CAPITOLO II: Il matrimonio ebraico
2.1. Il matrimonio come istituzione
2.2. La cerimonia nuziale nelle sue diverse fasi
2.3. I matrimoni proibiti
2.4. Gli scopi del matrimonio
2.5. Il divorzio
Esso è strutturato in modo da far emergere una descrizione approppriata delle varie componenti del matrimonio e del divorzio ebraici allo scopo di evidenziarne le caratteristiche specifiche.
2.1 IL MATRIMONIO COME ISTITUZIONE
Il Matrimonio e la formazione di una famiglia è la prima prescrizione religiosa ad essere stata data da Dio all’uomo14)
Nell’Ebraismo il matrimonio viene considerato un “alleanza” fra due esseri viventi, per natura, del tutto opposti.
Questa alleanza viene stipulata con la “partecipazione” del divino che ne è testimone e che permette, attraverso il matrimonio, che le tensioni esistenti fra poli opposti, ossia tra il femminile ed il maschile, vengano annullate in nome di un unione armonica che ha la potenzialità di durare tutta la vita.Il matrimonio e la procreazione sono, nell’Ebraismo, precetti indirizzati all’uomo e non alla donna. Ciò emerge fin dalle prime righe dell’Antico Testamento è ne testimonia la forte connotazione religiosa: “Non è bene che l’uomo stia solo: gli farò un aiuto simile a lui (…). Per questo motivo l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si unisce alla donna e diventano una sola carne” (Gen. 2,18-24).
Nella Bibbia, infatti, il matrimonio appare come un dono del Creatore secondo quanto è scritto: “e Dio li benedisse e disse loro: prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo (…) (Gen.1,28).
Quest’ultima mitzvà si rivolge, in specifico, all’uomo in quanto, il parto è considerato un momento delicato e pericoloso della vita della donna per cui, la Torà non trova giusto il farne un obbligo per la donna.
La decisione di avere figli deve nascere, invece, da una sua libera scelta.Il concetto ebraico del matrimonio come istituzione si basa sulla legislazione talmudica che non eleva il matrimonio alla posizione di sacramento religioso ma neppure lo pone a livello di un semplice contratto civile.Esso pur non essendo un vero e proprio sacramento di ordine trascendentale, include un significato di ordine religioso.
In numerosi commenti rabbinici e midrashim si può ritrovare l’idea che il matrimonio viene combinato in cielo ancor prima della nascita e che qualora gli sposi riescano a creare un intesa e far regnare l’armonia, Dio stesso dimora fra loro.D’altra parte, malgrado la presenza divina sia considerata un sine qua non per un matrimonio felice, esso è pur sempre un unione contratta fra individui e non è considerata, per se stessa, una sacra istituzione.Il matrimonio è , infatti, un istituzione fondata su un vero e proprio contratto matrimoniale che provvede particolari benefici alle parti e la cui natura è determinata dagli interessi individuali.
Alcuni fattori sociali che contribuiscono, anch’essi, a determinare la natura del contratto, rimasero nei tempi, caratteristiche stabili mentre altri, subirono variazioni a seconda delle condizioni socioculturali del paese di provenienza degli sposi.Il famoso rabbino e commentatore Maimonide15) differenzia tre categorie relazionali che è possibile ritrovare all’interno dell’unione matrimoniale.
Primariamente il matrimonio,secondo Maimonide, può essere descritto come “associazione” fondata sull’interesse reciproco. Se questo interesse dovesse mancare si dissolverebbe l’intero legame matrimoniale.
Secondo, esso può essere considerato un unione allo scopo di condividere problemi, dispiaceri e gioie. Le gioie si moltiplicano e i dispiaceri si dimezzano quando vengono condivisi.La terza categoria riguarda una relazione fondata sulla dedizione a scopi comuni. Entrambe le parti sognano di realizzare grandi ideali per i quali sono pronti a sacrificarsi.Secondo il pensiero del Maimonide, il matrimonio ebraico deve includere, almeno, il primo ed il secondo livello che riuniscono rispettivamente l’aspetto fisico e quello psicologico dell’unione, ma per formare una solida famiglia è necessario che gli sposi raggiungano il terzo livello.
2.1.2. Aspetti storici
La concezione biblica è essenzialmente monogamica (Gen. 2,24) e, benchè ai tempi biblici la poligamia fosse comune tra le classi sociali più elevate (Giudici 8,30; I Re 11, 1-8), molti riferimenti al matrimonio negli Scritti sapientali16) sembrano dare per scontato che un uomo abbia una sola moglie.Fonti della Bibbia confermano che i matrimoni in epoca biblica erano, in genere, combinati dai genitori di entrambe le famiglie.
La cerimonia nuziale aveva luogo, usualmente, un anno dopo il fidanzamento allo scopo di permetterne la preparazione.
Vi era forte opposizione ai matrimoni fuori dal “clan” o con membri di altre popolazioni, allo scopo di preservare l’identità del popolo ebraico ma anche come rimedio all’idolatria.
Era considerato un obbligo fondamentale addempiere al più presto al dovere del matrimonio. L’età media per un matrimonio venne stabilita, dai maestri del Talmud, a diciotto anni.Solamente ad una persona che fosse intensamente occupata nello studio della Torah era permesso posticipare il matrimonio oltre il dovuto.A chi fosse in procinto di contrarre nozze veniva consigliato un ordine procedurale preciso stabilito nel Deuteronomio: ” Prima compra una casa, poi pianta un vineto ed infine sposati” (Deuteronomio 20:5-7).
2.1.3. Il Concetto di matrimonio nella letteratura succesiva al vecchio testamento
E’ doveroso premettere alla seguente trattazione che non è possibile effettuare una separazione netta tra gli insegnamenti dell’Antico Testamento e quelli riportati in altri testi di più recente stesura, per il fatto che tali fonti sono sovente complementari dell’ Antico Testamento ed è da una contemporanea considerazione delle varie indicazioni circa un determinato argomento che l’atteggiamento da tenersi a riguardo può risultare chiaro.
In era post-talmudica venne mantenuta un attitudine rabbinica positiva nei confronti del matrimonio.L’ascetismo ed il celibato continuarono ad essere eventi estremamente rari.
Il divorzio, malgrado la relativa facilità con cui veniva concesso, non era frequente, in parte a causa delle forti pressioni sociali presenti all’interno dell’ambiente ebraico ma anche a causa del fatto che al mantenimento di una famiglia unita veniva data grande importanza. La famiglia ebraica veniva considerata fondamento della vita religiosa e laica.Il Nuovo Testamento è caratterizzato da un atteggiamento negativo verso gli impulsi sessuali e considera il celibato un ideale superiore al matrimonio (Matt. 19,10; I Cor. 7). Il matrimonio è una concessione alla debolezza umana (I Cor. 7) ma, una volta contratto, diviene un vincolo dissolvibile solo con la morte (Matt. 5, 31-32, 19,9; Mar. 10, 12; Luca 16,11).
In altre parole, impulsi sessuali, matrimonio, e piaceri mondani in genere, vengono considerati disprezzabili e ad essi è ritenuta di gran lunga preferibile la castità.Gli insegnamenti rabbinici, al contrario, ritengono il celibato innaturale: ” Non è chi si sposa a comettere il peccato; il peccatore è l’uomo non sposato che spende tutti i giorni in pensieri peccaminosi (…).”Il matrimonio non serve solo a raggiungere l’amicizia e a procreare: esso realizza un individuo come persona. Entrambi gli sposi concorrono ad innalzare l’unione a livelli superiori per mezzo della mutua considerazione e del rispetto.Il rito sponsale nella tradizione viene così descritto nell’Encyclopedia Judaica: ” I matrimoni venivano solitamente organizzati dai genitori (Gen. 21,21-24, 28,2) ma il consenso della sposa veniva chiesto per l’occasione(Gen. 24,5-58) ed unioni sentimentali non erano infrequenti”(Gen. 29,20; Giudici 14, I Sam 18,20; II Sam. 11,2; I Re 2,17; II Cron. 11,21).La poligamia, benché teoricamente ancora possibile, veniva scoraggiata ed era quasi sconosciuta tra i rabbini dell’epoca talmudica.Queste significative tendenze rimasero stabili o subirono lievi oscillazioni fino all’epoca moderna: il modello di vita famigliare stabilito dal Talmud rimase invariato per diversi secoli. Con i cambiamenti culturali che seguirono l’emancipazione ebraica, i matrimoni misti ed i divorzi subirono un forte aumento e l’età media del matrimonio venne posticipata.
Queste tendenze sociali s’intensificarono dopo la Seconda Guerra mondiale mentre le abitudini della società circostante vennero sempre più riflesse dallo stile di vita ebraico.
Venivano posti in discussione sia la stabilità del matrimonio in quanto istituzione fondamentale sia, in generale, l’intera etica tradizionale.
2.1.4. I Diritti della moglie e del marito
L’atto del matrimonio crea particolari doveri e diritti fra moglie e marito. Un marito, secondo il precetto stabilito dallo Shulhan Aruch,17) ha dieci obblighi nei confronti della propria moglie, (o verso la sua discendenza), mentre una moglie ne ha quattro verso il proprio marito. Gli obblighi del marito nei confronti della moglie sono i susseguenti:
– provvedere al mantenimento e al sostentamento;
– provvedere all’alimentazione e all’abbigliamento;
– coabitare con ella;
– provvedere alla somma dovuta alla propria moglie dalla legge e citata nella ketubà o contratto matrimoniale;
– provvedere alle cure mediche necessarie in caso di malattia;
– provvedere al suo riscatto in caso di sequestro;
– provvedere al suo funerale in caso di morte;
– provvedere al suo sostentamento dopo la propria morte e assicurarle il diritto a vivere nella sua casa fintanto che resta vedova;
– provvedere al mantenimento delle proprie figlie dopo la propria morte, fino all’età della maturità oppure fin al loro matrimonio;
– permettere ai propri figli di ereditare la somma prevista nella ketubà della madre;
La moglie, invece, ha l’obbligo di garantire i susseguenti diritti al proprio marito:
– al beneficio del lavoro (manuale) della propria moglie;
– all’usufrutto della sua proprietà;
– a ereditare il suo patrimonio;
Tali doveri derivano dalla legge e non da un semplice accordo fra parti. Sono, quindi, valevoli anche qualora non fossero stati messi per iscritto.Essi derivano automaticamente dall’atto del matrimonio anche nel caso non fosse stato stipulato un contratto matrimoniale.Il diritto al mantenimento include quello riguardante l’abitazione ossia il provvedere agli utensili ed ai mobili necessari e ad una casa di uno standard ragionevolmente in accordo con gli usi locali.La località della residenza è stabilita dal marito in quanto presunto che le parti si siano accordate in precedenza e la moglie non ha diritto all’obbiezione se non è stato prima stipulato un accordo che prevedesse, esplicitamente o implicitamente, che non sarebbe stata cambiata la residenza senza il suo accordo.
I casi in cui ad un marito é concesso il diritto di cambiare residenza senza il consenso della moglie sono , però, ridotti ai seguenti:
– motivi di salute;
– motivi di lavoro;
– qualora la pace matrimoniale sia “minacciata” da genitori e parenti;
Vi sono delle eccezzioni all’obbligo della donna a trasferirsi anche nei suddetti casi e riguarda i susseguenti motivi:
– qualora il suo rapporto matrimoniale sia tale da suscitare in lei il desiderio di non allontanarsi dalla residenza dei propri genitori;
– qualora la nuova abitazione sia inferiore a quella attuale;
– qualora la donna non voglia trasferirsi da una città ad un villaggio o viceversa;
L’obbligo del marito alla coabitazione deriva da una legge di origine biblica stabilita in accordo con le proprie capacità fisiche ed occupazionali. Fra i diritti del marito vi è quello ad usufruire del lavoro manuale della moglie.Per “lavoro manuale s’intende il “manage” famigliare in accordo con lo standard di vita e l’uso locale.
2.1.5. Aspetti legali
Nella legislazione ebraica, il matrimonio, consiste di due atti legali separati chiamati rispettivamente Kiddushin e Nessuin.
Il primo consiste in un atto implicante cambiamenti nello “status” individuale che rimangono tali fino alla morte del coniuge o nel caso di divorzio.Esso non implica, da solo, le conseguenze legali del cambiamento di status.E’ previsto e necessario, quindi, un altro atto, il Nessuin, che comporta la vera e propria convivenza dei coniugi e implica tutte le conseguenze legali che susseguono all’atto del matrimonio.Il Kiddushin, che consiste in una serie di benedizioni all’interno di una cerimonia nuziale, crea un legame personale tra gli sposi, che sono considerati ufficialmente uniti in matrimonio, attraverso di esso al marito è proibito sposare un altra donna e viceversa.
Ciò, però, non comporta i mutui doveri e diritti esistenti fra coniugi che entrano in vigore solo una volta concluso il Nessuin.Inoltre, essendo il matrimonio un contratto con effetto legale, può essere celebrato solo da parti che abbiano capacità legali.Questo é il motivo per cui, un matrimonio che fosse stato stipulato da un minore o da un malato mentale è considerato invalido.Secondo la legge ebraica un uomo è considerato minorenne entro i tredici anni mentre una donna dodici ma, in epoca moderna, i maestri del talmud stabilirono l’età minima del matrimonio a diciotto anni (Avot 5.24).
2.1.6. Il significato del matrimonio
Nel pensiero ebraico, il matrimonio, viene considerato l’unico legame capace d’innalzare e perfezionare la personalità individuale attraverso l’amore e la mutualità.Questa istituzione è considerata talmente importante che ad un uomo è permesso vendere un rotolo della Torah allo scopo di sposarsi e una donna tollererà un matrimonio infelice pur di non rimanere sola.
Nella letteratura viene citato più volte il parallellismo esistente tra l’alleanza creata dal patto fra il Signore ed il popolo ebraico e quella tra marito e moglie. Un padre ha il dovere capitale di sposare la propria figlia secondo quanto è scritto nel Talmud in riferimento al padre che ignora questo comandamento: “Non profanerai tua figlia delivrandola alla prostituzione” (Levitico 12,29).La relazione maritale non è intrinsecamente competitiva bensì complementare. La definizione ebraica di compatibilità non si pone a livello di ruolo ma a livello di personalità. Il matrimonio rapresenta l’unione più produttiva in termini di mutuo supporto, crescita individuale ed appagamento sessuale.Non vi è contraddizione fra mutualità e crescita individuale.
Il Talmud insiste sul valore del matrimonio quando cita: “Colui che non si sposa vive senza gioia, benedizione e bontà”(Yeb 62b).
Non ci si dovrebbe mai accostare al matrimonio in maniera superficiale.
Formare una coppia ben assortita è difficile come aprire le acque del Mar Rosso e richiede l’infinita saggezza di Dio stesso.Per questo motivo, benchè da un certo punto di vista il matrimonio sia predeterminato, l’individuo deve scegliere saggiamente.Il matrimonio non dovrebbe essere contratto per denaro ma un uomo dovrebbe scegliere una moglie che sia di temperamento mite e che abbia tatto, che sia modesta ed industriosa e che risponda ad altri requisiti: di rispettabilità della famiglia, di età e stato sociale simili, di belezza e di scolarità del padre.
2.2. LA CERIMONIA NUZIALE
La cerimonia nuziale segna un periodo cruciale della vita di un uomo ed è naturale che si siano sviluppati, nel tempo, una moltitudine di usi e costumi differenti che avevano, generalmente, uno dei due seguenti scopi: proteggere la coppia da spiriti maligni o invocare la benedizione divina sulla fertilità.Molti costumi furono derivati dagli usi della società d’appartenenza e alcuni sono di carattere universale. Altri rispecchiano antiche tradizioni ebraiche che erano portatori di profondi significati o semplici manifestazioni di gioia.La cerimonia nuziale, secondo la legge talmudica, non può avere mai luogo il Sabato, nelle festività ed in giorni di lutto.Lo stile della cerimonia nuziale riflette i valori personali della coppia e dei famigliari, e la loro percezione di alcuni “standards” comunitari.18)
2.2.1. Aspetti storici
Non esiste una data precisa dell’adozione della cerimonia nuziale nella Bibbia.L’atto del matrimonio viene semplicemente designato con il termine “prendere” riferito alla scelta della sposa, ma fin dal racconto del matrimonio di Giacobbe e Leah è evidente che vi era una sorta di celebrazione consistente essenzialmente dalla processione degli sposi verso la tenda matrimoniale, accompagnata dalla musica.Durante il periodo talmudico, e presumibilmente fin da un periodo anteriore ad esso, la cerimonia consisteva in due momenti separati: il Kiddushin ed il Nessuin.
Il primo atto aveva luogo attraverso la cessione da parte dello sposo alla sposa di un anello, alla presenza di due testimoni, e la recitazione di una particolare formula matrimoniale.
In seguito venivano recitate due benedizioni: la prima sul vino mentre la seconda consisteva essenzialmente in un ammonimento contro la coabitazione ,vietata finchè non fosse stato completato il secondo atto del matrimonio.Un anno dopo aveva luogo il secondo atto, il Nessuim, in cui venivano recitate una serie di benedizioni e attraverso cui gli sposi erano del tutto legati al vincolo matrimoniale per cui gli veniva permessa la coabitazione.
Il Talmud documenta ampliamente il fatto che la cerimonia fosse accompagnata da grandi manifestazioni di gioia.
Nell’epoca post-talmudica venne introdotta un importante modificazione: il Kiddushin ed il Nissuin vennero riuniti in un unica grande cerimonia. Questa modifica introdotta, presumibilmente durante il Medio Evo, a causa delle condizioni instabili e pericolose in cui il popolo ebraico viveva, divenne una pratica universale nel XII secolo.
Era eccessivamente sconveniente avere un intervallo di tempo tra le due cerimonie, giacchè, da un lato , ai due contraenti era proibita la coabitazione e, dall’altro, essi erano soggetti a tutti gli obblighi imposti dallo status di coniugati.Una volta conclusi il Kiddushin era vietato ad entrambe le parti sposarsi con qualunque altra persona.Altri cambiamenti dell’epoca consistettero nell’aggiunta di nuove benedizioni e l’inclusione di un sermone del rabbino.
2.2.3. Fasi della cerimonia nuziale
E’ consuetudine iniziare le fasi di celebrazione matrimoniali il sabato prima della data del matrimonio.Lo Shabbat precedente la cerimonia, al tempio, lo sposo viene invitato dall’officiante a leggere una parte della Bibbia allo scopo di annunciare publicamente il matrimonio ma anche con il proposito di associare il matrimonio ad una componente spirituale quale la lettura della Bibbia19).E’ pevisto un periodo di separazione degli sposi alcuni giorni prima del matrimonio, secondo la tradizione, con l’intento di aumentare la gioia e l’emozione.La cerimonia consiste essenzialmente di due fasi principali, I gia citati Kiddushin e Nessuin, conseguenti l’una all’altra.La prima fase, il Kiddushin, consiste essenzialmente, in un atto di acquisizione.
Lo sposo attraverso la cessione di un oggetto di valore alla sposa, di frequente si tratta di un anello, la “acquista” simbolicamente.
Il concetto di matrimonio come “acquisizione” e la necessità di un acquisizione formale hanno origine nei primi tentativi di incanalare e rendere produttiva la passione ed il desiderio.
Questo atto ricalca in parte e ricorda, l’atto di acquisto di una terra.
In questa occasione viene trasmesso un insegnamento all’uomo, che si carica facilmente delle responsabilità dell’essere proprietario terriero ma spesso non è veramente consapevole delle responsabilità famigliari.In questo modo viene evidenziata la serietà dell’unione matrimoniale.
Inoltre il fatto che il matrimonio sia celebrato attraverso un atto formale permette alla giovane coppia di considerarlo un legame serio e permanente pur se esso prevede leggi specifiche che non sempre tengono conto del sentimento individuale, quindi anche qualora venga a mancare la passione iniziale.Inoltre l’acquisizione richiede mutuo consenso sia nel caso si tratti di una proprietà che nel caso di un matrimonio.Può darsi che la tradizione ebraica abbia associato il termine “prendere” sia in riferimento alla moglie che alla proprietà proprio per assicurarsi che il termine non fosse interpretato quale atto di forza non implicante il consenso. Esso è necessario per validare l’unione matrimoniale proprio come lo sarebbe nel caso di acquisto di un terreno.L’atto simbolico della cessione dell’anello alla sposa evidenzia una visione differenziata del ruolo maschile e femminile.La donna ha l’ultima decisiva “parola” in merito alla cerimonia.L’uomo assume un ruolo attivo nel proporre l’anello alla sposa e nel pronunciare subito dopo una speciale formula matrimoniale: ” Tu sei consacrata a me con questo anello in accordo con la legge di Mosé e d’Israele”, in ebraico.La donna vi acconsente, in silenzio, accettando l’anello.
In cambio, l’uomo “dona” alla donna la “Kettubà” o contratto matrimoniale, in cui sono registrati i doveri del marito nei confronti della propria moglie. Essa verrà letta in publico, come è tradizione di molte comunità ebraiche orientali, subito dopo la conclusione dei Kiddushin.Lo scopo della lettura della Kettubà è la separazione delle due parti della cerimonia.Malgrado il comportamento della donna durante la cerimonia risulti essere “fisicamente” passivo, ella è “legalmente” attiva in quanto riceve un documento che tutela i sui diritti.
Un uomo ed una donna, con il matrimonio, iniziano una vita basata sul “dare”. E’ possibile trarre una lezione morale: un matrimonio non può sopravvivere senza il “dare” in quanto quest’ultimo è la conseguenza dell’amore ma, allo stesso modo, l’amore è un risultato del dare.La cerimonia del Kiddushin si conclude con la firma di entrambi gli sposi sul contratto matrimoniale.Nella letteratura rabbinica sono contemplati tre differenti modi di effettuare il Kiddushin, chiamati kesef (denaro), shetar (atto), e bi’ah (coabitazione).
Con il kesef lo sposo, alla presenza di due testimoni competenti, trasferisce alla sposa del denaro o il suo equivalente (normalmente, un anello disadorno).Trasferendo l’anello alla sposa egli intende riservarla esclusivamente a se stesso, di qui la necessità che l’anello sia di proprietà dello sposo.Accettandolo, lei acconsente al matrimonio.
Per quanto riguarda lo shetar, alla presenza di due testimoni competenti, lo sposo consegna alla sposa un atto in cui sono state scritte, a fianco dei nomi delle due parti contraenti, le parole: “Tu sei consacrata a me secondo la legge di Mosé e di Israele”.
La sposa accetta l’atto con l’intenzione di divenire consacrata allo sposo.Secondo il rituale di bi’ah, invece, se un uomo alla presenza di due testimoni, rivolge alla donna le parole: “Tu sei consacrata a me secondo la legge di Mosé e di Israele” e, in loro presenza, la conduce in un luogo privato avendo come scopo il Kiddushin, lei sarà, dalla coabitazione, riservata a lui.Benchè valida, questa modalità di realizzare il Kiddushin fu considerata dai saggi come una tentazione alla prostituzione, così essi decretarono che chiunque la utilizzasse fosse punibile con la fustigazione.
In pratica, oggi solo il Kiddushin kesef viene osservato, giacché gli altri due riti sono da lungo tempo diventati obsoleti.
La seconda fase della cerimonia, il Nessuin, è piuttosto semplice.
Essa consiste nella recita, da parte dell’officiante, di sette benedizioni nuziali e nella rottura del bicchiere di vetro da parte dello sposo subito dopo aver recitato la formula: “Se mi dimenticherò di te, Gerusalemme, che io scordi la mia mano destra”.
In origine il Nessuin era effettuato dalla sposa che entrava nella casa dello sposo per coabitare con lui. In tale occasione viene recitata una serie di benedizioni, sotto una tenda, eretta in tempio o in una hall, che simboleggia le mura domestiche della casa dello sposo.Ognuno degli atti del Nessuin ha un significato simbolico e religioso preciso.Le sette benedizioni nuziali vengono recitate dall’officiante alla presenza di almeno dieci persone che includano il rabbino, lo sposo, i testimoni e i genitori.
Esse non vengono recitate dallo sposo in quanto sono designate a benedire e congratulare lo sposo e la sposa.Le benedizioni coprono diversi temi: la creazione del mondo e dell’umanità, la sopravvivenza del popolo d’Israele, il matrimonio, la felicità coniugale e l’importanza della famiglia.
Nelle prime tre benedizioni, il matrimonio viene posto in relazione dinamica con la storia nel suo inizio, con il Giardino dell’Eden, e nella futura fine, l’arrivo del Messia. Esse non riguardano direttamente il matrimonio ma fanno da fondamenta per le successive benedizioni nuziali che trattano di esso.L’ultima benedizione elenca dieci sinonimi della parola “gioia” che, posti in un crescendo, raggiungono il climax con la benedizione a Dio che gioisce con gli sposi.20)
Viene considerato importante glorificare il Signore in questo momento in quanto la famiglia, isituita per volontà divina, viene considerata il fondamento della società e l’unione matrimoniale viene considerata un impresa non priva di difficoltà per cui necessita di aiuto divino.
Inoltre questa benedizione ha lo scopo d’insegnare agli sposi che il fine ultimo dell’esistenza è il miglioramento del mondo e la glorificazione di Dio.
Al termine delle sette benedizioni il rabbino recita la benedizione sopra una coppa di vino dopo di che un genitore della sposa dà la coppa allo sposo ed egli beve; in seguito la madre dello sposo porge la coppa alla sposa ed ella beve.In molte comunità è lo stesso officiante che porge il calice alla sposa ed allo sposo.Lo sposo frantuma il calice sotto il piede destro ed il rabbino invoca la benedizione sacerdotale.
La conclusione della cerimonia nuziale è marcata dalla rottura del calice, un gesto dal profondo valore simbolico.Nel Talmud è citato il commento che la rottura del bicchiere serviva da monito nel restare sobri e comportarsi in modo bilanciato nei festeggiamenti susseguenti in modo da introdurre della serietà anche nella gioia più forte. In questo modo le emozioni vengono temperate e moralizzate.
E’ stato suggerito che in origine il bicchiere fosse infranto per scacciare gli spiriti maligni.Inoltre il bicchiere rotto simboleggia la distruzione del vecchio Tempio di Gerusalemme e del glorioso passato del popolo ebraico nel primo secolo. Attraverso questo simbolo l’uomo diviene cosciente che anche la più grande delle gioie può, improvvisamente, essere cancellata dal dolore.
Questo atto é un modo per ricordare che malgrado le felicità individuali nel corso della vita, vi è una continua tristezza nazionale.Questi pensieri arricchiscono la gioia rendendola più consapevole e inspirano gratitudine verso il Creatore che ha permesso di provare tale sentimento.Con questo atto vi è un collegamento fra opposti sentimenti in modo da coprire una grande varietà di emozioni umane. Infatti viene collegato ciò che è attuale con il passato, la felicità e la tristezza, il privato ed il pubblico.
Il significato forse più interessante, però, riguarda la speranza che come un bicchiere può essere riparato, così possa essere riaggiustata la relazione fra il Signore ed il popolo ebraico e che a qualsiasi rottura nell’equilibrio matrimoniale, possa seguire la relativa riparazione.
La consumazione “simbolica” del matrimonio ha luogo subito alla conclusione della cerimonia in una stanza privata e alla presenza di testimoni che attendano alla porta. La coppia fa un breve pasto,una volta nella stanza, considerato esercizio della privacy in modo da rendere subito effettivo il matrimonio e vi resta per approssimatamente dieci minuti.Infine viene consumato un pranzo alla presenza di tutti gli invitati e viene celebrata una festa con canti e balli.
2.2.4..La lettura della Kettubà (Il contratto matrimoniale)
La lettura del contratto matrimoniale in lingua aramaica è una nota tradizione la cui origine risale probabilmente al XII secolo.
La Kettubà è scritta nel linguaggio del Talmud e viene fatta particolare attenzione alla sua lettura corretta.Non essendo un documento religioso esso è scritto in aramaico ossia il linguaggio legale e tecnico utilizzato per le leggi talmudiche.Alla fine della lettura il documento viene dato allo sposo che lo porge alla propria sposa che avrà il compito di custodirlo.Agli sposi è vietato coabitare senza avere chiara conoscenza dei termini del contratto matrimoniale che ne tutela i diritti.
La Kettubà è un accordo unilaterale stipulato alla presenza di testimoni, in accordo con la legge civile ebraica, attestante che il marito ha l’obbligo di garantire alla propria moglie alcuni minimi requisiti finanziari ed umani durante il matrimonio.Esso non è uno strumento per classi privilegiate ma un obbligo per ogni persona. Non è nemenno una dichiarazione di amore perpetuo ma un provvedimento legislativo con valore contestuale.
Essa attesta alcuni fondamentali obblighi del marito verso la moglie ma serve anche a garantire alla moglie una certa somma prestabilita in caso di divorzio o nel caso di vedovanza.In questo modo la Kettubà risulta essere un deterrente verso una tempestiva decisione di divorzio da parte del marito.21) Attesta, inoltre, la volontà della donna di accettare la proposta matrimoniale.In una società patriarcale come quella antica, le donne avevano necessità di maggiore difesa contro la violazione dei diritti personali, rispetto all’uomo.L’Ebraismo considera un atto di concubinaggio il coabitare senza la Kettubà, ed è per questo motivo che lo vieta categoricamente.
2.2.5. L’Anello matrimoniale
Benchè l’atto del matrimonio possa essere effettuato in differenti maniere è divenuto costume ebraico universale usare un anello a questo scopo, tranne che in pochissime comunità orientali dove viene utilizzata una moneta.Esso deve appartenere allo sposo, deve essere costituito da metallo di valore, libero da qualunque pietra preziosa, e deve valere almeno un “perutah” ossia il valore corrispondente alla valuta minima dei tempi talmudici.Malgrado vi sia un antica tradizione in merito dell’anello matrimoniale come simbolo d’acquisizione, mancano a riguardo specifiche referenze nel Talmud.
L’opinione più accreditata è quella che ritiene questo uso di derivazione da un antico costume palestinese del settimo secolo in seguito acquisito dai babilonesi nel nono secolo, ed infine adottato dal popolo ebraico durante l’esilio babilonese.Il motivo per cui esso deve essere privo di pietre preziose consiste nel fatto che dovesse essere chiaro che esso non indicava un minor o maggior “valore” attribuito alla sposa bensì serviva semplicemente a validare l’atto simbolico d’acquisizione.
In sintesi la procedura della cessione dell’anello alla sposa era costituita dai susseguenti atti:
– Lo sposo porgeva l’anello all’officiante;
– Lo sposo specificava i testimoni;
– L’officiante porgeva l’anello ai testimoni i quali accertavano il suo valore minimo;
– L’officiante chiedeva allo sposo se l’anello gli appartenesse;
– Lo sposo prendeva l’anello e recitava la formula matrimoniale;
– Lo sposo infilava l’anello alla sposa;
Vi è un significativo commento dello scrittore contemporaneo Kohren Arisian circa la natura dell’anello matrimoniale. Egli chiarisce come il cerchio fosse considerato, nell’antichità, la forma più perfetta esistente in natura. Era ,quindi, di ottimo auspicio legare il concetto della perfezione con quello del matrimonio.Inoltre vi è una tradizione ebraica secondo la quale la sposa prima di entrare sotto il baldacchino compie tre giri intorno allo sposo.In questo modo viene riprodotta l’immagine del cerchio.Oltre a ciò, il gesto risulta essere simbolo della moglie come “muro prottettore”,che difende il marito da cattive influenze e fa da deterrente alla sua impulsività.
2.2.6. Il Significato della benedizione sul vino
La benedizione sul vino durante la cerimonia nuziale viene ripetuta due volte: prima del Kiddushin e prima del Nessuin.
L’origine delle due benedizioni è da attribuire all’antica usanza di separare il Kiddushin ed il Nessuin in due distinte cerimonie,a distanza di un anno una dall’altra. Essi avevano luogo rispettivamente nella casa della sposa e dello sposo di conseguenza necessitavano di due benedizioni separate in quanto costituivano due occasioni separate.
Il vino, nella tradizione ebraica, è strettamente associato con il Sabato e con le festività in quanto viene fatta la benedizione sul vino all’entrata e all’uscita di essi come celebrazione di questi momenti.
La benedizione sul vino segna il confine tra un giorno particolare e gli altri giorni della settimana e tra il sacro ed il profano.Nell’uso ebraico esso è associato con la gioia ed i canti con cui si celebrano sia il matrimonio che lo Shabbat (Il sabato ebraico).
Il matrimonio viene, così, paragonato allo Shabbat in quanto anch’esso è derivato da un patto e come per lo Shabbat l’ebreo ha alcuni obblighi verso il matrimonio in modo da “osservarlo” oltre che celebrarlo.
Secondo alcuni costumi ebraici il calice di vino deve solo essere sorseggiato, ed è lo sposo a porgerlo alla sposa come prima dimostrazione dei suoi obblighi verso la futura moglie.
2.2.7. La Processione
Le persone presenti alla cerimonia nuziale procedono verso la “chuppà” (la tenda nuziale), dove avrà luogo il matrimonio, secondo un ordine preciso.Lo sposo attende la sposa davanti alla “chuppà” che simbolicamente rappresenta la dimora dello sposo.
La transizione della sposa dalla casa paterna a quella del marito viene, quindi,simbolicamente rappresentata attraverso la processione di entrambe i genitori accompagnanti la sposa verso la sua nuova destinazione.Tra gli ebrei ashkenaziti l’uso più largamente adottato, è quello di accompagnare la sposa alla chuppà con delle candele accese, così come quello di condurre la sposa a percorrere sette giri intorno allo sposo sotto il tetto nuziale.
2.2.8. La Chuppà
Vediamoa questo punto della trattazione di chiarire il significato del termine “Chuppà”.Esso originariamente era riferito al tetto o alla camera nuziale e, qualche volta al matyrimonio stesso.
Nei tempi antichi la chuppà era la tenda o la stanza dello sposo a cui, alla fine dei già citati Kiddushin, la sposa era pìortata in festosa processione, per l’unione matrimoniale.Ai tempi talmudici era d’uso che fosse il padre dello sposo ad erigerla.
Nel tardo Medio Evo, la chuppà, consistente di un piano steso su quattro pali, veniva montata all’interno della sinagoga ma, più tardi, fu spostata nel cortile della stessa, sia perchè fu ritenuto improprio avere la chuppà, simbolo della tenda coniugale, eretta all’interno del tempio, sia per la necessità di organizzare i festeggiamenti nuziali.
Il termine “chuppà” significa, in ebraico, “protezione” e si riferisce al baldacchino o alla tenda che copriva gli sposi durante la cerimonia nuziale.Esso serve ad uno scopo legale: rapresenta l’atto decisivo con cui veniva formalmente attestata l’unione matrimoniale e la conclusione dell’atto matrimoniale iniziato con il fidanzamento.Insieme questi due atti di acquisizione, il fidanzamento ed il matrimonio, vengono chiamati “chuppà ve’kiddushin”.
Nel moderno stato di Israele, per il matrimonio di un militare in stato di servizio effettivo,la chuppà viene soretta da quattro fucili sostenuti da amici dello sposo e della sposa.
2.2.9. La cerimonia del “velamento”
Questa cerimonia viene chiamata in ebraico “bedekken” e consiste nel porre il velo sul viso della sposa poco prima di dare inizio alla cerimonia.E’ lo stesso sposo a dirigersi verso la sposa e a porre un velo che le copra il viso mentre recita la benedizione che nella Bibbia fu data a Rebecca. Ella fu la prima donna della Bibbia a coprirsi con un velo prima di procedere verso la “chuppà”.
Il velo ha un significato simbolico multiplo. Esso rappresenta:
– La donna sposata nella sua nuova dignità.
– La modestia, in modo da insegnare all’uomo che ciò che conta davvero è la personalità di una donna, la sua “belezza interiore” e non quella fisica. Il velo copre l’esterno in modo da indirizzare l’attenzione verso l’interno.La sposa è considerata, inoltre, la “regina” della cerimonia per cui occuparsi delle sue esigenze e rallegrarla fa parte dell’obbligo religioso generale: “Ama il tuo prossimo come te stesso”.
2.2.10. I Testimoni
Malgrado la necessità della presenza di testimoni ad un matrimonio sia derivata dalle transazioni commerciali, la sua funzione nel matrimonio è quella di discerniere chiaramente, dagli atti e dallo sguardo della sposa, che essa sia effettivamente consenziente al matrimonio e di attestare che lo sposo intenda, con il porgere l’anello matrimoniale, non semplicemente il donare un regalo ma effettivamente validare il matrimonio.I testimoni devono essere adulti e non inparentati allo sposo o alla sposa.
2.2.11. Il significato del pasto dopo la cerimonia nuziale
La cerimonia si conclude con un particolare pasto che riveste, nella tradizione ebraica, vari significati.Innanzitutto esso viene celebrato allo scopo di ricordare alla coppia un momento di grande felicità ed emozione quale quello del matrimonio. A questo scopo, in molte comunità ebraiche, si usa consumare i pasti della settimana seguente in compagnia di persone che non siano stati presenti al matrimonio, in modo da non perdere la spontanietà del festeggiamento e contemporaneamente ricreare l’atmosfera festiva del matrimonio.
Lo scopo principale del pasto è quello di instillare gioia e convinzione nei cuori degli sposi.Infatti superficialmente può sembrare che, essendo il matrimonio uno degli eventi più felici della vita di una coppia, non vi sia necessità di rallegrare ulteriormente gli sposi. In realtà, l’Ebraismo tiene conto del fatto che è logico e probabile che vi sia, da parte degli sposi, concernimento e preoccupazione per il proprio futuro.
Le grandi responsabilità che comporta la creazione di una famiglia potrebbero portare gli sposi a rimpiangere la propria scelta.
Invece di scendere precipitosamente dal picco dei festeggiamenti nuziali al routine quotidiano è stata istituita, quindi, una settimana detta le “Sheva berachot” (sette benedizioni), in cui la famiglia si riunisce almeno durante i pasti e continua a celebrare la coppia.
A proposito di questi ultimi è fondamentale chiarire che in essi regna comunque un atmosfera religiosa in quanto, in questa occasione, vengono rilette le “Sheva berachot”, le sette benedizioni del matrimonio.
Durante la settimana successiva alla cerimonia nuziale, agli sposi è vietato lavorare.Questi sette giorni, oltre che allo scopo di allungare i festeggiamenti, servono allo scopo di anticipare quello che dovrà essere l’atteggiamento dello sposo nei confronti della sposa durante il futuro anno di matrimonio.Il primo anno di matrimonio viene considerato uno stadio della vita delicato, un laboratorio di vita in cui vengono confrontate le prime esperienze matrimoniali e affrontate le prime crisi.
Infatti lo sposo, secondo la legge ebraica, deve dedicare l’anno successivo a tutto ciò che possa rendere felice la propria moglie e alla conoscenza della sua personalità come si rivela nella sua chiarezza solo dopo il matrimonio.Egli deve essere presente fisicamente accanto alla propria moglie per cui gli sono vietati i viaggi all’estero.
2.3. I MATRIMONI PROIBITI
Secondo la legge del Pentateuco, un matrimonio è proibito quando vi è un impedimento legale ai Kiddushin, ossia alla prima parte della cerimonia nuziale che rende effettiva e legale l’unione matrimoniale.
In alcuni casi quando venga contratto un matrimonio proibito, la proibizione non è tale da invalidarlo una volta contratto: è il caso del matrimonio chiamato “proibito ma valido”.
In questo caso il tribunale pone le basi per cui si creino forti pressioni legali verso il divorzio.In altri casi la proibizione è un tale imperativo per cui il matrimonio, seppur contratto, viene invalidato e considerato nullo.Nella categoria del matrimonio “proibito ma valido” sono inclusi i casi seguenti:
a) Il caso in cui una donna adultera voglia sposare il proprio amante od un altro uomo, anche qualora abbia ottenuto il divorzio;
b) Il caso in cui una donna abbia divorziato due volte, è vietata al primo marito;
c) Nel caso di un “Cohen” (sacerdote) che desideri sposare una vedova, una donna divorziata, una donna convertita oppure sposare nuovamente la sua prima moglie;
d) Il caso di un uomo che voglia sposare più di una donna;
e) Il matrimonio con una vedova , una donna divorziata, una donna incinta oppure una donna che stia allattando, prima che siano passati novanta giorni, onde evitare dubbi circa la paternità dei figli;
Nei casi sopra elencati, i matrimoni contratti non possono essere invalidati e cessano di esistere solo nel caso di morte di un coniuge
o attraverso il divorzio.
La categoria dei matrimoni “proibiti ed invalidi”, invece, comprende i seguenti casi:
a) I matrimoni fra parenti stretti (Quali: madre-figlio, fratello-sorella, padre- figlia….);
b) Il matrimonio contratto fra un uomo e la sorella della propria moglie o la moglie del proprio fratello, nel caso la propria moglie sia ancora in vita (seppur la coppia sia legalmente divorziata);
c) Il matrimonio fra un uomo ed una donna sposati, nel qual caso si tratterebbe di adulterio;
d) I matrimoni con persone di altra fede;
2.3.1. Conseguenze legali dei matrimoni proibiti
Aspetti di legislazione famigliare:
In caso di incesto, non vi sono conseguenze legali, nei riguardi della coppia, per chi abbia contratto un matrimonio incestuoso. Ve ne sono invece per i figli, frutto della coppia suddetta.Questi ultimi, pur restando, a tutti gli effetti, ebrei, acquistano automaticamente dalla nascita lo status di “Mamzer”.
I “mamzer” pur avendo le restrizioni di qualunque ebreo riguardo alle proibizioni circa i matrimoni proibiti, possono sposare solo ebrei che si trovino nelle loro stesse condizioni ossia siano anch’essi “mamzer”.
Ciò vale anche nel caso di adulterio.Nel caso, invece, di matrimoni “proibiti ma validi” entrambe le parti sono obbligate dalla legge a divorziare, anche nel caso non siano stati al corrente dell’impedimento al momento del matrimonio.
Aspetti di diritto civile
Non gravano i doveri maritali su di un uomo che abbia sposato una donna a lui proibita senza esserne consapevole.
La donna, di conseguenza, perde il proprio diritto alla ketubbà, non gode del diritto di mantenimento nè durante il matrimonio nè in caso di divorzio o vedovanza. Essa, però, è libera anche dei propri doveri nei confronti del marito.In questo modo, la legislazione ebraica cerca di facilitare e affrettare la dissoluzione del matrimonio che, nel caso, è prescritta.In caso, invece, che l’uomo fosse consapevole della propria scelta, la situazione è controversa e molto dibattuta, ma in genere, la maggior parte dei tribunali segue l’opinione che non vi sia un motivo valido per non obbligare l’uomo ai propri doveri coniugali.
2.3.2. Il caso d’incesto
La legge biblica elenca una lista di proibizioni primarie all’incesto, estese in seguito dai rabbini del Talmud in modo da formare un gruppo di proibizioni secondarie.Lo scopo delle proibizioni di secondo livello è quello di garantire che le proibizioni primarie non vengano violate, in consonanza con il fondamentale principio talmudico di “porre una siepe intorno alla legge”.Le proibizioni secondarie riguardo all’incesto coprono quei casi che possano sembrare incestuosi o che si approssimino ad esso.Vi é una fondamentale differenza di ordine pratico fra le due categorie di proibizioni che consiste nel fatto che solo le proibizioni secondarie sono proibite ma valide una volta contratte.
Essendo i provvedimenti e la censura riguardo alle proibizioni secondarie più leggeri, le violazioni ad esse, nel corso dei secoli, sono state più comuni.
INCEST TABLE
___________________________________________________________
Biblical Proibitions Rabbinic Extensions
Mother Grandmother
Grandmother’s mother
Grandfather’s mother and
even grandfather’s mother’s
mother
___________________________________________________________
Stepmother Father’s stepmother
Mother’s stepmother
Maternal grandmother’s stepmother
Paternal grandmother’s stepmother
___________________________________________________________
Sister,father’s sister Paternal grandfather’s sister
Mother’s sister Maternal grandmother’s sister
___________________________________________________________
Brother’s wife and father’s Father’s paternal mother’s wife
paternal brother’s wife Mother’s paternal/maternal
brother’s wife
Paternal grandfather’s paternal
brother’s wife
Maternal grandmother’s paternal
brother’s wife
___________________________________________________________
Daughter and granddaughter Great granddaughter
___________________________________________________________
Son’s wife Grandson’s wife
Great grandson’s wife
___________________________________________________________
Wife’s mother and grandmother Wife’s great grandmother
QUADRO DEI RAPPORTI INCESTUOSI
_____________________________________________________________________
Poibizioni bibliche Estensioni rabbiniche
Madre Nonna
Bisnonna
Madre del bisnonno
Madre del nonno
___________________________________________________
Suocera Suocera del padre
Suocera della madre
Suocera della nonna materna
Suocera della nonna paterna
___________________________________________________
Sorella, zia paterna, Sorella del nonno paterno
zia materna Sorella della nonna materna
___________________________________________________
Moglie del fratello,
moglie del fratello del padre Moglie del fratello della madre
Moglie del fratello del padre
moglie del fratello del nonno paterno
moglie del fratello della nonna materna
___________________________________________________
Figlia e nipote
Figlia di nipoti
___________________________________________________
Moglie del figlio Moglie del nipote
Moglie del figlio del nipote
___________________________________________________
Madre della moglie e oglie del bisnonno
nonna
2.3.3. Il caso di adulterio
La legge biblica riguardo all’adulterio implica la condanna a morte dell’adultero e dell’adultera ma solo nello specifico caso di un uomo cui amante abbia un coniuge anch’esso adultero.
Ciò evidenzia quanto l’adulterio sia considerato grave nel pensiero ebraico e come la legge biblica richieda all’uomo e alla donna un forte controllo sui propri istinti e sulle proprie passioni.
Questa concezione dell’adulterio implica anche un diverso concetto dell’amore romantico.Esso non puo essere inteso, secondo la tradizione ebraica, come una forza, che si abbatte sull’uomo, svincolata ed indipendente da qualunque controllo o coinvolgimento personale.
Il decreto biblico evidenzia ,inoltre, come la probizione s’indirizzi sopratutto contro lo scambio di coppie e contro una concezione che veda la donna quale “proporietà” dell’uomo.
Oggi non è in vigore la punizione capitale ma i rabbini hanno decretato che venga imposto, per quanto possibile, il divorzio.
Il comandamento contro l’adulterio fa parte dei dieci comandamenti e viene considerato, dalla religione ebraica, non solo un crimine contro la stabilità della famiglia o un danno inferto al proprio coniuge ma anche un crimine contro Dio.Il pensiero ebraico si basa sul concetto che una persona adultera possa essere pronta a sacrificare il proprio ruolo in comunità o il proprio rapporto coniugale ma difficilmente accetti che pesi sui propri figli la conseguenza dei propri atti e delle proprie scelte.
E’ questo il motivo per cui i figli di tali unioni vengono considerati “mamzer”.
2.3.4. Il caso dei matrimoni misti
La legge secolare considera il “matrimonio” un contratto fra parti, validato e sanzionato dallo stato che ha il potere di dichiarare il matrimonio valido o nullo.
Nel caso un matrimonio sia in violazione con la legge dello stato, esso é considerato invalido.
L’ebraismo considera il matrimonio un contratto fra persone della stessa religione e lo stato non puo anullare un accordo privato.
In questo modo il “matrimonio misto” che violi un comandamento biblico è valido malgrado la coppia, dal punto di vista religioso, stia violando una proibizione.Il matrimonio misto è invalido non perchè sia proibito bensì perchè una parte contraente è legalmente incapace di contrarre matrimonio con un ebreo nell’ambito della legge ebraica. Questa legge deriva dal verso del Deuteronomio (7:3-4) che dichiara che non è contemplata, nel pensiero ebraico, un istituzione quale quella del “matrimonio misto”.Nel caso suddetto, il figlio di tale unione è classificato in accordo con l’origine materna, per cui nel caso di madre non ebrea è richiesta la conversione del figlio (in caso vi sia desiderio che sia considerato ebreo).
2.3.5. Il caso del Levirato
La legge riguardo al Levirato è codificata nel Deuteronomio (25:5-10): Se un uomo muore senza eredi dal suo attuale matrimonio o da un matrimonio precedente, il proprio fratello più anziano ha l’obbligo di sposarne la moglie.Questa legge non è più praticata ai giorni nostri.
Essa garantiva l’esistenza di una progenie appartenente a quel determinato ramo della famiglia patriarcale.
Nella società poligama dei tempi biblici, questa legge costituiva una garanzia per la famiglia patriarcale e per la trasmissione del cognome paterno.Comunque, alla vedova di tale matrimonio era permesso rifiutare l’unione attraverso la pratica di una cerimonia simbolica che la rendeva di fatto libera di sposare un altro uomo.
Un secondo motivo per la legge sul levirato è la protezione della vedova in quanto nei tempi antichi, l’essere vedova era fortemente penalizzato, non solo per quanto riguarda la famiglia o la continuazione della stirpe ma anche dal punto di vista economico.
Infatti questa legge è inclusa fra quelle riguardanti la protezione del “debole”.
2.4. GLI SCOPI DEL MATRIMONIO
Il matrimonio, nell’Ebraismo, è un istituzione ricca di significati e valori basilari per il futuiro e la continuazione della società e della specie umana.Il valore educativo di esso, all’interno del sistema pedagogico delineato dal pensiero ebraico, risiede in particolari nei suoi specifici scopi di carattere individuale ma anche di valore collettivo.
Il matrimonio ebraico ha come scopo principale la creazione di una forte amicizia e complicità all’interno della coppia.
E’ necessario chiarire la visione ebraica di “amicizia” all’interno della vita matrimoniale.Il matrimonio ebraico è fondato, infatti, sull’amicizia quale particolare situazione di complicità che supera d’importanza l’amore di cui è fondamento.L’amicizia tra partners viene considerata una particolare situazione d’intimità esclusiva che si crea qualora “un uomo ami la propria moglie quanto la sua stessa persona e la rispetti più di se stesso, sia compassionevole nei suoi riguardi, la protegga come avrebbe cura di se stesso così che lei lo amerà come se fosse parte di lui”.D’altra parte l’intimità e l’amicizia, in accordo con la tradizione ebraica, richiedono l’indipendenza proprio in quanto è scritto nella Torah,che la donna fu creata come essere “opposto” all’uomo in modo che vi possa essere anche separazione fra loro, sopratutto in vista di una nuova unione.L’indipendenza e la separazione risultano necessarie all’amicizia.Solo l’unione fra gli opposti permette, secondo la concezione ebraica, il raggiungimento di un livello spirituale e di maturità più alto, all’interno del matrimonio.
L’idea di “opposizione” secondo la concezione di Maimonide, uno dei maggiori teologi del pensiero ebraico, non implica una distinzione completa fra due elementi bensì rapresenta il concetto d’indipendenza all’interno dell’intimità.Lo psicologo, Erik Erikson22) nel definire i vari stadi della vita secondo temi psicologici dominanti nota come lo stadio dei vent’anni è dominato dalla necessità d’intimità ed è proprio durante questo stadio che la persona, secondo la visione ebraica, dovrebbe essere maggiormente indirizzata al matrimonio.L’intimità che permette la creazione di una forte amicizia e complicità non è considerata un requisito facile da raggiungere.Il raggiungere questo stadio dello sviluppo, umano, infatti, necessita coraggio e maturità.
L’enfasi posta sulla prima originaria prescrizione per l’amicizia nel matrimonio in Genesi: ” un uomo dovra lasciare la casa paterna ed unirsi alla propria moglie”,racchiude un fondamentale insegnamento pedagogico.Infatti la formula pone i verbi “lasciare” e “unirsi” in un ordine preciso, per insegnare che, prima di sposarsi un uomo deve raggiungere l’indipendenza.
L’insegnamento della Bibbia non implica certamente la fine della relazione parentale ma semplicemente chiarisce che è la qualità di essa a cambiare in modo da accomodare la propria crescita emozionale.
Inoltre un amicizia matura deve poter permettere alle parti di emergere all’interno di un rapporto equilibrato che non implichi la sottomissione di un coniuge all’altro e neppure ne impedisca la crescita e la maturità personale.Erich Fromm23) nella sua opera “L’arte di amare” evidenzia la belezza paradossale dell’amore: ” Due esseri viventi diventano uno pur restando due”.L’enfasi posta dalla tradizione ebraica sul concetto di “amicizia” emerge dal fatto che delle sette benedizioni nuziali, due celebrano l’amicizia e la complicità.
Le benedizioni nuziali non includono invece una citazione che illustri l’importanza della “mitzvà” della procreazione, allo scopo di evidenziare quanto esse fossero indirizzate alla persona fertile quanto alla sterile per cui una benedizione sulla procreazione non sarebbe stata approippriata.
In effetti la procreazione non risulta essere lo scopo principale del matrimonio.
2.4.1. La creazione della famiglia
La famiglia è l’ambiente più approppriato per cui i sentimenti di amicizia, intimità e complicità possono svilupparsi in armonia.
In famiglia, secondo l’Ebraismo, le persone imparano la fiducia, che fa da cemento per tutte le relazioni interpersonali.
In essa, infatti, ha luogo la prima socializzazzione del bambino.
La procreazione è strettamente legata al tema della famiglia in quanto ne garantisce l’esistenza e permette la continuità della vita umana.
Il pensiero ebraico afferma che qualora la procreazione avvenga fuori dal sistema famigliare e matrimoniale e indipendentemente da essi, non è possibile garantire una solida base educativa e valoriale per la nuova generazione. La famiglia è il luogo più approppriato all’educazione dei figli.La procreazione risulta essere uno scopo importante, seppur non il principale, del matrimonio.Secondo il pensiero ebraico religioso la procreazione ha un alto valore spirituale in quanto è il mezzo attraverso il quale è permessa la continuità fisica dell’umanità e per mezzo della quale viene creata la famiglia, un istituzione di valore fondamentale.
La procreazione è iscritta nella natura ed è base della creazione: essa è un obbligo fondamentale derivante dal precetto biblico “Crescete e moltiplicatevi e riempite il mondo…” (Genesi 1:28).
Ciò non significa, però, che due persone debbano decidere di unirsi in matrimonio per questa unica ragione.Una donna, nell’Ebraismo, ha il dovere di rifiutare qualora esso fosse l’unico scopo per cui viene chiesta in sposa; questo genere di “amore” sarebbe troppo “pratico”.
La procreazione fa parte dei comandamenti positivi ed è, quindi, un dovere religioso.
Questo è il motivo dell’esistenza di numerosi precetti, nell’Ebraismo, che indirizzano la procreazione e regolamentano la vita sessuale dell’ebreo.La procreazione permette inoltre l’esistenza di una nuova generazione che possa ricevere e a sua volta trasmettere la tradizione ed valori ebraici. Essa ha, quindi, un intrinseco valore, in quanto mezzo che permette il rinnovamento della collettività.
2.5. IL DIVORZIO
Il matrimonio non è un sacramento nel senso Cristiano, giacchè la sua dissoluzione per mezzo del divorzio, per quanto deprecabile, è possibile.
Il divorzio è un istituzione contemplata dalla legge ebraica.
Praticata fin dai tempi biblici, è stata stabilita e chiaramente stipulata dalla legge rabbinica.Essa non risulta codificata nei suoi vari dettagli nei testi biblici.Alcuni termini del divorzio sono, però, citati brevemente nella Bibbia, ed in particolare nel contesto che proibisce all’uomo di risposare una donna da cui avesse divorziato.
In quanto all’atto del divorzio come veniva praticato in tempi biblici, in specifico, era compito dell’uomo scrivere un certificato di divorzio e consegnarlo alla propria moglie ed era suo diritto cacciarla fuori dalla propria dimora.Il contenuto di tale documento non è chiaro ma è lecito assumere che si trattasse più frequentemente di una semplice dichiazione orale, alla presenza di testimoni.
Questa pratica risulta, inoltre, in accordo con quella Sumera risalente alla stessa epoca, che richiedeva all’uomo di pronunciare una particolare formula di annullamento e di pagare una specifica somma di denaro nel momento in cui la ripudiava.Gli atti del divorzio ebraico venivano svolti in dominio publico per evitare dubbi e futuri impedimenti nei confronti di un possibile nuovo matrimonio.E’ a questo scopo che fu introdotto l’obbligo di redigere un documento scritto che portasse le firme delle parti in causa e che attestasse ufficialmente l’effettivo divorzio.
Questo provvedimento impediva, inoltre, al marito di adottare un comportamento scoretto in un momento di rabbia e di prendere decisioni affrettate. Infine venne stabilito che alla donna dovesse essere pagata, dal marito, una somma di denaro in caso la decisione avesse carattere unilaterale o fosse arbitraria.
La Bibbia registra due sole situazioni in cui un marito, di fatto, perdeva il proprio diritto al divorzio: qualora accusi falsamente la moglie di relazioni prenuziali e qualora l’abbia svergognata od umiliata attraverso questa accusa.Viene attesatato in numerosi documenti dell’epoca che la donna ripudiata, tornava alla casa paterna mentre venivano accordati speciali arrangiamenti per il suo mantenimento.
Una donna divorziata era libera di risposarsi pur se continuavano ad incombere su di lei tutte le limitazioni previste a riguardo dei matrimoni proibiti.Il marito era obbligato a pagare alla propria ex-moglie la dote stabilita nel suo contratto matrimoniale (la Kettubà).Un uomo che privi la propria moglie della Kettubà viene considerato come se avesse peccato contro la propria carne.
2.5.1. L’Aspetto legale del divorzio
La letteratura talmudica distingue il divorzio ebraico dal semplice annullamento del matrimonio dichiarato da un tribunale che liberi le parti in causa da qualunque dovere o diritto a riguardo, considerando di fatto il matrimonio come se non fosse mai avvenuto.Il divorzio consisteva nella consegna, da parte del marito alla moglie, di un certificato di divorzio chiamato in lingua ebraica: “Ghet”.
Il Ghet viene scritto, in accordo con specifiche regolazioni, davanti ad un tribunale di almeno tre membri qualificati.La legislazione ebraica considera il divorzio un accordo fra singoli uniti in matrimonio e non un atto derivante dal decreto di un tribunale come in molti altri sistemi legislativi. La funzione del tribunale si limita a decidere se una parte possa essere obbligata a dare il Ghet e l’altra a riceverlo.
Inoltre è funzione del tribunale assicurarsi che tutte le formalità richieste da un divorzio fossere addempiute corettamente ed in accordo con la legge.Il divorzio, nel pensiero ebraico, si basa sul mutuo consenso delle parti.
Il consenso sul divorzio è sufficiente senza che il tribunale abbia il dovere di stabilire le responsabilità a riguardo della fine dell’unione.
Il Ghet deve essere dato e ricevuto su libera scelta, senza pressioni da parte del tribunale né sotto minaccia o nella paura di perdere alcuni diritti particolari.Attraverso un decreto rabbinico conosciuto come “Herem de-Rabbenu Gershom” venne vietato al marito divorziare dalla propria moglie senza il suo consenso.
Nel caso non vi sia un accordo fra le parti, il tribunale ha l’arduo dovere di decidere se vi è una base su cui obbligare una delle parti al divorzio.La decisione del tribunale, nei casi contemplati dalla legge, di obbligare una delle parti dipende dall’esistenza di alcuni prerequisiti che conferiscono il diritto al divorzio.
Questi prerequisiti si dividono, ugualmente per entrambe i sessi, in due grosse categorie:
a) Difetti fisici
b) Difetti caratteriali e comportamentali
2.5.2. Il diritto della donna al divorzio
Difetti fisici:
Allo scopo di ottenere un divorzio sulla base di questo requisito, la donna deve provare al tribunale che il marito ha un difetto fisico tale da precludergli la possibilità di coabitare con la propria moglie.
Ciò è valido nel caso il marito abbia contratto una malattia mortale contagiosa o nel caso egli sia impossibilitato a darle dei figli e la moglie li desideri e non ne abbia.Nel caso il marito dichiari di non essere sterile e venga provata la veridicità della sua tesi attraverso un esame medico, egli diviene esente dal pagamento della Kettubà alla propria moglie.
Un secondo caso in cui un tribunale può obbligare un uomo al divorzio è quello dell’impotenza.In questo caso vengono tutelati i diritti coniugali della moglie, quindi anche nel caso la coppia avesse già dei figli o la moglie non avesse espresso esplicitamente il desiderio di avere dei figli resterebbe comunque un diritto della donna.
Vi è, però, un importante eccezzione ai casi sopra elencati ossia il caso in cui la moglie fosse al corrente del difetto o, di fatto consapevole, avesse continuato a convivere con il proprio marito attestando così la sua indifferenza al fatto.In questi casi il tribunale non ha più il dovere di garantire il divorzio.
Difetti comportamentali e caratteriali:
Si tratta del caso in cui il marito privi la moglie dei propri diritti coniugali quale il mantenimento o rifiuti la convivenza.
Inoltre il tribunale interviene nel caso il marito, abitualmente, insulti la propria moglie o le procuri dei danni fisici.
2.5.3. Il diritto dell’uomo al divorzio
I prerequisiti maschili al divorzio sono del tutto simili a quelli femminili.
Aspetti fisici:
Si tratta di qualunque difetto che impedisca la coabitazione di marito e moglie, eccetto il caso in cui il difetto si manifesti dopo il matrimonio.24)
Aspetti comportamentali e caratteriali:
Gli aspetticomportamentali e caratteriali comprendono i casi in cui una moglie causi o inciti il proprio marito a trasgredire la legge ebraica sopratutto in casi riguardanti l’ambito sessuale e quello della Kasherut (le leggi dietetiche)Secondo i termini citati dal Talmud, un marito può chiedere il divorzio nel caso la moglie lo denigri continuamente o si comporti in modo poco modesto.
E’ possibile notare quanto sia facile interpretare arbitrariamente tali disposizioni. A questo riguardo bisogna ricordare che il tribunale considera singolarmente ogni caso circostanziato.
Vi è un ultimo caso di notevole importanza a causa delle conseguenze che comporta: il caso in cui la moglie sia sospettata di adulterio.
In tale caso il marito deve essere capace di fornire come prova la testimonianza di due persone, la confessione della moglie non è considerata una prova sufficiente.La donna che abbia commesso adulterio perde il diritto alla propria Ketubbà, e le viene vietato il matrimonio con il proprio amante, secondo la legge del Pentateuco, o il risposare il proprio marito, in accordo con una legge di natura rabbinica.In accordo con la legge talmudica, però, ad un uomo è vietato di divorziare da una donna che sia divenuta malata mentale in quanto non poteva essere considerata consenziente al divorzio.
Infatti la consenzienza della donna al divorzio permetteva di rendere più efficace la proibizione contro la poligamia un tempo diffusa.
Se un uomo non avesse necessità del consenso della moglie al divorzio potrebbe abusare facilmente di questa istituzione.
2.5.4. L’Atto del divorzio
Il divorzio consisteva in pratica nella transcrizione del Ghet da parte di uno scriba incaricato dal marito, la firma di entrambe le parti e la consegna del certificato alla moglie alla presenza di testimoni.
Il Ghet, interamente scritto in Aramaico, conteneva una formula precisa secondo un ordine stabilito dal Talmud. Esso consisteva di:
a) Una formula comune a tutti i Ghet detta “Tofes“.
b) Una parte specifica contenente i dettagli del caso in questione, detto “Toref“.
Malgrado il divorzio nell’Ebraismo sia considerato un accordo personale fra due coniugi, la loro presenza fisica alla consegna non è richiesta.Vi è la possibilità di incaricare degli agenti che facciano da intermediari come per qualunque altro atto legale.E’ possibile, inoltre, che il Ghet sia “dato” sotto particolare “condizione” come in caso di guerra o in tempi di persecuzione in cui, nel corso della storia, fu adottata questa alternativa.La condizione consisteva nel fatto che il Ghet sarebbe divenuto effettivo in caso il marito fosse morto. Questo accorgimento avrebbe permesso alla moglie di risposarsi.
2.5.6. Nello stato d’Israele
Nello stato d’Israele, il matrimonio e il divorzio tra ebrei, cittadini o residenti dello stato, insieme a tutto ciò che è attinente ad essi cade sotto la giurisdizione dei tribunali rabbinici in accordo con la legge ebraica.
Nell’applicazione dell’halachà25), però, i rabbini hanno introdotto un innovazione.Accanto alla Ketubbà, il marito ha il dovere di garantire alla propria moglie un ulteriore somma di denaro anche nel caso la responsabilità o la volontà del divorzio cada su di lui.
La natura della somma viene stabilita dal tribunale, volta per volta, in accordo con le circostanze, la situazione finanziaria delle parti ed i rispettivi contributi allo stato.
14) Genesi 1,28.
15) Maimonide è una delle figure più illustri dell’Ebraismo dell’era post-talmudica.Egli fu rabbino, filosofo e fisico.
16) Scritti Sapientali: libro di Giobbe, Proverbi, Ecclessiaste
17) Lo Shulhan Aruch è un corpo di leggi ebriche redatte da rabbi Hehudà Hanassi.
18) La tradizione chiama in merito la semplicità, la dignità e l’integrita a guida della cerimonia in quanto l’eccessiva fastosità di essa inciterebbe una mala competizione
19) Questo uso è probabilmente originario della Francia e Germania medioevale dove I capi delle comunità erano responsabili di accertarsi di qualunque impedimento al matrimonio.
20) Il matrimonio é considerato il momento approppriato per glorificare il Signore in quanto l’unione matrimoniale è considerato un compito difficile quanto il miracolo della divisione del Mar Rosso.
21) E’ da considerare che nel pensiero ebraico una donna non può divorziare senza l’accordo del marito.
22) Erik Erikson è un noto psicoanalista americano, professore di sviluppo umano e psichiatria all’Università di Harvard.
23) Erich Fromm è un noto psicoanalista, filosofo e scrittore.
24) Fa eccezzione il caso in cui si tratti di una malattia mortale contagiosa.
25) Legislazione rabbinica