Un nuovo libro chiarisce una pagina poco nota della Storia
Questo studio ricostruisce l’atteggiamento del mondo cattolico italiano di fronte alla prospettiva, prima, e alla realtà, poi, della nascita di un indipendente Stato ebraico in Palestina, all’indomani della seconda guerra mondiale. Come è noto ed è stato messo in luce da innumerevoli studi (Minerbi, Ferrari, Pieraccini) il cattolicesimo internazionale e la Santa Sede osservarono a lungo con viva preoccupazione lo sviluppo e l’affermazione del movimento sionista.
Tale avversione era motivata da due differenti ordini di considerazioni. In primo luogo le considerazioni teologiche che facevano ritenere impossibile il ritorno del popolo ebraico in Terra Santa e la ricostituzione di un indipendente Stato ebraico prima della pienezza dei tempi e di una generalizzata conversione al cristianesimo degli ebrei. In secondo luogo la più concreta questione dei Luoghi santi. Da sempre teatro di accanite controversie tra le differenti confessioni cristiane e a lungo sottoposti a un governo musulmano, i santuari evangelici vennero a trovarsi sotto un governo almeno nominalmente cristiano nel 1917, con la conquista di Gerusalemme da parte delle truppe britanniche dell’Intesa. Un nuovo, e per alcuni versi maggior, pericolo si affacciò subito agli occhi degli osservatori cattolici: quello di una prevalenza ebraica in Terra Santa che avrebbe ancora una volta reso precaria la sicurezza e la fruizione dei massimi santuari della cristianità.
Il presente studio mostra chiaramente come, anche negli anni del secondo dopoguerra, all’indomani della Shoah e della sostanziale distruzione dell’ebraismo europeo, simili considerazioni giocarono un ruolo predominante nel determinare l’atteggiamento dei cattolici italiani nei confronti dell’immigrazione ebraica nella Palestina mandataria e, dal maggio 1948, dello Stato d’Israele. Se le obiezioni teologiche dirette non furono molte, una pregiudiziale antisionista rimase assai viva nel comune sentire del mondo cattolico, riemergendo con forza di tanto in tanto. Assai vivi si mantennero invece i timori per i Luoghi santi. Proprio per questo il mondo cattolico, che all’indomani della Risoluzione 181 del novembre 1947, aveva mantenuto un atteggiamento di prudente riserbo, soddisfatto dalla prospettiva dell’internazionalizzazione della città santa e del suo contado, durante la guerra del 1948 scatenò una violenta offensiva giornalistica contro il neonato Stato. Al centro delle polemiche erano i comportamenti, giudicati vessatori nei confronti degli interessi cattolici, delle truppe israeliane e l’occupazione della metà occidentale della città da parte delle forze dello Stato ebraico. La spartizione della città tra israeliani e giordani impediva di fatto l’internazionalizzazione, ribadita in linea esclusivamente teorica dalle Nazioni Unite nell’autunno
1949. La polemica cattolica, che si rifaceva ai frequenti richiami pontifici che auspicavano l’internazionalizzazione della città, si indirizzò però quasi esclusivamente contro Israele, il cui governo era ritenuto il principale e quasi unico responsabile dell’impasse.
Mano a mano che la battaglia circa lo status di Gerusalemme divenne più accanita il giudizio su Israele da parte dei principali osservatori cattolici italiani divenne più preoccupato. Ben presto si iniziò a paventare un futuro estremamente stentato per le sorti del cattolicesimo all’interno del piccolo Paese mediorientale. Alcuni personaggi, come Celeste Bastianetto, collegavano acutamente simili incertezze con l’esodo della popolazione araba e con il diminuito peso demografico dei cristiani nella regione. I più, con minor aderenza al vero, individuavano però i maggiori pericoli nella pretesa natura comunistoide di Israele e nella natura apertamente anticristiana di buona parte della classe dirigente ebraica. In questo clima non mancarono accuse assai accese nei confronti del governo israeliano, in cui si denunciavano le pretese manovre anticattoliche messe in atto a danno degli ordini religiosi presenti nel territori del giovane Stato e degli stessi pellegrinaggi.
Solo con l’inizio degli anni cinquanta, di fronte alla solidità dimostrata da Israele e alla sua sempre più evidente natura liberaldemocratica e filo-occidentale, gli osservatori cattolici iniziarono a rivedere il proprio giudizio e a rappresentare una realtà più sfumata e composita. Rimaneva, però, immutata la posizione su Gerusalemme, arroccata nella tetragona riproposizione di un’internazionalizzazione territoriale dell’intera città che appariva sempre più lontana dalla realtà sul campo. Allo stesso modo rimaneva ben viva la percezione dell’estrema precarietà cui, si riteneva, le comunità cattoliche sarebbero state esposte nello Stato ebraico, rispetto al quale (quantomeno fino alla rivoluzione nasseriana in Egitto) erano generalmente guardati con maggior fiducia gli Stati arabi circonvicini.
Utilizzando una vasta documentazione incentrata su uno spoglio sistematico della stampa cattolica e su alcuni significativi fondi archivistici l’autore ricostruisce i sentimenti, le paure, i condizionamenti e le suggestioni che determinarono l’atteggiamento dei cattolici italiani verso la questione mediorientale, tra il 1945 e il 1951. Anni segnati da una faticosa presa di coscienza del dramma della Shoah, da crescenti timori per le possibili infiltrazioni comuniste nel Levante e soprattutto da una diffusa preoccupazione per il destino dei Luoghi santi cristiani e per la stessa presenza del cattolicesimo nella regione. Elementi che caratterizzarono a lungo l’atteggiamento dei cattolici nei confronti del conflitto arabo-israeliano e che, ancor oggi, appaiono in grado di condizionare profondamente la percezione che, dello Stato ebraico, si ha da parte dei cattolici.
“Aria di crociata”. I cattolici italiani di fronte alla nascita dello Stato d’Israele (1945-1951),
Milano, Unicopli, 2012, pp. 263, euro 17