Perché l’Europa odia l’America. Un libro di Andrei Markovits
Antonio Donno
Sono scettico sulla tradizione politica europea. Ed io, e molti altri, siamo ancor più scettici sulla realtà dell’Unione europea. La consideriamo come un elemento di divisione dell’occidente, e, invero, della stessa civilizzazione ‘europea’; implicitamente, e spesso esplicitamente, antiamericana; e oggi, e ancor peggio in futuro, un incubo (immensamente corrotto) basato sulla burocrazia e sulla regolamentazione; contraria alla tradizione fondata su leggee-libertà”, cioè la tradizione liberale della sfera angloamericana. Così scriveva Robert Conquest, insigne sovietologo, sulla New York Review ofBooks dell’ll marzo 2000. E l’ultimo libro di Andrei S. Markovits, Uncouth Nation: Why Eurape Dislikes America (Princeton University Press) conferma la valutazione di Conquest. In più, fu Hannah Arendt, nel 1954, a definire l’antiamericanismo europeo come costituivo della stessa identità europea. Il “nuovo mondo” aveva finito per soverchiare il “vecchio mondo” e così l’antiamericanismo, scriveva Arendt, aveva finito per divenire un nuovo ism, fondato sull’invidia, nel vocabolario europeo. Markovits condivide la vecchia, insuperata analisi della Arendt e finisce con l’affermare che “l’avversione verso l’America è divenuta oggi più grande, più volgare, più determinata. E’ divenuto il dato unificante gli europei occidentali più di ogni altro sentimento politico, ad eccezione della comune ostilità verso Israele”.
L’antiamericanismo è divenuto la “lingua franca” degli europei; tanto più dopo l’impegno americano, ai tempi di Bush, nel medio oriente. Ma la cosa più sorprendente, e per certi versi ancor più oscena, è che l’antiamericanismo europeo ha avuto un salto di qualità dopo 1’11 settembre, prima ancora delle decisioni di Bush di intervenire per abbattere il regime di Saddam Hussein. Insomma, in quella circostanza, nonostante l’evidenza dell’estrema gravità dei fatti accaduti, l’antiamericanismo degli europei ha avuto una valvola di sfogo in un atteggiamento, consapevole ma più spesso inconsapevole, di soddisfazione per ciò che era accaduto a “Mr. Big”. Ma l’antiamericanismo, secondo l’analisi di Markovits, ma anche di una lunga tradizione di studi sull’argomento, ha le sue radici nel momento stesso in cui la rivoluzione americana aveva dato vita a una nuova nazione e questa nuova nazione aveva mosso i primi audaci – e perciò irritanti per gli europei – passi nel sistema politico internazionale di impianto eurocentrico. Un’audacia offensiva per gli europei che aveva lasciato un lungo strascico di insofferenza, dispetto e perfino odio negli europei verso gli americani, un popolo rozzo, ignorante, presuntuoso, insopportabile.
In fondo, scrive Markovits, l’America era nata da una costola dell’Europa, ma si era affrancata dalla vecchia madre ben presto. E, così, l’anti-americanismo aveva preso la piega attuale: “Questi sentimenti e prese di posizione negativi sono stati determinati non solo – ma anche soprattutto – da ciò che gli Stati Uniti fanno, ma piuttosto da un sentimento contro ciò che gli europei credono che l’America sia”. Cioè, in definitiva, una posizione contraria di natura esistenziale, nel cui ambito il termine “americanizzazione” acquista un significato spregiativo.
Ma una parte assai interessante dell’opera di Markovits riguarda il binomio antiamericanismo/antisemitismo. Markovits fa presente che la sua attenzione verso l’antisemitismo è strettamente connessa all’antiamericanismo, in quanto “la violenza dell’ostilità verso Israele può essere compresa soltanto in stretta relazione all’antiamericanismo e all’ostilità verso gli Stati Uniti”. Allo stesso modo, l’antisemitismo e l’avversione verso le politiche di Israele si connettono, comportando anche l’opposizione all’esistenza di Israele come stato. Mentre l’opposizione alle politiche di Israele e alla fondazione stessa dello stato di Israele non sono concettualmente segno di antisemitismo, afferma Markovits, nella realtà ambedue spesso ricadono nell’antisemitismo. Tutto ciò fa il pari con l’antiamericanismo: “Israele, a causa della sua associazione con gli Stati Uniti, è di fatto percepito dagli europei potente quanto l’America, essendo l’uno l’estensione dell’altro e viceversa”. Inoltre, Israele è alleato degli Stati Uniti, ma gli Stati Uniti sono alleati di molti altri paesi. La cosa, allora, sembra non quadrare. La spiegazione che dà Markovitz va al fondo della questione. Israele è uno stato ebraico e l’Europa si porta dietro un grande problema con il popolo ebraico, un problema irrisolto e fastidioso per la coscienza europea. E allora, dal momento che l’antiamericanismo europeo, come si è visto, è della stessa stoffa dell’antisemitismo del Vecchio Continente, un problema altrettanto irritante per gli europei, l’associazione storica, politica e culturale tra i due paesi produce la medesima associazione antiamericanismo/antisemitismo. Il cerchio è chiuso.
Il Foglio, 1 febbraio 2017