori ebraici: il concetto di Teshuvà
3.2. Il concetto di mitzvà
3.3. L’etica della pace
3.4. I principali valori ebraici: il rispetto, la giustizia, la responsabilità, la compassione, l’amore del prossimo e la ahavat, la fede, la difesa del debole.
Questa trattazione ha lo scopo d’introdurre il lettore ai valori ebraici attraverso un ampia premessa che chiarisca su quali concetti ebraici si fondano e a quale particolare concezione etica della vita conducono.
3.1. Il FONDAMENTO DEI VALORI EBRAICI:IL CONCETTO DI TESHUVÀ
La parola “Teshuvà” viene tradotta in lingua italiana con ‘”pentimento” ma in realtà, come vedremo in seguito, comprende un insieme di significati più vasto. Il termine“Teshuvà” significa letteralmente “ritorno”, a simbolo del ritorno che l’uomo compie verso ciò che in realtà è la sua vera personalità.La Teshuvà non è quindi considerata in sede negativa ma ne viene valorizzato il senso positivo di ritorno verso la vera e giusta natura umana.Esso é un meccanismo di correzione del comportamento che implica il rimorso, sano e costruttivo solo nel caso porti alla risoluzione di non ripetere, in futuro, lo stesso errore.
La Teshuvà , innanzitutto, non è applicabile solo qualora si sia comessa una trsgressione “attiva”, come il furto o la falsa testimonianza ma viene estesa ad atteggiamenti mentali scoretti, non veri e propri atti, quali la rabbia e la gelosia.Secondo la pedagogia ebraica, questi atti mentali e tratti caratteriali,se ignorati, sono, una volta radicati nella personalità umana, più difficili da estirpare.Il concetto di Teshuvà è basato sulla fondamentale convinzione che l’uomo sia in possesso del libero arbitrio, la capacità di scelta.Sul concetto di libero arbitrio si fonda l’intera filosofia ebraica.L’eredità del passato, le condizioni ambientali e gli impedimenti materiali non sono tali da bloccare la potenzialità umana di cambiare e di migliorare.
In realtà, in accordo con la psicologia cognitivista, i condizionamenti del passato continuano ad influenzare il comportamento umano qualora l’uomo continui a reintrodurre nella propria mente gli stessi pensieri, credenze e modelli cognitivi che aveva originariamente adottati
durante l’infanzia e che lo avevano portato a scegliere un particolare sistema comportamentale.I modelli mentali spesso adottati dall’uomo, risultano essere altamente irrazionali, in quanto, sviluppatisi durante l’infanzia, rispecchiano le interpretazioni degli eventi adottate in quello stadio della vita.Secondo il pensiero cognitivista, allo scopo di liberarsi dall’influenza del passato è quindi necessario adottare, una volta adulti, sistemi mentali più razionali che rielaborino le interpretazioni infantili.
La Teshuvà , in questo senso, permette di rielaborare il passato, darne un nuovo significato allo scopo di adottare sistemi mentali e comportamentali più razionali. I “dialoghi interni” dell’uomo sono, in genere, rapidi ed automatici per cui è necessario un forte sforzo e pratica anche, semplicemente, per divenirne coscienti e, quindi, poterli identificare propriamente.Un lavoro costante verso il cambiamento del proprio modo di pensare, è reso arduo, purtroppo, dall’esistenza di “patterns”26) di pensiero abitudinari che prendono spesso il sopravvento sulla razionalità.Essi possono porre numerosi ostacoli alla Teshuvà.
In un artricolo sulla Teshuvà , rabbi Yechiel M. Schlessinger, descrive la sequenza procedurale corretta nello sradicare certi tratti mentali o caratteriali negativi.Qualora si tratti della Teshuvà di un singolo errore o peccato, il pentimento deve precederne la correzione pratica mentre, a riguardo di abitudini mentali o comportamentali ben radicate, è la correzione a dover precedere il pentimento.
Se non venisse seguito questo ordine, infatti, vi è il rischio che un individuo resti talmente bloccata dal rimorso e dall’autocommiserazione da disperare e giungere alla conclusione che il cambiamento sia troppo difficile da attuare e l’ostacolo troppo difficile da superare.
In questo contesto l’autostima risulta essere fondamentale, come chiarisce il Maimonide, in quanto abbasserebbe il livello di aspettativa che un uomo ha nei confronti di se stesso e limiterebbe , di fatto, la capacità di autosviluppo anche qualora ve ne siano le potenzialità.
Inoltre un errata valutazione ed immagine delle proprie capacità ed un eccessivo rimorso possono portare l’uomo, non solo ad una situazione paralizzante ma anche verso l’autopunizione.Ciò che rende la Teshuvà essenzialmente diversa dal concetto comune di pentimento con la quale viene tradotta, consiste nel fatto che essa comprende tutti i seguenti elementi:
– Il Pentimento;
– La confessione dei propri peccati ad alta voce;
– La correzione dell’atto;
Quindi, la Teshuvà , differisce nel suo aspetto procedurale dal pentimento comunemente inteso. Vediamo in specifico in cosa consistono questi elementi.
La prima fase della Teshuvà consiste nel profondo rimorso di ciò che è stato commesso.In seguito il peccato viene confessato a voce alta, davanti al Creatore oppure davanti al prossimo, ma solo nel caso si tratti di un peccato verso quella specifica persona di cui si chiede il perdono.Nel caso specifico un uomo abbia comesso un peccato verso il prossimo è necessario che l’uomo chieda perdono alla vittima, anche più volte, finché non gli sia concesso.Secondo l’Ebraismo è inutile confessare un tale genere di peccato al Creatore finché non sia stato perdonato dal diretto interessato.Infine, la correzione dell’atto consiste, essenzialmente, nel non ricadere nello stesso errore una volta si ripresenti l’occasione.La Teshuvà viene considerata più completa qualora non si ricada nell’atto una volta si ripresenti la stessa occasione ma in condizioni identiche o del tutto simili.
Essa è completa, inoltre, nel caso siano state completate tutte e tre le fasi del procedimento.Ritengo che il concetto di Teshuvà sia l’elemento fondante dei valori ebraici, in quanto l’Ebraismo trova la sua base etica nel continuo miglioramento della personalità individuale anche grazie a dei valori fondamentali tramandati nei secoli e messi in pratica attraverso le mitzvot.
3.2. IL CONCETTO DI MITZVA’
Il termine “mitzvà”, cui plurale è “mitzvot”, deriva dalla radice ebraica “zava” che significa “comandare” o “ordinare”.
Nell’uso comune esso ha preso il significato di “buona azione” ma già nel Talmud il termine veniva adottato per designare particolari azioni meritevoli distinte dai comandamenti positivi.
Il termine è più volte menzionato nel Pentateuco27) nel quale include, in modo generico, tutti i comandamenti o obblighi religiosi.
3.2.1 Classificazione delle mitzvot
Con l’aumento delle obbligazioni rituali imposte dal rabbinato le mitzvot furono separate in due grosse categorie: mitzvot de-oraità , i comandamenti biblici, e mitzvot de-rabbanan , i comandamenti rabbinici.Esse furono,inoltre, successivamente classificate come mitzvot kallot (minori) e mitzvot hamurot (principali) ma i rabbini esortarono il popolo ad osservarle allo stesso livello in quanto non è nota o dichiarata la ricompensa di ognuna.
Filosofi ebrei medioevali suddivisero ancora le mitzvot in sikhiyyot (razionali) e mitzvot shimiyyot (rivelate).
Nel tempo, vi furono numerose altre distinzioni significative quali, ad esempio, comandamenti riguardanti il rapporto fra l’uomo e il suo prossimo e quelli relativi al rapporto con il Creatore, comandamenti applicabili solo in Israele e comandamenti applicabili anche al di fuori di essa.I precetti della Torah, le mitzvot, sono stati contati in seicentotredici.La classificazione, forse, più conosciuta e utilizzata è quella che li distingue in mitzvot che impongono un dovere (deuecentoquarantotto) da quelle che impongono un divieto (trecentosessantacinque).Va detto comunque che le mitzvot non corrispondono alla classificazione giuridica generalmente accettata nel mondo occidentale.Si tratta piuttosto di una serie di principi generali, ognuno dei quali abbraccia un complesso di ordini e di divieti che sono tramandati dalla tradizione orale. Così, ad esempio, la prescrizione biblica di non compiere alcun lavoro nella giornata del Sabato comprende, secondo la tradizione, il divieto di eseguire trentanove tipi di lavoro diversi. Alcune decine di attività sono ritenute vietate per analogia a quelle espressamente indicate.La prima raccolta scritta delle mitzvot tramandate oralmente è la Mishnà , raccolta di leggi redatta nel secondo secolo, che comprende deliberazioni legali tramandate oralmente nei quattro secoli precedenti.Il materiale contenuto nella Mishnà è stato oggetto di commenti, elaborazioni e dibattiti, nei secoli successivi ed è stato raccolto nella Ghemarà che insieme alla Mishnà costituisce il Talmud.28) Torà scritta , Mishnà e Talmud sono dunque le fonti della Halachà (letteralmente “comportamento”), ossia la normativa ebraica il cui nucleo sono le mitzvot.L’osservanza delle mitzvot non consiste per l’ebreo in pochi atti da compiersi in circostanze speciali, ma nell’applicare alla vita quotidiana le norme stabilite da Dio che investono tutti gli aspetti dell’esistenza.Le mitzvot sono obbligatorie per tutti gli adulti. Si considerano adulti tutti i maschi che hanno compiuto il tredicesimo anno e le femmine al compimento del dodicesimo.
3.2.2. Il Significato delle mitzvot
Penso che qualora si faccia un discorso sulla Legge (Torà deriva da “jarah” , insegnare, quindi Torà è generalmente l’insegnamento, un insegnamento che contiene anche dei comandi) si debba avere chiaro in mente il significato dell’osservanza delle mitzvot.
Il significato religioso di mitzvà è rispecchiato direttamente dall’etimologia del termine: “mitzvà” significa, infatti, “legame” a simbolo del legame che si crea attraverso di essa, sia fra l’uomo ed il suo Creatore che fra uomo e uomo. Lo scrittore E. Fromm nel suo libro L’arte di amare riporta una storia chassidica in cui si fa osservare che, mentre quando Dio creò le varie cose, “vide che era buono”, quando creò l’uomo non è scritto in “Genesi”: “vide che era buono”. L’ interpretazione chassidica esplica che Dio creò un essere da cui dipendeva l’essere “buono”, l’essere immagine di Dio; l’uomo, quindi, è in possesso del libero arbitrio e l’etica ebraica che permette che ciò si realizzi ha come nucleo le mitzvot.Alcuni ritengono che l’osservanza delle mitzvot porti il popolo ebraico all’isolamento; in realtà il contenuto dei precetti, pur se vincolante per gli ebrei, è ricco di elementi di universalità e di principi etici validi per tutti gli uomini. Si può parlare pertanto del valore etico permanente delle mitzvot.Allo scopo di educare l’animo dei suoi membri, l’Ebraismo propone l’idea del Monoteismo in ogni atto quotidiano, educando alla consapevolezza che il nostro comportamento deve essere costantemente e totalmente ispirato da forti precetti morali.
L’osservanza dei precetti costituisce un costante esercizio volto ad educare l’animo ad una severa discipìlina morale che investe tutti gli atti, anche i più banali, dell’esistenza in modo da potenziarne la capacità di automiglioramento e realizzare il divino che è nell’uomo.
Accanto a norme di cui è facile rilevare con immediatezza la motivazione, quali la tutela dello straniero, della vedova, il rispetto per la vita, l’onestà dei rapporti fra uomo e uomo e così via, ve ne sono, nella Torà , altre per le quali è più arduo trovare una motivazione razionale. Si pensi alla complessa normativa che regola l’alimentazione con una dettagliata elencazione di cibi proibiti e di mescolanze vietate, alle norme sulla “purità rituale” e altre ancora.
Comunque non c’è dubbio che tutte le mitzvot hanno una motivazione ultima chiara, esplicita e razionale, fare di Israele un popolo “speciale” perchè possa elevare il mondo materiale a livelli più spirituali e migliorarlo.Inoltre i precetti sono un mezzo per preservare Israele dall’assimilazione e mantenere la propria individualità.
Non c’è dubbio che nella storia ebraica ci siano state degenerazione in merito al valore dei precetti; questo si vede, ad esempio, dalla critica alTalmud da parte dei Farisei.Nella coscienza ebraica tradizionale, però, è ben chiara la consapevolezza che alcuni precetti sono manifestazioni incomprensibili all’uomo, e che è necessario avere fede. La mitzvà ha, inoltre,sempre un collegamento ad un ricordo.Un esempio noto a tutti è mangiare azzimi a Pasqua. Un atto attraverso il quale ci si collega alla condizione dell’esodo cercando di riviverla per averne maggior consapevolezza. Ciascuno, dice il rituale di Pasqua, deve considerare se stesso come se fosse uscito dall’Egitto e recuperata la propria libertà grazie al Creatore. I nostri avi, infatti, durante l’uscita dall’Egitto mangiarono azzimi nel deserto.Sul significato della Halahà , legge che regola i precetti, ha scritto pagine penetranti Erich Fromm nel suo libro Voi sarete come dei del 1970: “Il rispetto della legge, egli afferma, è la vera religiosità, la conoscenza della legge sostituisce la teologia”.Infatti, in ebraico, non c’è la parola “teologia”29). La conoscenza della Torà è la teologia; e questo studio deve portare all’azione per essere produttivo.
Lo studio della Torà e delle mitzvot è essenzialmente discussione, come dichiara Levinas, famoso filosofo francese di origini lituane, l’atto religioso si identifica con la discussione, che non è temuta, semmai è temuta l’assenza di discussione, l’unanimità.Come è noto, se il Sinedrio decretava all’unanimità la pena di morte, non veniva eseguita, perché si diffidava dell’unanimità.E’ possibile trovare un esempio storico dell’amore ebraico per la discussione nel Talmud che attesta almeno trecento punti di divergenza fra due scuole di pensiero famose, la scuola di Hillel e quella di Shammaj, degli ultimi decenni prima della nascita di Gesù.La discussione, però, deve poi sboccare nel fare, e nel fare ci deve essere l’unità: i precetti devono essere unitari ed indiscussi.
Come ha dichiarato Leibowitz30) nel suo libro Ebraismo , popolo ebraico e stato d’Israele:: “L’Ebraismo non esiste che nel prescrivere all’uomo un regime e un determinato modo di vivere”.31)
Per il Talmud non si tratta, quindi, di fissare una volta per tutte le norme di comportamento come avviene ad esempio nel Shulchan Arukh32), ma di cercare la verità ricorrendo costantemente al metodo dialettico. Sebbene si tratti di una forma di pluralismo tutto sommato sotto controllo, delimitata dalle mura di un accademia talmudica, la diversità di opinione è auspicabile.Il consenso non è condizione necessaria per stabilire la verità, anzi il disaccordo è l’indispensabile strumento di approfondimento nello studio e nell’elucidazione dei testi.
I rabbini del Talmud, abbandonarono del tutto il consensualismo lasciando per la prima volta spazio alla pluralità di idee.
Il sorgere del pluralismo, fu reso possibile, a quanto sembra, dalla straordinaria forza creativa religiosa e dall’elasticità estrema del commento midrashico che permetteva una ricerca aperta ad ogni risultato pur nella fedeltà al messaggio biblico originario.
3.3. L’ETICA DELLA PACE
3.3.1. Etimologia del termine Shalom
Allo scopo di chiarire il concetto di Shalom nel pensiero e nella letteratura ebraici-tradizionali è necessario soffermare l’attenzione sull’etimologia della parola Shalom.La parola “Shalom” viene generalmente tradotta con “pace”, una traduzione che risale ai LXX ed alla Vulgata.Gli studi recenti sono quasi unanimi nel sostenere che Shalom indica, essenzialmente “completezza” ed “integrità” mentre non significa “pace” nè primariamente nè principalmente. Non vi è un perfetto sinonimo ebraico per “pace”, a prova che l’Ebraismo ha un suo particolare concetto di “pace”. Un opinione notevolmente antica, riscontrabile gia nei LXX, considera come significato fondamentale l’idea di “pace” ma, oggi, l’area semantica del termine viene considerata, generalmente, molto più vasta.La radice “Sh-l-m”, da cui deriva la parola Shalom, è notevolmente diffusa in tutta l’area linguistica semitica, fin dall’epoca più antica, dove essa ha conosciuto un vigoroso sviluppo.
L’area semitica del sostantivo Shalom racchiude fondamentalmente due idee apparentemente affini: da una parte significa “pace, benevolenza”, spesso chiaramente in opposizione a guerra ed inimicizia; dall’altra parte: “benessere, prosperità e fortuna”, dove l’accento é posto spesso con forza sui beni materiali concreti. Si é pensato anche ad un legame etimologico del verbo “Sh-l-m” con “Sh-l-h” ossia l’essere senza preoccupazioni, tranquillo.Alcuni traducono il vocabolo con “integrità, interezza”, sostenendo che nella Bibbia il termine ha, innanzitutto, il semplice ed elementare significato di un esistenza che scorra tranquilla. Altri sostengono ancora che la parola Shalom deriva da una radice che designa il fatto di “essere intatto, completo”: il benessere dell’esistenza quotidiana, lo stato dell’uomo che vive in armonia con la natura e con sè stesso.Dal Lessico biblico del Nolli rileviamo infine che nella Bibbia la parola Shalom significa fondamentalmente “benessere” seppur con varie sfumature. Nel suo significato di saluto la parola entra, inoltre, nelle formule di saluto.Il significato fondamentale di Shalom bisogna pensarlo, però, non solo in modo statico, ma anche dinamico: vivere perfetto, illeso.Da quanto finora riportato possiamo affermare che già nella Bibbia la parola “Shalom” ha un contenuto così ricco di significato, che difficilmente può essere reso in altra lingua; in questo modo il concetto di Shalom va oltre quello di pace.
3.3.2. Il Significato dello Shalom
Lo Shalom è stato concepito sempre come un dono divino ed è divenuto, nel tempo, un concetto puramente teologico, contenendo i sublimi concetti di ordine ed armonia.
La tradizione rabbinica sostiene che solo una Comunità che posi su fondamenta di “pace” può godere di una vita stabile e felice.
Numerosi sono gli aforismi talmudici in proposito. Senza la pace non possono esistere prosperità e benessere, tanto che sostiene che il Signore ha voluto, con la “pace” benedire il mondo, tributando grande lode a chi mette pace fra gli uomini.Nel trattato minore del Talmud “e Derech Erez zuta” (letteralmente il piccolo manuale di educazione), che dedica un intero capitolo all’importanza dello Shalom, si raccomanda caldamente di “amare lo Shalom e di evitare le questioni e le controversie”.Nel Talmud e nel Midrash numerosi sono gli aforismi, i racconti, le espressioni ed i modi di dire a proposito dello Shalom. Un Midrash33) racconta: ” Rabbi Shimon figlio di Gamliel era solito dire che il mondo si conserva in virtù di tre cose: la giustizia, la verità e lo Shalom. La verità e la giustizia sono, però, i requisiti essenziali e la più sicura salvaguardia per il mantenimento dello Shalom”.La massima sopracitata di R. Shimon figlio di Gamliel, viene così commentata nel Talmud: ” Le tre cose, in realtà, sono una sola: se il giudizio è eseguito, la verità è rivendicata e ne risulta lo Shalom”.Il versetto dei Profeti: “La verità e la pace amate” (Zacc. 8,19) però, implica che il perseguimento della verità da sola rischia di portare alla catastrofe se non le si accompagna l’aspirazione alla pace. I due termini “verità” e “pace” sono, infatti, accostati e conseguenti l’uno all’altro.
Inoltre, la verità esige un assoluta inflessibilità mentre non è dato ottenere la pace senza ricorrere al compromesso.
Nonostante ” l’opposizione” tra questi due valori, non bisogna mai privilegiare uno sull’altro ma applicare coraggiosamente entrambi in egual misura.
3.3.3 Aspetti storici del concetto di pace
In epoca Talmudica:
Nel Talmud il verbo “shalem” significa essere del tutto fedeli ed onestì nei confronti del prossimo.
Con la sola eccezzione del concetto di giustizia, la pace è l’ideale maggiormente esaltato dai rabbini del Talmud.E’ permesso deviare dalla stretta linea della verità in modo da instaurare la pace. Infatti, il Talmud dichiara34): ” Se è permesso cancellare il nome di Dio, scritto in santità, per mettere pace fra marito e moglie quanto più lo è allo scopo diportare la pace nel mondo intero”35).Infatti, l’ideale della pace coinvolge tutto l’insieme delle relazioni umane: quelle tra marito e moglie, tra l’uomo e il suo prossimo e tra le nazioni.Il fratello di Mosè, Aron, constituisce il prototipo biblico dell’ideale ebraico della pace (Avot 1:12; cf. Yoma 71b). Nella Bibbia, in effetti, vi è un racconto dettagliato della maniera in cui Aron era devoto alla realizzazione del proprio ideale di pace che viene posto, in parte, in contrasto con quello di giustizia.Nel Talmud, invece, vi è una lunga serie di aggiustamenti sulla legge fatti nell’interesse della pace.Malgrado ciò l’Ebraismo vede la pace universale completa come un ideale che sarà raggiunto solo nell’era messianica.
In epoca Post-Talmudica:
L’ Ebraismo medioevale pone la pace lungo due coordinate principali: la pace nel mondo e l’impedire contese interne all’interno delle Comunità ebraiche.In realtà, per quanto riguarda la pace mondiale, gli ebrei del medioevo non avevano voce in politica internazionale; la pace concreta e circonstaziata era una questione puramente accademica per cui, di conseguenza, ne discutevano in un contesto puramente messianico.
Il commentatore biblico medioevale Joseph Albo36) definisce la pace quale armonia fra opposti: non vi è virtù nel dominio di un estremo ma solo nell’armonia che si può creare tra l’irascibile ed il paziente, il conformista e l’estravagante e così via.La pace mentale del singolo è raggiungibile solo attraverso l’armonia delle differenti componenti dell’anima.Isaac Arama , commentatore medioevale, dichiara che l’ideale convenzionale di pace,in sede negativa in quanto mera assenza di guerra, non fa giustizia alla ricchezza del concetto.L’ideale di pace, invece, è un concetto positivo: il mezzo con cui uomini di differenti temperamenti e opinioni possono lavorare insieme per uno scopo comune. La virtù individuale verebbe persa, in stato d’isolamento se non per mezzo della pace che unisce gli uomini aumentando il loro merito.Questo è il motivo per cui “Shalom” è considerato un nome del Signore, quale Colui che dona unità alla creazione.Nella letteratura moralistica medioevale viene posta grande enfasi sugli insegnamenti rabbinici riguardanti la pace in casa e all’interno della Comunità (e;.g., Isaac Aboab, Menorat ha-Ma’or 2:7, 61-65).Nella Cabalà, infine, l’inseguimento della pace ha un significato cosmico: Le azioni umane contribuiscono a determinare l’armonia delle sfere celesti.
3.3.4. Nel pensiero ebraico moderno:
Il pensiero ebraico moderno è unanime nel dare un grande valore al concetto di “Shalom”.Un tipico rapresentante della corrente di pensiero moderna, Morris Joseph, nel suo Judaism as Creed and Life del 1903, scrive che solo l’ebreo amante della pace è un vero seguace dei profeti, che il più grosso sacrificio deve essere fatto allo scopo di evitare la guerra, che un ebreo non può continuamente appartenere ad uno schieramento in guerra, e che la storia e la religione ebraica lo indirizzano verso la pace nelle vesti di cittadino come in quelle di individuo.A.I.Kook37), rapresentante religioso della corrente moderna, nel commento al ruolo del sacerdote nominato in stato di guerra citato nel “Deuteronomio” (Deut. 20:2-4), chiarisce che essa non era una carica ereditaria in quanto l’idea di una posizione ereditaria esprimeva permanenza negli affari umani e solo la pace doveva essere considerata permanente. Per questo motivo non poteva essere permanente una carica in tempi di guerra ma solo in stato di pace. Concludo la trattazione riportando le parole di R. Chaviv, il quale era solito insegnare: “caro e prezioso è lo Shalom perchè tutte le benedizioni, che quotidianamente noi recitiamo, terminano con lo Shalom”, come a dire che tutte le benedizioni non portano alcun vantaggio, se non accompagnate dallo Shalom.
3.4. I PRINCIPALI VALORI EBRAICI
L’intero sistema morale-etico-religioso ebraico si fonda sulla nozione che la fede, la conoscenza e la trasmissione dei valori, per divenire significativa, deve essere tradotta nell’azione: “Il valore supremo non è lo studio ma l’azione”. La fede e lo studio devono essere accompagnate dall’azione.Un equilibrata educazione ebraica ha successo solo quando il sapere viene trasformato in pratica, in modo da divenire uno stile di vita guidato da forti valori. Nessuna discussione o chiarificazione circa le mete dell’Ebraismo può essere intavolata soddisfacentemente senza una chiara conoscenza e comprensione dell’essenza spirituale, sociale e morale dei valori ebraici che costituiscono la linfa vitale dell’eredità ebraica.Alcuni valori risultano essere universali malgrado l’Ebraismo non distingua fra essi e quelli distintivamente ebraici; i valori secondo l’Ebraismo sono, infatti, interrelati ed interdipendenti.
Nello trasmettere specifici valori ebraici, quali lo studio della Torà o l’amore per il popolo ebraico vengono poste le fondamenta per la contemporanea comprensione e trasmissione di valori universali quali l’amore per l’umanità, la giustizia, la compassione ed il rispetto per tutti i popoli e viceversa.
3.4.1. L’Etica del rispetto
Mentrela visione religiosa dell’essenza umana, vede l’uomo quale estensione di Dio in quanto creato a Sua immagine e somiglianza, il pensiero secolare vede l’uomo quale evoluzione del mondo animale da cui, secondo la teoria darwiniana, deriverebbe. Sono importanti le implicazioni morali di questa distinzione.
In una dimensione sociale la prima ipotesi provvederebbe un fondamento religioso su cui poter giudicare, ogni essere umano,degno della massima dignità e del massimo rispetto in quanto persona ed in quanto dotata di un valore intrinseco.Il luogo principale dove si attua una vera e propria trasmissione di valori é la casa. La famiglia38), quindi in primo luogo, ha il dovere fondamentale di insegnare, sopratutto attraverso l’esempio, che ogni persona deve essere trattata con uguale rispetto e dignità.Secondo la tradizione ebraica soltanto una persona che abbia un forte senso dell’autorispetto e che si senta onorato e rispettato al pari degli altri può comprendere l’importanza dell’essere rispettati ed agire, di conseguenza, ugualmente nei confronti del prossimo.
Questo valore di base emerge con forza dalla proibizione religiosa di umigliare una persona, sopratutto in publico, che viene considerato l’equivalente morale dell’omicidio.Strettamente legati a questo valore vi sono l’obbligo di trattare le persone equamente e quello di avere considerazione della vita come qualcosa di sacro.A riguardo dell’obbligo di trattare le persone equamente, il concetto è maggiormente comprensibile alla luce della risposta alla domanda, che pone la Mishnà , del perché Dio creò un solo essere umano e gli diede in seguito il compito di crescere e moltiplicarsi invece di crearne già in quantità.A questa domanda la Mishnà risponde che così è stato in modo che l’intera umanità discendesse da un unica persona e nessun essere umano potesse credersi in qualche modo superiore.Per quanto riguarda la sacralità della vita, invece, l’importanza di questo valore è evidente dal fatto che la tradizione ebraica sospende tutte le proibizioni (eccetto l’idolatria, l’omicidio, l’incesto e l’adulterio) e permette la violazione dello Shabbat in modo da salvare una vita.
Non solo è fondamentale proteggere la propria vita39) ma sopratutto lo è quella del prossimo per cui è necessario che un ebreo muoia pur di non ubbidire ad un ipotetico ordine di omicidio.E’ ormai celebre la proposizione biblica: “Colui che salva una vita, salva il mondo intero”.Il rispetto emerge anche attraverso gli atti quotidiani di gentilezza e di generosità in modo da evidenziare quanto la dignità del prossimo sia preziosa quanto la propria.Inoltre il rispetto è un valore strettamente correlato all’amore verso il prossimo ossia ad uno dei dieci comandamenti.Ciò evidenzia ancora maggiormente la sua importanza.
3.4.2. L’Etica della giustizia
L’enfasi ebraica sul valore della giustizia emana direttamente da fonti bibliche, quali ad esempiola parabola della difesa di Abramo di Sodoma e Gomorra nella sua discussione con Dio. Esso esiste quale valore, nell’Ebraismo, fin dall’inizio della storia del popolo ebraico.
Un comandamento biblico prescrive la giustizia nella vita quotidiana quale deve essere esercitata da tutti gli ebrei: ” Giudica il tuo prossimo nella giustizia” (Levitico 19:15).La giustizia, nel pensiero ebraico include anche il valore dell’ onestà e si estende fino a comprendere non solo l’atto ma anche l’integrità della parola.Ad esempio, un ebreo ha l’obbligo di mantenere una promessa e di essere estremamente attento alle proprie parole in modo, non solo di non umigliare una persona ma anche di non parlarne male.Viene data grande importanza alla parola nell’Ebraismo per cui il pettegolare viene considerato molto severamente,la chiacchera viene sconsigliata e viene considerata una grande colpa la falsa testimonianza.
Tutto ciò è inteso facente parte dell’ambito della giustizia e dell’onestà.
Fa parte, inoltre della giustizia il giudicare benevolmente il prossimo in quanto é scritto nella Torà: “Come giudichi sarai giudicato”. Ciò implica,inoltre, che è richiesto all’ebreo, il rispetto delle differenze individuali e collettive e non soltanto la loro tolleranza.
Giustizia significa inoltre, nella religione ebraica lottare contro ciò che è male e non unicamente occuparsi di essere personalmente integri facendo il bene.
3.4.3. L’Etica della responsabilità
Emerge chiaramente dal pensiero ebraicol’importanza data al valore della responsabilità. Essa viene letta, come emerge da numerose fonti ebraiche, secondo due coordinate principali:
– Nel significato di responsabilità individuale;
– Nel senso di responsabilità civica;
A riguardo della prima coordinata, è interessante notare quanto la responsabilità per il proprio comportamento, per le proprie parole e per i propri pensieri, sia considerato un valore basilare al quale educare l’uomo fin dall’infanzia.L’indipendenza e la responsabilità vengono considerati talmente fondamentali in quanto concetti interrelati essenziali per la crescita individuale ma anche all’interno di una visione della collettività intesa in termini di unione d’individui interdipendenti.Infatti, nel significato di responsabilità collettiva, è famoso il commento di un famoso rabbino della Mishnà, Hillel,: “Non separarti dalla comunità”.Non è possibile vivere in modo ebraico senon all’interno della comunità e facendo propri dei valori che coinvolgono la collettività.Gli eventi più importanti della storia ebraica hanno coinvolto il popolo nella sua interezza: il dono della Torà, l’uscita dall’Egitto, la Shoà.E’ fondamentale per un ebreo capire che gli esseri umani sono interdipendenti e legati l’uno all’altro ad un livello profondo; ciò che succede ad un individuo e come egli si comporta ha ripercussioni su tutta la comunità.Il senso di responsabilità civica e di partecipazione alla collettività attraverso il proprio contributo rispecchia da vicino, in ultima analisi, il coinvolgimento e la responsabilità nei confronti di se stessi.
3.4.4. L’Etica della compassione
La compassione viene considerata dalla filosofia ebraica, una qualità innata nell’uomo.Essa consiste in uno stato d’animo o in un sentimento che ha l’obbligo di essere tradotto in azione.Attraverso la compassione, all’uomo viene chisto di imitare una essenziale qualità divina che viene spesso posta in contrapposizione, pur nella loro complementarietà, con l’attributo della giustizia.La forma più comune ed enfatizzata, nel pensiero ebraico, attraverso cui esercitare la compassione verso il prossimo è la Tzedakah.
Essa viene impropriamente tradotta con “carità” ma in realtà è considerato un dovere essenziale e non principalmente un atto di bontà.
“Tzedakah” significa, infatti, letteralmente “giustizia”.
Ogni ebreo è obbligato a donare il dieci per cento del proprio guadagno al povero; questa somma viene considerata spettante di diritto al bisognoso in quanto ogni uomo dovrebbe ricevere ugualmente di ciò che Dio ha creato. La tzedakah nella suo significato più ampio designa, inoltre il comportarsi in maniera giusta in una certa situazione.
Dal sostantivo “tzedakah” deriva “tzaddik” ossia colui che è integro e
giusto nel suo essere e agire quotidiano.La tzedakah ha il valore ed il peso di tutte le altre mitzvot messe assieme, secondo il pensiero tradizionale ebraico.
3.4.5. L’Etica dell’amore del prossimo e della Ahavat Israel
Parallelo all’enfasi ebraica sull’amore e sulla reverenza del Creatore, vi è l’importanza, nella tradizione ebraica, data al verso della Torà: ” Ama il tuo prossimo come te stesso” (Levitico 19:18).Il famoso rabbino e commentatore, Hillel40), riassumeva nel sudetto verso, l’essenza dell’intera Torà e spiegava che il verso implicava, in pratica, di “non fare al prossimo quello che non vorresti fosse fatto a te”.Egli fu ancora più diretto in questo argomento attraverso la proposizione che gli viene attribuita dalla Mishnà: “Ama tutte le persone ed avvicinale alla Torà”.Tutto ciò fa ormai parte della tradizione ebraica tramandata oralmente attraverso le generazioni.Un altro ambito del pensiero ebraico, la mistica, insegna che gli esseri umani costituiscono un microcosmo che riflette il macrocosmo. L’amore e gli atti di bontà, detti “Ghemilut Hasadim”, sostengono il macrocosmo. Quindi, ancor più, devono esistere nel macrocosmo. La mistica ebraica và, però, ancora oltre quando afferma che l’universo non potrebbe esistere senza di essi.In essa si afferma che l’amore è necessario fin dall’infanzia alla sopravivenza dell’uomo.Ricerche in ambito clinico hanno dimostrato che l’amore è uno dei nutrimenti essenziali per garantire l’immunità del sistema vitale umano.La sua deprivazione può portare a debilitazioni psicoemozionali e morali da non sottovalutare.Accanto alla necessità di amore vi sono due elementi di base determinanti nello sviluppo del carattere umano in merito alla filosofia ebraica e consistono nelle:
– Zehirut (l’attenzione nel non sbagliare)
– Zerirut (l’energia innata all’uomo che porta a fare la cosa giusta).
Fonti tradizionali ebraiche hanno spesso descritto la zehirut come il controllo della tendenza umana all’impulsività. Dal punto di vista educativo l’impulsività dovrebbe essere controllata attraverso la riflessione sul comportamento appena adottato e la ripetizione del comportamento corretto.La zerirut, invece, consiste nel comportamento morale tradotto anche con la parola “musar” che connota l’etica che viene trasmessa da padre in figlio. Infatti, una volontà etica deve poter essere trasmessa attraverso le generazioni per mezzo di una filosofia morale.Per quanto riguarda la Ahavat Israel, invece, è necessario innanzitutto chiarirne il significato.Esso consiste essenzialmente nella responsabilità che i membri del popolo ebraico dovrebbero avere l’uno verso l’altro in modo da portare unione all’interno del popolo. “Ahavat” significa, in effetti, “amore”.
Di conseguenza emerge il fatto che si tratta in specifico di un valore strettamente ebraico.
3.4.6. Il Valore della fede
La fede ed il monoteismo sono il nucleo stesso del pensiero ebraico in quanto reggono le fondamenta di tutto il sistema filosofico etico e religioso della tradizione ebraica.L’Ebraismo è essenzialmente religione in quanto tutto ciò che viene considerato tradizione,uso o costume, pur avendo radici storiche, deriva in ultima analisi da un aspetto o un concetto religioso o comunque legato all’ambito religioso.Innanzitutto nell’ Ebraismo la fede viene considerata una fondamentale necessità umana.Essa si esplica attraverso due modalità: la ahavat haShem, ossia l’amore per Dio, e la Yirat haShem, la riverenza di Dio.41)Entrambe derivano dalla fede ma spesso emanano anche dal cantatto e dalla riflessione sulla natura.La tradizione religiosa ebraica prescrive, infatti, benedizioni a riguardo di ogni atto che porti l’uomo a stretto contatto con la natura.La fede, nel pensiero ebraico, è un valore innato all’uomo ma che ugualmente richiede di essere coltivato.Viene coltivata sia attraverso le mitzvot che attraverso lo stusio della Torà ma deve essenzialmente scaturire dall’amore e dal timore di Dio.
Sia l’amore che il timore di Dio possono raggiungere due livelli d’intensità: vi è l’amore dettato dal desiderio di ricevere una ricompensa, morale o materiale che sia, ma è anche possibile raggiungere un livello superiore di amore, quello disinteressato e puro.
Ciò vale ugualmente per il timore: esso può essere fondamentalmente timore di essere puniti oppure reverenza conseguente alla consapevolezza della grandezza e superiorità divina.
La fede, però, per essere sana deve essere accompagnata dalla consapevolezza del valore della tolleranza e del rispetto del prossimo.
Il concetto del rispetto è ben simboleggiato dal fatto che nella religione ebraica manca una benedizione specifica a riguardo degli atti di bontà e generosità, ed in genere dei comandamenti etici.Rabbi Abraham ben David di Posquieres suggerisce che il motivo di ciò
potrebbe consistere nel fatto che un atto di bontà è spesso in risposta alla sofferenza umana e non sarebbe appropriato recitare una benedizio
Inoltre potrebbe dare l’impressione di ringraziare della sofferenza del prossimo che ha dato l’opportunità di fare una mitzvà e aumentare di merito.La tolleranza non è però il valore massimo in quanto il rispetto la supera d’importanza ed implica non solo il riconoscimento delle differenze individuali e nazionali ma anche il loro apprezzamento.
La belezza di un grande consesso umano sta nella varietà straordinaria sia delle apparenze esterne che delle sue intime qualità.
Si deve benedire il Creatore, secondo il pensiero ebraico, in quanto Egli è “conoscitore dei segreti” dell’anima di ognuna e le apprezza.ne in quanto potrebbe sembrare un espressione di ringraziamento per la sofferenza altrui e non la propria.Anche la Bibbia presenta una vasta gamma di caratteri differenti senon contrastanti basti ricordare Caino e Abele, Isacco e Ismaele, Giacobbe e Esaù, Rachele e Lea, ma è nella letteratura rabbinica che viene maggiormente esaltato il valore positivo della differenza.
3.4.7. La protezione del debole
L’obbligo di proteggere il debole deriva dal dovere biblico di amare il prossimo come se stessi.La tradizione ebraica indica diverse modalità di addempiere a questo valore considerato di estrema importanza.E’ necessario, in primo luogo, chiarire quali categorie comprenda il termine “debole”.Vi sono norme specifiche, nel Tamud, che regolano la cura e l’interesse dovute al “debole” in cui vengono trattate conseguentemente leggi riguardanti la protezione dell’orfano, del povero, della vedova, del malato e dell’anziano.Da ciò è possibile derivare le varie categorie sociali incluse nel termine “debole”.Prenderò ad esempio la trattazione del Talmud riguardante la vecchiaia.
La Vecchiaia:
La persona anziana è considerata facente parte della categoria del “debole”, viene quindi tutelata.
Un indagine sull’ Ebraismo e la vecchiaia non può essere condotta unicamente tentando di fotografare la condizione dei vecchi nella società ebraica nei suoi diversi momenti storici, ma è necessario argomentare sulla condizione della vecchiaia riflettendo innanzitutto sugli aspetti centrali relativi alla vita e al mondo sociale di coloro che vecchi non sono.Il fenomeno della vecchiaia infatti fa parte della vita di relazione per cui, ogni società ha un suo modello di vecchio, più o meno idealizzato.Questo modello nei suoi elementi di negatività e positività non costituisce altro che la risultante di una società, come quella ebraica, che si organizza come struttura protettiva dei membri più deboli in nome di un ideologia religiosa scierata in difesa della dignità dell’uomo, indipendentemente dalla sua condizione contingente, e situata comunque in uno spazio sacro.Non a caso il primo esplicito precetto che prescrive rispetto per gli anziani fa parte di quei capitoli del Levitico sulla Qedushah (santità), in cui sono enunciati principi normativi i quali prescrivono la difesa dei deboli quali il povero, la vedova, l’orfano, lo straniero, l’individuo colpito da una menomazione fisica ecc..
Tutti precetti, questi, che si richiamano ad un dettato morale in cui, comunque, è l’uomo ad essere posto quale soggetto e oggetto di attenzione etica per cui si richiamano al dovere fondamentale enunciato dallo stesso capitolo: “Ama il tuo prossimo come te stesso” che l’interpretazione ebraica comune traduce: “Desidera per il tuo prossimo ciò che desideri per te stesso”.La condizione dell’anziano nell’Ebraismo, inoltre, non va misurata soltanto a livello individuale, con il rispetto dovuto a colui che ha partecipato e partecipa con la sua esperienza di vita all’esistenza umana, ma a colui che fa parte integrante di una logica comunitaria per la quale la solidarietà fra i suoi membri garantisce la realtà storica e l’equilibrio dell’operare collettivo indicato dal precetto biblico divino come un aspetto sacro della Comunità. L’Ebraismo ha una lunga tradizione etica che accoglie come essenziale il principio della sacralità della vita.42) La conservazione e la gestione della vita è pertanto una questione di responsabilità, da cui nasce il dovere di garantire e migliorare la propria esistenza e quella del prossimo. Dalle esigenze di una migliore qualità della vita si arriva perciò ad un etica che affida all’uomo le responsabilità che gli incombono nelle sue decisioni morali.Pertanto tutto ciò che influisce negativamente nelle sofferenze degli esseri viventi, costituisce turbamento morale rilevante nella più vasta concezione che esalta il concetto di vita.La longevità, secondo l’Ebraismo, non è soltanto un bene, ma è anche il segno di un giusto rapporto con la Divinità.Nel Tanakh (Ecclesiaste), il problema della vecchiaia è presentato sotto due aspetti fondamentali: sotto l’aspetto etico-pedagogico con cui si prescrive il rispetto che si deve all’anziano, e sotto l’aspetto del processo vitale in cui la condizione della vecchiaia è contrapposta a quella della gioventù.
I problemi della vecchiaia nella halakhà (compendio di leggi)
La Bibbia ebraica considera la vecchiaia come una prosecuzione naturale della vita. Anche per la moderna gerontologia la senilità non è una fase distinta e superflua della vita dopo che l’individuo ha raggiunto l’acme della sua capacità produttiva e del suo rendimento.
Di fronte alla vecchiaia l’Halakhà ha ovviamento tenuto presenti gli immutabili principi di rispetto e considerazione sopratutto nei confronti dei genitori anziani. Pertanto nel suo dinamico processo di applicazione pratica alla vita e alle condizioni del vecchio, la normativa ebraica, ha chiarito ai membri e agli amministratori civili delle comunità e della società in generale, i doveri che questi hanno verso la vecchiaia.
Si è tenuto conto che essa è un fenomeno che acquista gradatamente un miglioramento ed un impegno grazie ai progressi della medicina e dell’aumentato livello delle condizioni socioambientali.
L’Halakhà ha ritenuto che sia primario dovere sociale educare I cittadini al concetto della vecchiaia escogitando nuovi indirizzi e metodiche per acquisire un rapporto pratico più addeguato all’idealizzazione ebraica del fenomeno senile.Ad esempio, come primo problema è stato affrontato quello della solitudine a cui sono state cercate soluzioni di carattere famigliare e sociale.Le norme pratiche adottate,che variano a seconda delle circostanze ambientali , sono legate a considerazioni di carattere socioeconomico pur se fondate su riflessioni di valore etico. Inoltre esse sono basate su principi di carattere psicologico essenziali per non avvilire la personale dignità umana accettando a cuor leggero l’assistenza altrui.Esse si ispirano al modello offerto dalla storia famigliare degli antichi patriarchi, nella quale si prescrive, ai membri della famiglia, un’ attenzione ed una doverosa assistenza a favore degli anziani. I Maestri citano episodi di vita famigliare in cui la presenza dei vecchi non solo non recava disagi ai più giovani, ma determina un clima di armonia grazie al quale i compiti venivano distribuiti tra i conviventi famigliari mediante una mutua collaborazione. Perciò con opportune distribuzioni di mansioni si può migliorare la vita di una famiglia dal punto di vista sociale ed educativo.In caso di necessità incombe ai figli di offrire personalmente o con l’aiuto di persone adatte, la collaborazione a risolvere necessità quotidiane di genitori bisognosi di assistenza.E’ possibile concludere che nella giurisprudenza ebraica, quindi, il vissuto storico si annoda con il dettato etico offrendo una rielaborazione morale che aiuta a comprendere le condizioni psicologiche durante la vecchiaia. Infatti lo sconforto che spesso assale il vecchio, il quale si sente ormai spogliato del ruolo sociale che ha costituito il senso principale della sua esistenza, trova una compensazione nella considerazione etica e nel rispetto verso colui che ha accumulato una ricca esperienza.L’educazione che offriva la figura e l’esempio dell’anziano ai più giovani aveva non soltanto un valore etico ma anche un valore di apprezzamento per i principi tradizionali.
Inoltre il rispetto per la vecchiaia ha consentito di ridimensionare i valori tradizionali addeguandoli ai tempi nuovi pur lasciandone intatta la sostanza.Secondo la giustizia sociale ebraica alla persona deve essere conferita dignità nonostante le contingenti debolezze legate alla sua natura umana.Il rapporto che l’Ebraismo stabilisce con la vecchiaia è dunque un rapporto etico, di solidarietà che non deve essere incrinata da una diminuita capacità vitale dell’individuo.
26) I “patterns” è il termine più comunemente utilizzato in psicologia per delineare, in genere, i modelli mentali.
27) Il Pentateuco consiste nei cinque libri della Torah.
28) Vi sono due edizioni del Talmud: quello di Gerusalemmo e quello della Babilonia a seconda di dove è stato redatto.
29) La parola “teologia” serve a denotare soltanto la teologia cristiana.
30) Y. Leibowitz fu un famoso scienziato e uomo di lettere, nato a Riga nel 1903 e stabilitosi definitivamente in Palestina nel 1935.
31) Pagina 22
32) Lo Shulchan Arukh è un codice di leggi scritto da Joseph Caro e publicato per la prima volta a Venezia nel 1565.
33) Il Midrash designa un particolare genere di letteratura rabbinica costituita da antologie e compilazionidi omelie di esegesi biblica o di sermoni delivrati in publico nel corso dei secoli.
34) Nei confronti di Numeri 5:23.
35) TJ,SOT. 1:4, 16d
36) Sefer ha-Ikkarim 4:51.
37) A. I. Kook fu un pensatore ed un autorità rabbinica. Primi rabbino Ashkenazi di Israele nacque nel 1865 e morì nel 1935. La ricompensa per il rispetto tenuto nei confronti dei genitori, a maggior ragione se anziani consiste, secondo la religione ebraica, in una lunga vita.
38) Chiaramente lo stesso discorso è valido a riguardo di tutti gli agenti sociali
39) L’Ebraismo è contrario al suicidio che considera alla stregua dell’omicidio
40) In epoca talmudica si formarono due grandi scuole di pensiero ebraiche di cui una era rapresentante R. Hillel e l’altra R. Shammaj.
41) Yirat haShem viene spesso tradotto impropriamente quale timore di Dio