Analizzando le polemiche di questi ultimi giorni è evidente un attacco ai rabbini che vuole la loro delegittimazione e si sta dispiegando in tre direzioni:
1 i rabbini di oggi insegnano una halakhà sbagliata; sono chiusi nel loro ottuso rigore e non sanno trovare le risposte giuste (cioè quelle permissive) a differenza dei loro predecessori o dei loro stessi precedenti che avevano fatto questa e quell’altra cosa (seguono citazioni ed esempi più o meno a proposito).
2 non c’è bisogno dei rabbini per stabilire la halakhà. Bastano i libri e, nella nostra era digitale, una passeggiata su Internet. Così come ci sono le persone che si fanno diagnosi e si curano da sole sul web, così vi si trova la risposta (quella che fa comodo) a tutte le sheelot. Tutti medici, tutti avvocati, tutti ingegneri, tutti rabbini per corrispondenza. Per noi lo studio è un dovere e ben venga anche la rete come strumento poderoso di informazione, ma “in mille si entra nella scuola, e uno solo esce come decisore”.
3 non c’è proprio bisogno dei rabbini come decisori. Anzi. Viene denunciata “la deriva che vorrebbe che la legge ebraica ritornasse ad avere un ruolo pubblico nel governo della vita pubblica degli ebrei” (Gadi Luzzatto). È una vecchia storia, c’è sempre stato conflitto di poteri. Si invoca insomma un sano laicismo e una separazione di poteri, o meglio l’esclusione dal potere della “legge ebraica”. Questo avrebbe qualche senso se fossimo una società qualsiasi. Ma le nostre comunità, almeno qui in Italia, non sono aggregazioni etniche, ma comunità religiose. Ops…, ce ne eravamo dimenticati…
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma