L’ebreo che tradì gli ebrei nella Trieste sotto i nazisti
Pietro Spirito
«È per caso la Risiera il nostro passato che non passa?». Se lo chiedeva, amaramente, il grande storico Elio Apih in una sua riflessione pubblicata sulla rivista Qualestoria nel 1989. E se lo chiede oggi, amaramente, Roberto Curci alla fine del suo libro su “Traditori e traditi nella Trieste nazista”, sottotitolo di “Via San Nicolò 30” (pagg. 170, euro 15,00), in uscita giovedì per Il Mulino. È un saggio-inchiesta su uno dei capitoli più oscuri e drammatici della storia di Trieste, l’intreccio di relazioni e delazioni che portò alla cattura, alla deportazione e alla morte di quasi settecento ebrei triestini (solo in venti tornarono vivi dai lager). In realtà il racconto di Curci è molto altro, perché porta il lettore fin dentro l’anima scura di una città che non ha mai saputo fare pace con se stessa, l’altra faccia di una Trieste che nei momenti di più alto dramma «si assopisce, com’è nel suo Dna novecentesco», una Trieste che «dimentica o finge di dimenticare, rimuove, volge gli occhi altrove».
Per raccontare questo «film dell’orrore», che si concluderà con una «straziante dissolvenza», Curci sceglie due luoghi simbolo della città, due poli, due estremi lungo i quali si consuma il destino di tanta gente: il numero 30 di via San Nicolò – che dà il titolo al saggio – e la Risiera di San Sabba. Lì, in via San Nicolò, inizia l’inchiesta dello scrittore e giornalista, lì dove c’è la libreria di Umberto Saba, lì dove dopo la guerra aprirà la sua sartoria Samuele Grini, padre di quel Mauro Grini ebreo traditore di ebrei, il più spietato collaborazionista al servizio delle SS. Mauro Grini, ancora, fratello di quel Carlo Grini che sposerà Lidia Frankel, ex internata alla Risiera nonché terza sorella di Margherita e Malvina, le due giovani commesse della libreria di Saba entrambe morte suicide nel 1922 a poche settimane l’una dall’altra.
In questo primo nodo relazionale, esistenziale e terribilmente allegorico, Curci trova il bandolo di una matassa il cui filo – spinato – porta dritto alla famiglia Grini, e al Grande Traditore, appunto Mauro Grini, un malvagio psicopatico che sembra uscito da un fumetto della Marvel, la cui parabola invece è drammaticamente reale, e storicamente provata. Analizzando testimonianze, documenti d’archivio, libri, articoli, più le carte del processo per i crimini della Risiera, Curci segue passo passo le tracce di questo giovane ebreo che fu internato nel lager triestino con tutta la famiglia, e qui si mise a completa disposizione dei nazisti avviando un proficuo commercio vendendo – letteralmente – parenti, amici, conoscenti, in pratica tutti gli ebrei della comunità triestina, assistendo compiaciuto agli arresti, alle torture, alle deportazioni, alle esecuzioni. Anche il suo destino finale sembra appartenere a un brutto noir: processato e condannato a morte in contumacia, di lui non si saprà più nulla. Secondo alcune testimonianze fu fatto fuori dagli stessi nazisti perché aveva visto e sapeva troppe cose, secondo altre versioni la sua dipartita fu solo un messa in scena: dopo la fine della guerra fu visto per le strade di Milano assieme alla moglie. Curci non smentisce questa ipotesi, e anzi trova nuove prove a suo sostegno.
I misteri, le reticenze e i silenzi intorno all’inferno della Risiera fanno ormai parte della memoria diffusa della città: le scritte cancellate nelle celle – e la morte di de Henriquez che le aveva copiate -, la sparizione di ogni documento durante il Governo militare alleato, figure di aguzzini come Dietrich Allers, Augusta Reiss, Konrad Geng – l’autista del famigerato Christian Wirth, «il primo SS-Sturmbahnfürer dirottato a Trieste dalla Polonia e alle dirette dipendenze del triestino di nascita Odilo Lotario Globocnik» -, tutte persone che se la cavarono con poco e niente dopo la guerra. Geng, per esempio, «finì per stabilire con la città in cui aveva, quanto meno, assistito a una feroce mattanza» una quotidianità che lo porterà a sposarsi con un’istriana di Pisino e a risiedere tranquillamente a Trieste fino al 1963. Oppure Gregorio Bisia, ex ufficiale austriaco nella Grande Guerra, germanofono e bibliofilo, traduttore per gli occupanti nazisti che lo avevano in grande considerazione, che dopo l’8 settembre verrà invitato dallo stesso Saba – riparato a Firenze – a cogestire assieme a Carlo Cerne la libreria della «fatale via San Nicolò», per essere poi allontanato dal poeta una volta tornato a Trieste.
Nemmeno Saba esce bene da questa incursione nel passato scuro della città. Curci, dal quell’arguto detective letterario che è (va ricordato per esempio “Tutto è sciolto – L’amore triestino di Giacomo Joyce”, Lint) non si ferma di fronte alle ambiguità e alle ombre che circondando la figura del poeta, a cominciare dalla sua «posizione abbastanza equivoca verso l’ebraismo», come la definì Ferruccio Fölkel.
“Via San Nicolò 30” non è solo un saggio storico, ma un racconto che cerca di fare un po’ di luce non tanto sulla persecuzione antiebraica in sé, quanto su quell’intreccio d’anime che è specchio – frammento di specchio – in cui si riflettono alcuni dei tanti «invisibili, intollerabili fantasmi» di Trieste.
p_spirito
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